Sanremo Giovani 2025, conosciamo meglio Seltsam – INTERVISTA
A tu per tu con il giovane artista romano classe 2001 in gara a Sanremo Giovani, per parlare del brano “Scusa mamma”. La nostra intervista a Seltsam
Seltsam, all’anagrafe Lorenzo Giovanniello, è uno di quei cantautori che partono dalle piccole cose per arrivare dritte al cuore. “Scusa mamma” è il brano con cui partecipa a Sanremo Giovani 2025, pubblicato l’11 novembre per Honiro Label, che conferma la sua attitudine a raccontare la vita reale: camere in disordine, ritardi cronici, cani sul letto e quel senso di colpa dolce-amaro che solo i rapporti familiari sanno generare.
“Scusa mamma” è una ballata-intimo abbraccio che mette al centro la figura materna, trasformando un semplice “scusa” in un gigantesco “grazie”: alla protezione, al tempo dedicato, alle attenzioni che spesso si danno per scontate quando si corre dietro ai traguardi del “mondo dei grandi”. Con uno sguardo tenero e autoironico, Seltsam difende il bambino che è rimasto dentro ognuno di noi e firma una dedica universale a tutte le madri, ricordandoci quanto sia rivoluzionario, a volte, avere il coraggio di mostrarsi fragili. Ecco cosa ci ha raccontato.
Sanremo Giovani 2025, conosciamo meglio Seltsam, l’intervista
Manca poco al debutto televisivo di Sanremo Giovani: come stai vivendo questa attesa, come la stai esorcizzando?
«La sto vivendo con quell’ansia tipica di uno studente che deve fare un esame importante. Però anche con la felicità di farlo, perché spero sia un’esperienza bellissima. Siamo pieni di cose da fare, non c’è un momento di stop. Nel mentre ho avuto questa “magia” di prendere questa cagnolina, quindi tutti i vuoti sono riempiti dalle sue peripezie. Ho questa tattica: mi tengo occupato».
“Scusa mamma” è il brano che hai scelto di portare a Sanremo Giovani. Come è nata e cosa rappresenta per te?
«Questa canzone è nata mentre eravamo a Milano. Io sono di Roma, vivo a Roma e tenterò di stare a Roma il più tempo possibile, è proprio un giuramento a me stesso. La mattina che sono partito ho lasciato Ettore, l’altro cane, sul letto, casa un disastro, il mio armadio è uno schifo… potete immaginare cosa ho fatto passare ai miei genitori nell’arco della mia esistenza. Prendo il treno senza salutare mamma perché sono sempre in ritardo: in studio abbiamo proprio un “foglio dei ritardi” e da settembre a oggi io ho accumulato tipo dieci ore, l’altro giorno ho fatto 2 ore e 33 di ritardo in un’unica botta. Mia madre mi manda due messaggi passivo-aggressivi con le foto del letto distrutto, il cane che dormiva, i vestiti per terra… e non mi dice niente. Quei giorni, invece di chiamarmi 346 volte al minuto, mi chiamava tipo 225, quindi ho capito che era un po’ nervosa. In quei giorni a Milano, per vicissitudini musicali, le cose non erano andate granché bene e mi mancava casa. E la prima cosa a cui penso quando penso a casa è mamma. Allora ho detto: “Scriviamo una canzone per mamma chiedendo scusa”. Ma per me quello “scusa” è un grazie. È ricordarsi di chiedere scusa per dire grazie».
Dal titolo sembrerebbe una semplice richiesta di perdono, ma nel testo c’è anche un messaggio più universale sul diventare grandi. Cosa dovremmo portarci dietro dal “mondo dei piccoli”?
