Sanremo Giovani 2025, conosciamo meglio Renato D’Amico – INTERVISTA
A tu per tu con il giovane artista siciliano in gara a Sanremo Giovani 2025, per parlare del brano “Bacio piccolino”. La nostra intervista a Renato D’Amico
Tra i ventiquattro semifinalisti di Sanremo Giovani 2025, spicca il nome di Renato D’Amico, in gara con il brano “Bacio piccolino” (BMG). Il cantautore, produttore e polistrumentista è nato nel 1998 a Valderice, in provincia di Trapani, e oggi vive di base a Milano.
Il pezzo, scritto due anni fa in Sicilia, fonde la leggerezza della musica disco all’italiana alla profondità emotiva di un racconto intimo, un dialogo tra concretezza e sogno, tra “uno scoglio e l’infinito”, come suggerisce la filosofia gurdjieffiana che lo ha ispirato.
Il videoclip, diretto da Manuel Cernigliaro, amplifica questa visione alternando ironia, surrealismo e libertà espressiva. Renato D’Amico si presenta a Sanremo Giovani con la maturità di chi ha già trovato la propria voce e ora vuole farla ascoltare al grande pubblico.
Sanremo Giovani 2025, conosciamo meglio Renato D’Amico, l’intervista
Come stai esorcizzando l’attesa che ti separa dall’appuntamento di Sanremo Giovani?
«In realtà sto molto bene, sono molto contento di partecipare a questo programma, più che altro perché porto una canzone che sento veramente mia. Quindi sono rilassato, anche se penso all’esecuzione del brano. Sono curioso di vedere come funziona la macchina, di conoscere gli altri artisti».
“Bacio piccolino” è il titolo della canzone che tu con il tuo team avete scelto di proporre alla commissione Com’è nata e cosa rappresenta per te?
«Nata in Sicilia, per me è una canzone molto importante. Oltre al contenuto, è stato il pezzo che mi ha fatto rivedere la possibilità di un nuovo progetto, di una nuova linea musicale che sentivo molto vicina. Parla di un incontro con una persona che mi ha aiutato a trovare equilibrio, sia personale che artistico, una persona con cui parlavo tanto. Da lì è nato il connubio del brano».
Il pezzo è rimasto com’era oppure ha subito modifiche nel tempo?
«È rimasto praticamente identico. Era nato come un provino, poi ho deciso di completarlo con Ivan Rossi, un produttore con cui mi sono trovato molto bene. Non è stato scritto con l’idea di portarlo a Sanremo, e forse è proprio questo che mi rende felice: è nato in modo spontaneo, senza secondi fini, e oggi arriva qui così com’è nato, due anni fa».
A livello visivo, cosa aggiunge il videoclip diretto da Manuel Cernigliaro?
«Con Manuel, che è un caro amico e anche lui siciliano, collaboriamo da tempo per costruire un linguaggio visivo personale. Ci piace il mondo dell’assurdo, dei personaggi particolari, e cerchiamo sempre un contrasto tra la canzone e le immagini. I miei testi a volte sono pesanti, ma la musica è più leggera, quasi ballabile. Nei video invece ci divertiamo a far accadere cose surreali: completa il quadro del progetto».
Quali ascolti hanno accompagnato la tua crescita?
«Ho sempre avuto una passione per il vintage, forse per gli ascolti che avevo in casa o per i vinili dei miei. Penso di avere l’illusione che in quegli anni si vivesse meglio, con più spensieratezza. Mi affascinano molto gli anni ’60 e ’70, e in Italia i miei riferimenti sono Battisti, anche nel periodo con Panella, e Battiato per i testi. Poi Enzo Carella, che amo tantissimo.Tutti artisti che mi hanno influenzato per contenuto e attitudine».
Oltre al percorso da cantautore, sei anche produttore. Hai lavorato con artisti come Emma Nolde e Il Postino. Quali skill ti sono servite di più oggi come artista?
«Essere produttore mi ha insegnato come si sta in studio: rispettare le scadenze, scegliere i suoni giusti, avere una visione chiara di un disco. Anche gestire il rapporto con la propria voce e il tempo d’ascolto: quando senti un pezzo cento volte, è facile non sopportarlo più. Da producer ho imparato a costruire un brano fino all’80%, a registrare da solo strumenti e idee, e poi portarle a un altro produttore per completarle. È una skill importante, anche perché ho una grande passione per sintetizzatori, preamp e compressori: mi piace creare un’identità sonora unica».
Che rapporto hai con il Festival di Sanremo? Lo hai sempre seguito oppure, come molti tuoi coetanei, ti sei avvicinato solo di recente?
«In realtà da piccolo lo guardavo sempre in famiglia, era un rito. Quando iniziava Sanremo, ci mettevamo sul divano e lo vedevamo insieme: era un bel momento. Poi crescendo, tra studio e lavoro, mi sono un po’ allontanato. Mi sono riavvicinato negli ultimi due anni, con uno sguardo diverso, più maturo. Il Festival è cambiato tanto, e oggi è bello vedere artisti che seguivo da indipendenti arrivare su quel palco».
Qual è il tuo primo ricordo legato al Festival?
«Forse “La paranza” di Daniele Silvestri. Mi dava una sensazione di gioia, anche se da piccolo non capivo bene il testo. Avevo nove anni, e mi colpiva quella leggerezza. Ricordo anche “Salirò” e altri pezzi suoi che passavano su Radio Italia mentre mia madre cucinava. Sono ricordi semplici ma vivissimi».
Per concludere, cosa speri di ottenere da questa esperienza? Quale sarebbe per te la vittoria?
«Può sembrare scontato, ma la mia vittoria l’ho già raggiunta. Già il fatto di essere qui con un brano che è rimasto due anni nel mio hard disk e poterlo portare in televisione per me è incredibile. Non pensavo potesse accadere. È un piccolo sogno che si realizza».