Sanremo Giovani 2025, conosciamo meglio Jeson – INTERVISTA
A tu per tu con il giovane artista romano classe 1998 in gara a Sanremo Giovani, per parlare del brano “Inizialmente tu”. La nostra intervista a Jeson
Jeson, all’anagrafe Daniele Fossatelli, è tra i 24 semifinalisti di Sanremo Giovani 2025 con l’inedito “Inizialmente tu”. Cantautore e autore tra i più interessanti della nuova scena, negli ultimi anni si è fatto notare per una scrittura che mescola introspezione e contemporaneità, immagini di periferia e sentimenti universali, tra sonorità urban e R&B e un linguaggio diretto, capace di arrivare subito in profondità. Ecco cosa ci ha raccontato.
Sanremo Giovani 2025, conosciamo meglio Jeson, l’intervista
Manca pochissimo al debutto televisivo di Sanremo Giovani. Come stai vivendo questa attesa? C’è un po’ di “countdown”?
«Diciamo che per me è un’esperienza completamente nuova, quindi con un po’ di ansia, però quell’ansia positiva che poi trasformo in grinta anche sul palco. Sono molto felice soprattutto per la canzone, perché merita secondo me quel contesto e non vedo l’ora che arrivi e vediamo un attimo come va. Spero per il meglio».
Alle audizioni del 28 ottobre a Roma è andata chiaramente bene, visto che sei qui. Come le hai vissute? Sei riuscito a mantenere la concentrazione?
«Sì, diciamo che allora io di mio soffro un po’ d’ansia, quindi sicuramente la vivo… ti dico in maniera sbagliata, però la vivo come una cosa importante, come è giusto che sia perché lo è. Però sì, diciamo che è andata bene, la commissione è stata molto brava anche a metterci a nostro agio, l’esibizione è andata bene fortunatamente. Quindi proveremo a replicare, ovviamente fare sempre di più».
“Inizialmente tu” è il titolo della canzone che porterai a Sanremo Giovani. Come è nata e cosa rappresenta per te?
«Guarda, allora è nata in maniera molto spontanea, una sera d’estate, non mi ricordo che mese, però stavamo a casa di Celo, il ragazzo che l’ha prodotta, Pietro Celora, che saluto, e stavamo lì a scrivere un po’ di canzoni. Tra l’altro c’eravamo posti l’interrogativo se uscire o rimanere in studio quella sera. Alla fine abbiamo deciso di rimanere in studio per scrivere una canzone, e alla fine è uscita questa, che poi abbiamo completato dopo a Milano quando siamo tornati. È stata un’esperienza bella perché è andata un po’ d’istinto. Eravamo nel processo creativo ed è stato bellissimo, mega spontaneo».
Quindi era proprio quella classica sera in cui ci si chiede: usciamo o restiamo in studio?
«Esatto, era proprio quella situazione. Eravamo lì da una settimana, avevamo scritto anche altre robe, e abbiamo detto: “O usciamo o rimaniamo?”. È nata questa canzone: era il destino».
La frase “Chi l’ha detto che i treni partono dopo le sei” è un claim fortissimo. Come è nato?
«Guarda, la frase in realtà è stata la prima frase che ci è venuta. Non siamo partiti da un concetto, è uscita fuori proprio cantando al microfono in maniera istintiva. Citando Vasco, delle volte le canzoni escono fuori nemmeno pensandole. Questa frase è uscita subito e ci abbiamo costruito intorno tutto un viaggio. È stata veramente la prima frase uscita, in maniera istintiva, nessun ragionamento dietro».
E non l’avete messa nel titolo proprio perché troppo istintiva?
«Esatto. Infatti il primo provino si intitolava “Dopo le sei”, però rimane talmente evocativa nel pezzo che non serviva accentuarla».
E il “tu tu tu tu” che entra subito in testa? Come è arrivato?
«Stessa cosa. Non c’erano le parole inizialmente, era soltanto una melodia. È la melodia che un po’ rinfresca il brano, perché noi eravamo partiti da un viaggio un po’ cacciante, già tutto previsto, un po’ ballino. Anche il linguaggio… mi ricordo che era uscito il film “Partenol” che avevamo visto tutti e tre, e ci ha influenzato anche a livello di linguaggio. Un viaggio un po’ cinematografico. La melodia del ritornello è uscita istintivamente e l’abbiamo tenuta».