«Per me tutto. Il più grande insegnamento che mi hanno dato i miei genitori è essere, nei momenti di svago, ancora ragazzi: come si pongono con noi, con gli altri… Quando cresci dai per scontate tante cose e rischi di dimenticarle. Io ho scritto che non so quanta gente sappia ancora fare le divisioni in colonna, eppure abbiamo fatto tutti le equazioni. Sono quelle cose che dimentichi. Non so quando mi sono dimenticato di saper fare le tabelline, ma succede anche nella vita: per inseguire la soddisfazione personale, il sogno nel cassetto – che per me è il mio lavoro – ci dimentichiamo la fortuna di avere delle persone accanto, soprattutto di avere quella persona che non penserà mai a se stessa prima di pensare a te. È una frase fatta, ma non ce la ricordiamo mai. Io so già che il giorno che magari mi elimineranno da Sanremo sarò più nervoso che concentrato a ricordarmi di dare un abbraccio a mia madre, nonostante la canzone. Purtroppo bisogna proprio ricordarselo. Io cerco di portarmi dietro tutto: le amicizie, le cose, un momento per rimanere quel Lorenzo che ero a 15-16 anni. Ora ho un po’ più di testa, ma provo a ritrovare quella spensieratezza. Il mio film preferito è “Un weekend da bamboccioni” perché, citando i Pinguini Tattici Nucleari, “finivamo in un cinepanettone perché lì la vita non sembra mai dura”. È un po’ quello: ritagliarsi uno spazio in cui la vita non sembri sempre così pesante».
Il tuo nome d’arte, Seltsam, in tedesco significa “strano”. Come nasce questa scelta?
«All’inizio non eravamo nemmeno un progetto solista, eravamo un gruppo: avevamo 16-17 anni e suonavamo all’autogestione dei licei romani. Eravamo del Visconti, e non avevamo un nome. C’era questa poesia con scritto “Selzam” che rappresentava una sensazione di “strano meraviglioso”, una cosa tipo sublime, una posizione del romanticismo tedesco – almeno così ci spiegò la prof, poi non so se sia vero (ride, ndr). Abbiamo detto: “Seltsam, sì, bellissimo”. Io poi mi sono affezionato al nome. Sono passati quasi otto anni: inizialmente rappresentava una cosa, poi ha preso tutto un altro significato. Mi ci sono legato, anche se è difficilissimo da dire».
Che rapporto hai con il Festival di Sanremo? Lo hai sempre seguito o, come molti tuoi coetanei, ti ci sei avvicinato più di recente?
«A casa mia è tradizione: il mio nonno è un cultore di musica classica, in salone ha un impianto che fa tremare le pareti, sembra un tredicenne col subwoofer. Abbiamo sempre visto il Festival. Una delle mie canzoni preferite della vita è “L’unica” dei Perturbazione, e poi “Il bosco delle fragole” di Tricarico, che ritengo bellissima. Negli ultimi anni, paradossalmente, l’ho visto un po’ meno, tra il 2017 e il 2020, ma tutti gli anni prima l’ho sempre seguito. Adesso la differenza è che non lo guardo più solo con la famiglia: tutti i miei coetanei hanno cominciato a vederlo, e meno male. Chi è riuscito a riportare i giovani al Festival è stato molto bravo».
Per concludere: al di là della finale e dell’eventuale approdo all’Ariston, cosa sarebbe per te una vera vittoria a Sanremo Giovani?
«Noi abbiamo già vinto. Io non mi aspetto niente. Per me ogni momento è bello. La mia vittoria sarà riuscire a dedicare questa canzone a più figli e madri possibili e riuscire a trasmettere il messaggio di “Scusa mamma… e poi anche papà”. È una competizione, è normale che mi farebbe piacere andare a Sanremo: per me sarà sempre un sogno. Negarlo sarebbe come i calciatori che perdono 4-0 e dicono: “La squadra ha lavorato bene, non sappiamo cosa succederà…”. Però non ci penso. Io penso a rimanere sulle cose belle di questa canzone e a farla arrivare a più persone possibili. Se succede, succede. Se non succede… non succede, ma se succede!».