Sanremo Giovani 2025, conosciamo meglio Amsi – INTERVISTA

Amsi

A tu per tu con il giovane artista classe 1999 in gara a Sanremo Giovani, per parlare del brano “Pizza americana”. La nostra intervista ad Amsi

Classe 1999, genovese di nascita e milanese d’adozione, Amsi, nome d’arte di Thomas Amella, è tra i 24 artisti ufficialmente selezionati per Sanremo Giovani 2025 con il brano “Pizza americana”, pubblicato da Altafonte Italia. Dopo aver superato le audizioni dal vivo a Roma, dove si è esibito davanti alla commissione presieduta dal direttore artistico Carlo Conti, il giovane cantautore è pronto a fare il suo debutto televisivo, portando sul palco la sua scrittura autentica.

La sua musica nasce dall’incontro tra sonorità indie, contaminazioni urban e suggestioni alternative, in un equilibrio costante tra introspezione ed energia. Un’identità sonora costruita passo dopo passo, a partire dal singolo “Per un raffreddore” (2023), che ha segnato l’inizio di un percorso più maturo e coerente, seguito da brani capaci di conquistare le playlist editoriali di Spotify come New Music Friday Italia, Generazione Z e Novità Indie Italiano.

Con “Pizza americana”, scritta insieme a Michael Consigli (Consi) e Filippo Damagio (Werdn) e prodotta da Giupo e Simone Panero (Sic), Amsi racconta con ironia e sincerità le contraddizioni della sua generazione, mescolando autenticità e leggerezza in un linguaggio personale e diretto.
Per lui, Sanremo Giovani è più che un traguardo: è un punto di partenza, la conferma di un talento in crescita capace di unire la sensibilità cantautorale a una visione contemporanea della musica.

Lo abbiamo incontrato per farci raccontare come sta vivendo questo momento, la nascita di “Pizza americana” e le emozioni di un’avventura che profuma già di futuro.

Sanremo Giovani 2025, conosciamo meglio Amsi, l’intervista

Manca davvero poco al debutto televisivo di Sanremo Giovani. Come stai esorcizzando l’attesa e come stai vivendo questo tempo che ti separa da un appuntamento così importante?

«Guarda, è un mix di emozioni: meglio di quanto immaginassi, ma l’ansia resta. In queste tre settimane è successo tutto molto in fretta, ci siamo trovati in mezzo a un vortice di cose da fare, interviste, prove, vocal coach. È un’esperienza che mi sta facendo crescere tantissimo. Tutto è partito un po’ per caso, non era programmato in modo così preciso, e ora siamo qui a vivere un sogno, cercando di dare il massimo giorno dopo giorno».

“Pizza americana” è il titolo della canzone che, tu con il tuo team, avete scelto di proporre a Sanremo Giovani. Com’è nata e cosa rappresenta per te?

«È nata un po’ per caso. In realtà all’inizio volevamo proporre un altro brano, ma poi non erano tutti convinti. Così siamo tornati in studio e, una decina di giorni prima della chiusura delle candidature, abbiamo iniziato a cercare un’idea tra le note del telefono. Ho trovato una scritta: “pizza americana”. Me l’ero appuntata perché la prendo spesso: è quel tipo di pizza con patatine sopra, quella che si ordina quando si è stanchi, si guarda una serie e ci si concede un momento leggero. Da lì abbiamo iniziato a scrivere il brano: io ho buttato giù il bridge, che poi è diventato il claim di tutto, e insieme a Verben e Consi abbiamo lavorato al resto del testo e della struttura. In dieci giorni avevamo un pezzo pronto, con chitarre e produzione finite. È nato tutto in modo spontaneo e divertente».

Lo scorso 28 ottobre hai preso parte alle audizioni di via Asiago a Roma. Come hai vissuto quel momento? Ti senti soddisfatto della performance davanti alla commissione?

«Sì, è stata un’esperienza pazzesca. Abbiamo preparato tutto in tre o quattro giorni, in full immersion, perché non sapevamo se saremmo stati selezionati tra i 34 finalisti. Quindi prove, arrangiamenti, dettagli, tutto in pochissimo tempo. Poi arrivi a Roma, entri nella sede Rai, e capisci che è tutto vero. Fino a quando non hanno aperto la porta della sala ero terrorizzato, poi mi sono detto: “ok, ormai ci siamo, non posso più tornare indietro”. Ho fatto il soundcheck davanti ai giudici, che è stata una sorpresa, ma una volta partito il pezzo è andato tutto bene. È stato bello, emozionante, e non vedo l’ora di rifarlo su un palco vero».

Com’è arrivata la musica nella tua vita? C’è stato un episodio preciso o un percorso più graduale?

«In realtà la musica c’è sempre stata. Ho ballato latinoamericano per tredici anni, quindi ho sempre avuto un legame con il ritmo e la musicalità. Poi ho iniziato a scrivere piccole poesie nelle note del telefono, senza pensarci troppo. L’epifania vera è arrivata guardando il film “Zeta”: raccontava la scena hip-hop italiana e mi ha colpito l’idea che si potesse fare musica anche da un garage, con un computer e un amico. Ho capito che non serviva essere ricchi o famosi per fare canzoni: potevo provarci anch’io. Da lì è cominciato tutto, fino ad arrivare a Milano, dove ho deciso di provarci davvero e rendere la musica la mia vita».

Quali ascolti e artisti hanno influenzato la tua crescita musicale?

«Tantissimi. Ho iniziato, stranamente, con Fabri Fibra a cinque anni: mia madre non voleva che lo ascoltassi, quindi ovviamente lo facevo lo stesso (ride). Poi mi sono appassionato al cantautorato: Dalla, De Gregori, i grandi nomi che studi anche a scuola. L’ondata indie ha cambiato tutto per me: Franco126 e Carl Brave sono stati una rivelazione. Mi hanno fatto capire che si poteva scrivere in modo diretto ma poetico, raccontando la quotidianità con un linguaggio moderno. Loro rappavano e cantavano allo stesso tempo, e usavano l’autotune in modo creativo, non come effetto estetico. E poi c’è Max Gazzè, che secondo me è stato un ponte tra il cantautorato classico e l’indie moderno: ha portato l’ironia, il racconto popolare, le storie vere della gente. Tutti questi artisti mi hanno formato in modo diverso».

Che rapporto hai con il Festival di Sanremo? Lo segui da sempre o, come molti tuoi coetanei ti ci sei avvicinato più negli ultimi anni?

«L’ho sempre seguito, soprattutto in famiglia. Poi c’è stato un periodo in cui l’ho perso un po’, ma da quando ho iniziato a fare musica l’ho guardato con occhi diversi. Mi piace studiarlo, osservare chi ci arriva e come si presenta. Negli ultimi cinque anni, a Milano, è diventato quasi un rito: con i miei coinquilini facevamo le maratone di cinque giorni. L’anno scorso, ad esempio, quando c’era Olly, che conosciamo personalmente, l’abbiamo seguito ancora più da vicino. È diventato un appuntamento importante».

Per concludere, al di là del risultato finale, cosa speri di ottenere da questa esperienza? Qual è per te la vera vittoria?

«In realtà mi sento già vincitore, perché questa esperienza mi ha dimostrato che posso davvero tentare questa strada. In tre settimane ho fatto cose che non avevo mai fatto: interviste, prove, vocal coach, esperienze nuove. Mi ha dato consapevolezza, fiducia e tanta autostima. Ovviamente l’obiettivo è andare il più avanti possibile, ma anche se si fermasse qui, resterebbe un percorso che mi ha fatto crescere come artista e come persona».

Scritto da Nico Donvito
Parliamo di: ,