Sei nato a Cinecittà, quartiere di Roma che ha dato i natali anche ad Eros Ramazzotti. Quanto hanno influito le tue radici sulla tua musica?
«Sicuramente io vengo da un contesto di periferia, quindi il quartiere in cui sono cresciuto e le amicizie che mi sono tenuto hanno influenzato molto la mia scrittura. Tutto quello che vivi fa parte di te, volente o nolente esce. E Roma, in generale, ha una poesia nelle sue strade che non riscontro in altre città. Sicuramente ha influenzato in maniera romantica la mia scrittura».
Perché hai scelto lo pseudonimo “Jason”? E perché scritto con la A?
«Ok, questa cosa mi imbarazza un pochino perché me lo chiedono spesso e ogni volta ho sempre la stessa risposta: non c’è un significato. Non so perché ma mi era rimasto questo nome, l’avevo letto da qualche parte, era un nome che mi piaceva e rimaneva in testa. La gente pensa che mi chiamo Jason. Io quando mi presento dico… poi è un nome comunque! Però l’ho voluto scrivere con la A, per metterci un po’… boh. Molti pseudonimi hanno storie assurde: il mio no. L’ho adottato e basta».
Nel tuo percorso spicca la collaborazione con Marco Mengoni nel brano “Lasciamo indietro”. Com’è nata e cosa ti ha lasciato?
«Beh, innanzitutto ho avuto l’onore e la fortuna di vedere lavorare uno dei più grandi artisti italiani che in questo momento c’è. Marco è disumano: sentirlo cantare, lavorare… fortissimo. Il nostro rapporto è nato perché io stavo scrivendo quel brano come autore. Lui ha fatto quel gesto umano che ricorderò per sempre: chiamarmi anche come artista nel brano, perché gli piaceva come interpretavo i provini. Mi ha chiesto se avessi voluto farlo insieme a lui e io, ovviamente, onoratissimo. È stata un’esperienza che mi ha dato una crescita, me la porto con me e lo ringrazierò per sempre».
Ci sono altri artisti con cui ti piacerebbe collaborare? Puoi sparare alto!
«Sì, sì. Io come ho sempre detto, mi intriga molto la mente e il modo di approcciarsi all’arte di Madame, che secondo me è un’artista incredibile. Ci sono anche artisti urban come Marracash, che per me è una delle penne più belle d’Italia. Anche se facciamo parte di mondi diversi, sarebbe bello anche solo scambiarci due chiacchiere. Poi sicuramente ci sono tanti artisti fortissimi in Italia».
Che rapporto hai con il Festival di Sanremo? Lo hai sempre seguito o, come molti tuoi coetanei, ti sei avvicinato più di recente?
«All’inizio lo seguivo perché lo seguivano i miei, in maniera più… boh. Poi iniziando a lavorare nella musica l’ho seguito con un’altra mentalità. È un momento di condivisione, un evento importante. Sanremo Giovani è una cosa distaccata, ma è un’esperienza che mi lascerà tante cose. Sono molto contento di farla».
Qual è il primo ricordo che hai del Festival? Una canzone o un artista?
«Di quando ero più piccolo purtroppo no. Sicuramente degli ultimi anni sì. Marco, con “Due vite”, mi ha lasciato tanto: un’esibizione incredibile. Anche Madame. E Sethu: lo conosco, e sono mega contento di vederlo su quel palco. In generale ci sono esibizioni che mi hanno lasciato qualcosa».
Per concludere, cosa speri di portarti a casa da Sanremo Giovani? Qual è la tua “vittoria”?
«Io vado lì, sicuramente non ho niente da perdere, quindi ho tutto da guadagnare. Non è una competizione tra di noi: siamo lì per vivere un momento e per cantare le nostre canzoni. Il balottaggio è televisione: io parlo di musica. Amo tanto questa canzone e cantarla lì sarà un’emozione incredibile, quindi per me già questa è una vittoria. Poi l’obiettivo è farla arrivare a più gente possibile. Ovviamente è l’obiettivo».