venerdì 22 Novembre 2024

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Sanremo Giovani, conosciamo meglio Avincola – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore romano, in gara a Sanremo Giovani 2019 con il brano “Un rider”

Mancano poche ore per la serata dedicata a Sanremo Giovani, in onda giovedì 19 dicembre in prime time su Rai Uno. Tra i dieci finalisti troviamo Simone Avincola, in arte semplicemente Avincola, in gara con il brano autobiografico “Un rider”. Alla vigilia di questo importante appuntamento, lo abbiamo raggiunto telefonicamente per scambiare con lui quattro piacevoli chiacchiere.

Ciao Simone, benvenuto. Partiamo da “Un rider”, brano con cui parteciperai alla finalissima di Sanremo Giovani 2019, cosa racconta?

«Il brano è piuttosto autobiografico, c’è un pizzico di bugia ma credo che inventare sia il bello delle canzoni. Il mio mestiere è quello di fare consegne, sono realmente un ryder, per cui ho voluto raccontare in maniera un po’ leggera quello che succede a chi svolge un lavoro come il mio».

E’ bello sentir dire “un brano autobiografico”, in quest’epoca è come se volessimo nasconderci dietro quello che non siamo, in generale e non solo nella musica…

«Sicuramente, ma sai, penso che nascondersi un pochettino nelle canzoni sia un fatto positivo, mi piace dar spazio anche alla fantasia, senza far passare per vero ciò che è falso, bensì un modo per trasformare la realtà come fosse una dimensione parallela. La musica è sicuramente un bel rifugio dove evadere nelle situazioni difficili, la speranza per ogni cantautore è quella di riuscire a trasmettere anche un briciolo di emozione nel raccontare la propria storia e quella di altre persone».

Dal punto di vista musicale, invece, quali sonorità hai voluto abbracciare?

«Con Emiliano Bonafede abbiamo fatto un lavoro piuttosto intenso che sta proseguendo nel verso giusto, un lungo percorso per riuscire a trovare un sound che potesse piacerci. Le canzoni nascono come sempre nella mia stanza, chitarra e voce o con le tastiere, abbiamo cercando di circondare il tutto con un po’ di contemporaneità, alla fine l’importante è quello di riuscire ad arrivare a più persone possibili a livello comunicativo, non è facile trovare il linguaggio giusto, le sonorità in questo aiutano notevolmente».

C’è una frase che meglio rappresenta questa canzone?

«Il pezzo è diviso in due parti, si muove tra la canzone d’amore e il racconto del mestiere del ryder, forse quella che un pochino mi emoziona di più a livello personale è la frase che dice: “e chi lo sa se la mia vita è tutta qua, la ringrazio della mancia, si ma, se è tutta una goccia ti voglio vicino, sai, da solo non faccio mai in tempo ad arrivare per primo, mai”».

Facciamo un salto indietro nel tempo, quando hai scoperto che tu e la musica eravate fatti l’uno per l’altra?

«Diciamo che ho cominciato a suonare la chitarra proprio per studiare lo strumento, ancor prima di scrivere canzoni. Di nascosto ho sempre scritto piccole poesie, casualmente un giorno ho iniziato a unire le due cose, le parole con la musica, così ho intuito subito che quello sarebbe stato il modo migliore per esprimermi, sia verso gli altri ma anche per me stesso, per risparmiare sullo psicologo (sorride, ndr)».

Quali ascolti hanno ispirato e influenzato il tuo percorso?

«Sono sempre stato circondato dalla collezione infinita di dischi di mio padre, principalmente di musica rock anni ’70, poi ad un certo punto ho scoperto i cantautori, i grandi maestri storici come Guccini, De Gregori e De Andrè, da lì ho scoperto tutto un mondo incredibile che mi emoziona tuttora, fino ad arrivare ad artisti della scena attuale. Mi piace molto questa nuova ondata cantautorale, in particolare apprezzo Calcutta, ma anche artisti dell’intermezzo, da Luca Carboni a Daniele Silvestri, coloro i quali stanno in mezzo tra i maestri e le nuove leve».

Stai lavorando a nuove canzoni, cosa dobbiamo aspettarci dal tuo prossimo futuro?

«Sono molto felice perché sto lavorando proprio in questo ultimo periodo al disco, molti pezzi come “Un ryder” mi soddisfano molto, diversi li abbiamo già incisi, abbiamo quasi concluso il processo di registrazione. Sono molto contento perché è stato un lavoro lungo, sia nella scelta dei pezzi che nel trovare la forma giusta, ma sono parecchio soddisfatto e non vedo l’ora di pubblicarlo».

Come stai vivendo l’attesa per la finalissima di Sanremo Giovani?

«Guarda, anche in questo momento sto passeggiando in maniera circolare nella stanza (ride, ndr), tipo sala d’aspetto. A parte gli scherzi, sono chiaramente emozionato, già essere arrivato a questo punto per me è una cosa bellissima, una ricompensa per tutti i sacrifici e per il lavoro svolto finora, un momento magico che sto cercando di godermi senza pensare troppo al posto in cui mi trovo, alla storia e a tutti i grandi personaggi che sono passati di qui. Sto cercando di rilassarmi per concentrarmi sulle parole della mia canzone, perché quando si canta tante volte un pezzo c’è sempre il rischio che diventi un esercizio, mentre ci tengo a trasmettere il senso di ogni singola parola alle persone che mi ascolteranno».

Al di là della vittoria e della conseguente possibilità di calcare il palco dell’Ariston, quale sarebbe per te il riconoscimento più importante che potresti trarre da questa esperienza? 

«Essere arrivato fin qui per me è già un bel riconoscimento, i brani sono stati ascoltati e selezionati da una giuria molto seria tra tantissime proposte, non posso che sentirmi onorato. Negli ultimi due anni mi sono fermato per scrivere e riuscire a trovare la chiave giusta, questa esperienza è la conferma che quando lavori sodo possono arrivare delle belle soddisfazioni, anche se c’è ancora tanto da pedalare come si può intuire dal mio brano (sorride, ndr)».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.