lunedì 16 Settembre 2024

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Sanremo 2025 e il regolamento che rievoca la filosofia de “Il Gattopardo”

Analisi su Sanremo 2025 e il nuovo regolamento, diramato in queste ultime ore, che strizza l’occhio alla continuità

«Bisogna cambiare tutto per non cambiare niente»: così scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo”. Chi si aspettava l’inizio di un nuovo ciclo, una fase avanzata del Festival, avrà storto un po’ il naso leggendo il regolamento ufficiale di Sanremo 2025, stilato dal direttore artistico Carlo Conti.

La linea è chiara: non cambiare fisionomia a una macchina organizzativa che negli ultimi anni ha dimostrato di essere in gran forma. Merito di Amadeus, che ha intensificato e catalizzato gli sforzi dei suoi predecessori, lo stesso Conti prima e Claudio Baglioni poi, fino a riportare la kermesse agli splendori di un tempo.

Il Festival che riprende in mano oggi Conti, va detto, non è quello che aveva ereditato da Fabio Fazio e che all’epoca appariva piuttosto debilitato e sottotono. Era ormai da più di un decennio che i grandi artisti disertavano Sanremo che, per troppo tempo, era quasi diventato una sorta di farm specializzata nel rilancio di proposte che, fuori dal Festival, arrancavano in un mercato in crisi e in continuo cambiamento.

Carlo Conti ha così inaugurato nel 2015 un nuovo cambio di rotta, poi proseguito alla grande da Baglioni e alla grandissima da Amadeus, che lo ha portato ai livelli che conosciamo e che sono sotto gli occhi di tutti. Certo che, a dieci anni di distanza dal suo primo Festival, il conduttore toscano si trova di fronte a una scena musicale completamente cambiata. Quelli che erano stati i grandi colpi messi a segno nelle sue prime tre edizioni, oggi non farebbero alcun clamore. Senza fare nomi (perché non è carino), i big che riuscì a riportare dopo anni in Riviera, compresi alcuni azzeccati debutti, oggi non avrebbero lo stesso appeal, perché la percezione del pubblico nei loro confronti è cambiata e l’asticella è stata notevolmente alzata.

Sanremo 2025, le novità del nuovo regolamento

Partiamo dal numero dei big: 24 in tutto, un giusto quantitativo che prosegue la linea degli ultimi anni, a dispetto di chi ne avrebbe voluti molti meno. Quando una cosa funziona perché cambiarla? Idem con patate il meccanismo di votazione, esclusa la serata cover che non sarà calcolata nel voto finale, restano dunque invariate le giurie e, nonostante le polemiche dello scorso anno, nessuno è stato esautorato. Una decisione giusta, che conferma quanto siano state sterili e prive di senso alcune di quelle polemiche. È un po’ come in politica, si tende sempre a voler cambiare il sistema elettorale, a prescindere se funzioni o meno, giusto per cambiare, per andare controcorrente.

Ecco, Carlo Conti non ha voluto apportare alcun cambiamento a tutti i costi, magari si riserverà di essere più incisivo nel secondo mandato del 2026, per ora tutte le modifiche fatte sono più che altro accorgimenti, visioni leggermente diverse, ma il succo non cambia. Se si accorciano le serate e si rispolvera il Dopofestival, alla fine bisogna tener conto che – almeno per gli addetti ai lavori – si andrà a letto comunque allo stesso orario degli anni passati, perché storicamente molto accade proprio durante l’appuntamento in onda in terza serata. Ve lo ricordare il caso Meta-Moro del 2018? Giusto per fare un esempio.

