martedì 12 Novembre 2024

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Sanremo Giovani, conosciamo meglio Andrea Biagioni – INTERVISTA

A tu per tu con l’artista toscano, in gara tra i ventiquattro finalisti con il brano “Alba piena”

Ha ben chiara la sua identità e non intende lasciarsi scalfire dalle mode o dai tempi Andrea Biagioni, artista che avevamo avuto modo di conoscere nel corso della decima edizione italiana di X Factor, sotto l’ala protettiva di Manuel Agnelli. Lo ritroviamo a distanza di due anni più consapevole e determinato a farsi conoscere in tutta la sua forma artistica, grazie a un brano introspettivo e senza filtri intitolato “Alba piena”, con cui giocherà la partita di Sanremo Giovani, contest che si articolerà su Rai Uno in due prime serate giovedì 20 e venerdì 21 dicembre.

Ciao Andrea, partiamo naturalmente da “Alba piena”, com’è nato e cosa rappresenta per te?

«Questo brano è stato scritto insieme ad mio collaboratore, nonché un caro amico, dopo una lunga conversazione incentrata sull’incomprensione comunicativa tra me e un’altra persona, da questo racconto reale e personale sono venute fuori queste parole. “Alba piena” è uno di quei pezzi nati dall’esigenza di mettere giù i propri pensieri».

La mancanza di comunicazione in amore non è un tema nuovo per una canzone, ma raccontarlo oggi credi sia diverso rispetto al passato? 

«Sicuramente questo cambio di comunicazione ha influenzato soprattutto i più piccoli, gli adolescenti piuttosto che le persone più grandi già abituate a comunicare in modo diverso. Oggi come oggi possiamo permetterci e di parlare con molta più tranquillità anche di argomenti considerati fino a qualche anno fa dei tabù, da un lato c’è una maggiore apertura dall’altro decisamente troppa fretta di comunicare, le conversazioni si approfondiscono sempre meno e tutto è immediato. Siamo passati dalle lettere alle e-mail fino agli SMS, questa è un po’ la nostra evoluzione, oggi è tutto molto più semplificato e sintetico».

A livello musicale, invece, le sonorità che avete scelto sono molto chiare e senza filtri. A cosa si deve un arrangiamento molto basic e semplice?

«Questa scelta si deve alla mia identità, io sono un chitarrista acustico molto tradizionalista a livello di sonorità, mi piace contaminare i brani in maniera semplice e genuina. È un grosso rischio che mi prendo, perché le orecchie del pubblico oggi sono abituate ad ascoltare molta più roba messa insieme, ma ho voluto vivere questa esperienza appieno mostrando la mia vera identità, nel bene e nel male ho scelto questa strada».

Molto semplice anche il video che accompagna il pezzo. Dove ci sei praticamente tu immerso tra le chitarre. Quanto è importante tornare a dare importanza alla musica più che alle immagini?

«Questo video, in realtà, non è quello ufficiale, che uscirà il 20 dicembre insieme al singolo in digitale. Le immagini a cui fai riferimento sono state il biglietto da visita che abbiamo scelto di presentare alla commissione, proprio per le ragioni che hai appena espresso. Mi sono chiesto “a cosa vi serve il video? a vedere chi sono?”, benissimo, questo sono io (ride, ndr)». 

Facciamo un salto indietro nel tempo, come e quando ti sei avvicinato alla musica? 

«La musica mi ha sempre smosso, sin da piccolo. Sicuramente la mia famiglia ha molto contribuito alla mia educazione, perché sono da sempre degli appassionati, ricordo che in tutti viaggi in macchina c’era sempre una bella colonna sonora. Ho sempre abbinato la musica a momenti felici ma anche tristi, in ogni modo a delle emozioni, per me ascoltare o suonare una canzone è un po’ come staccarsi dalla monotonia quotidiana». 

Quali ascolti hanno ispirato e accompagnato il tuo percorso?

«Amo tutta la musica fatta in un certo modo, ci sono determinati artisti che hanno contribuito alla mia crescita, ho cominciato con il folk americano di Simon & Garfunkel, Bob Dylan e John Martin, passando per Bob Marley e tutto il filone reggae. Ho ascoltato sempre un po’ di tutto, di italiani non posso non citare Lucio Battisti, Francesco De Gregori, Fabrizio De Andrè e, soprattutto, Lucio Dalla, l’artista che in assoluto è stato più influenzato dalla musica straniera, essendo lui un jazzista polistrumentista, mi sento molto vicino alla sua attitudine».

Dopo tanta gavetta e numerosi palchi, arrivi nel 2016 a partecipare alla decima edizione italiana di X Factor. A freddo, cosa ti ha lasciato quell’esperienza? 

«Tanto bene e tanto male, come in ogni esperienza forte c’è sempre il rovescio della medaglia, è un percorso molto stressante Che ti mette a dura prova e, forse, non ti lascia libero di esprimerti liberamente. La mia esperienza, in realtà, fa poco testo perché ho avuto la fortuna di lavorare con un coach fuori dagli schemi con cui ho instaurato un vero e proprio gioco di squadra, lontano dalle consuete logiche di un talent. Lui ha capito i miei punti forti e le mie esigenze, mi ha permesso di non snaturarmi e non lasciarmi troppo prendere dall’aspetto mediatico. Poi, ovviamente, alla fine della fiera è stata una bella esposizione, senza X-Factor forse non sarei qui oggi a parlare con te (ride, ndr)». 

Ti ha lasciato anche una bella collaborazione con Manuel Agnelli che è proseguita anche dopo il programma, lo hai sentito ultimamente? Ti ha dato dei consigli? 

«È un anno e mezzo che ci sentiamo, che mi confronto con lui facendogli ascoltare le cose che scrivo, per me è diventato un po’ un padre musicale, anche se ci conosciamo relativamente da poco tempo È per me una figura di riferimento. Ho il massimo rispetto per lui, perché da trent’anni lavora affinché la musica indipendente trovi un suo spazio e la giusta dimensione. Ovviamente mi ha dato dei consigli, appoggiando diverse mie scelte, tra cui il brano “Alba piena”. Più che un coach con me si è sempre comportato da amico».

Con quale spirito ti riaffacci sul mercato discografico?

«Sicuramente mi affaccio con un vestito diverso rispetto all’ultima volta, ci tenevo molto a dichiarare in maniera ancora più diretta e chiara la mia identità, cosa che con la mia esperienza passata non ho avuto modo di fare fino in fondo. Ho deciso di mostrarmi in tutta la mia semplicità, senza l’ausilio dell’elettronica in maniera molto artigianale, con tutta la mia anima analogica».

Al di là della vittoria e della conseguente possibilità di calcare il palco dell’Ariston, quale sarebbe per te il riconoscimento più importante da Sanremo Giovani?

«Che le persone possano riconoscermi attraverso “Alba piena” e capire che la musica può essere fatta, ascoltata e apprezzata anche in un altro modo, in maniera totalmente libera, perchè l’arte non è vendere dischi a palate, c’è molto di più da dire e da scoprire». 

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.