Ma arriviamo alle Nuove Proposte, reintrodotte dopo tre anni di assenza. Saranno quattro,  tre delle quali approderanno dal contest di Sanremo Giovani, mentre una da Area Sanremo. Durante la terza e la quarta serata ci saranno due scontri diretti che prevederanno l’eliminazione della metà dei partecipanti. Ed è proprio su questo punto che ci sarebbe da sollevare l’unica criticità di questo regolamento di Sanremo 2025. Perché? Già sono in quattro, in più perché i big sono sollevati dalle eliminazioni e i giovani no? Mettiamoci nei panni dei due artisti che, dopo numerose audizioni, si ritroveranno a cantare una sola volta per tre minuti sul palco dell’Ariston. Onestamente si sarebbe potuto fare a meno di questa sentenza, per mettergli di cantare almeno una volta in più.

Vero è che quello delle Nuove Proposte è diventato negli anni un problema annoso, come fai sbagli. Lo stesso Amadeus aveva prima ha reintrodotto la categoria cadetta nel 2020 dopo l’intuizione fortunata di Baglioni (ricordiamo che nel 2019 aveva beneficiato di tale formula proprio l’outsider Mahmood) e poi aveva nuovamente riaggruppato tutto in un girone unico a partire dal 2022 fino allo scorso anno.

Una vecchia diatriba quelle delle Nuove Proposte, dicevamo, una sezione che probabilmente non è mai riuscite a trovare la giusta collocazione televisiva. C’è chi li metteva dopo la mezzanotte, chi in prime time, chi alternati ogni tre big. Di fatto, però, i giovani non hanno mai avuto durante quella settimana la stessa attenzione degli artisti in prima categoria. Un po’ come quando la Serie B giocava di domenica in concomitanza con la Serie A, fino a quando si è capito che era meglio spostarla al sabato.

Sia chiaro, non non ci riferiamo alla bontà dei giovani proposte, bensì allo spazio a loro riservato, che in quella settimana non sarà mai lo stesso dei big, soprattutto con il livello esponenzialmente alto degli ultimi anni. Nel corso del tempo, sono stati lanciati dal Festival numerosi fenomeni discografici, primo tra tutti Eros Ramazzotti nel 1984, seguito da Laura Pausini nel 1993, fino ad arrivare ai recenti exploit di Francesco Gabbani e di Ultimo. Le perplessità restano per tutti gli altri, ovvero chi non passa il turno o chi non si classifica tra i primi posti, gli stessi che vengono puntualmente non notati e, di conseguenza, dimenticati. Questo fenomeno può accadere anche con la categoria unica, certo, ma almeno si è dato a tutti le stesse opportunità, considerato che oggi che il filo tra emergenti e big si è ancora di più assottigliato.

Giustissima la scelta di non conteggiare i voti della serata cover nella classifica finale e relegare l’appuntamento del venerdì a un torneo a parte, per riportare almeno in parvenza l’idea che questo sia a tutti gli effetti ancora il Festival della canzone e non quello dei cantanti. Anche se va detto che la serata cover può influire comunque in termini di percezione, come accadde indubbiamente nel secondo Sanremo di Carlo, quello del 2016, quando la cover de “La sera dei miracoli” di Lucio Dalla, seppur non conteggiata nei voti finali, rappresentò un volano incredibile per la vittoria a sorpresa degli Stadio, che si laurearono vincitori di quell’edizione la sera successiva con “Un giorno mi dirai”.

In sintesi, per concludere, chi si aspettava grossi stravolgimenti sarà rimasto deluso. Sia chi profetizzava un ritorno al passato sia chi auspicava un cambio di passo. Giusto così, Carlo Conti sa perfettamente che la continuità – soprattutto quando le cose funzionano – premia sempre. Ha fatto sua la filosofia de “Il Gattopardo” e con questo regolamento ha dimostrato concretamente di essere l’uomo giusto per succedere ad Amadeus. Alla fine, entrambi, si ispirano dichiaratamente al modello-Baudo, in più provengono da un trascorso giovanile molto simile. Quindi a nulla servirà cercare di metterli in contrapposizione, l’uno contro l’altro. Poi, per i paragoni e i commenti costruttivi ci sarà sempre tempo, soprattutto una volta che avremo ascoltato le canzoni, mentre per il chiacchiericcio fine a se stesso… per quello no, non ci sarà il benché minimo spazio.

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