giovedì 21 Novembre 2024

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Sanremo Giovani, conosciamo meglio Diego Conti – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore classe ’95, in gara tra i ventiquattro finalisti con il brano “3 gradi”

Ha le idee ben chiare Diego Conti, giovane artista di Frosinone che, assieme al suo produttore Mark Twayne, ha fondato un nuovo genere che prende il nome di “cross-pop”, un mix di contaminazioni e di ricerche sonore. Evoluzione è il titolo del suo primo Ep disponibile dal 18 dicembre (progetto firmato Rusty Records/Richveel ed edizioni Rusty Records/Thaurus Publishing), contenente sei tracce tra cui “3 gradi”, brano con il quale prende parte a Sanremo Giovani, in onda giovedì 20 e venerdì 21 dicembre in prima serata su Rai Uno.

Ciao Diego, partiamo da “3 gradi”, brano con cui parteciperai alla finalissima di Sanremo Giovani, com’è nato e cosa rappresenta per te?

«“3 gradi” è una canzone che per fatalità è nata l’anno scorso durante la settimana del festival proprio a Sanremo, dove ho conosciuto una ragazza bellissima, ci siamo innamorati, eravamo per strada e, nonostante il freddo, non abbiamo resistito alla passione. Il giorno dopo ho avuto la febbre più bella della mia vita e, durante la convalescenza, ho scritto questo pezzo (ride, ndr)».

La canzone racconta di un incontro fugace, un amore che si consuma con passione ma per poche ore. In quest’epoca così frenetica, dove tutto va così veloce, che piega stanno prendendo le relazioni?

«Come hai detto tu, in questo mondo così istantaneo dobbiamo stare bene attenti non perdere il valore delle piccole cose che, forse, in questa fugacità sono ancora più belle, basta solo saperle vedere e fermare ogni tanto un po’ il tempo. Nella mia canzone ho cercato di raccontare proprio questo, ne più ne meno».

A livello musicale, invece, quali sonorità avete scelto per sottolineare il messaggio e l’importanza del testo?

«Questa è la prima canzone che ho registrato con Mark Twayne, il mio producer, il primo pezzo che ho inciso e che fa parte del mio primo EP “Evoluzione”. Una volta riascoltata ci siamo guardati negli occhi e abbiamo pensato di definire questo stile come “cross-pop”, perché è un insieme di contaminazioni e di condivisioni, al suo interno ci sono sfumature rock, pop e trap. Con la mia musica mi piacerebbe toccare tutti i generi che voglio».

Un concetto ampiamente espresso anche attraverso il videoclip. Cosa avete voluto trasmettere attraverso quelle immagini?

«In maniera rappresentativa e non didascalica quello che racconta la canzone, la fugacità di quella passione, grazie all’attento e meraviglioso lavoro che hanno fatto i Trilathera, ossia i registi. Mi sono divertito molto nel girare questo video, in più la cosa che mi piace sottolineare è che descrive perfettamente il senso del pezzo».

Facciamo un salto indietro nel tempo, come e quando hai scoperto la passione per la musica? 

«Sono cresciuto in una famiglia che ama la musica da sempre, a 10 anni ho chiesto la mia prima chitarra, poco dopo ho formato la mia prima band e, parallelamente, ho cominciato a scrivere le mie prime canzoni. Ho trascorso la mia adolescenza ad assistere ai concerti di Bruce Springsteen, Vasco Rossi e Jovanotti. È stato molto naturale per me avvicinarmi a questo mondo e, devo ammettere, di sentirmi molto fortunato nel farne parte».

Quali ascolti hanno ispirato e accompagnato il tuo percorso?

«Sicuramente un po’ tutto il rock degli anni ’70, ma ascolto davvero di tutto, senza classificare la musica in generi. Tra i tanti artisti per me fondamentali, cito Bob Dylan, Paul Simon, Lucio Battisti, Lucio Dalla, Lou Reed e tanti altri, elencarli tutti sarebbe impossibile».

Dopo tanta gavetta e numerosi palchi, arrivi nel 2016 a partecipare alla decima edizione italiana di X Factor. Che ricordo hai di quell’esperienza?

«È stata un’esperienza per me davvero molto importante, non solo per quanto riguarda il fattore musicale, perché mi ha fatto vivere tante emozioni e crescere sotto tutti i punti di vista. La spinta mediatica mi ha permesso di farmi conoscere da tantissime persone, rispetto alle cover preferisco cantare le mie canzoni e Sanremo è la vetrina giusta per poterlo fare».

Con quale spirito ti affacci al mercato e come valuti il livello generale dell’attuale settore discografico?

«Devo ammettere che, negli ultimi anni, sto ascoltando tanta bella musica nuova, sopratutto quella più cantautorale. C’è davvero molto fermento e, per chi come me scrive le proprie canzoni, penso che sia davvero un bel momento di creatività. Cosa mi aspetto personalmente non lo so, di sicuro so che il livello musicale italiano si sta alzando parecchio».

Al di là della vittoria e della conseguente possibilità di calcare il palco dell’Ariston, quale sarebbe per te il riconoscimento più importante?

«Mi reputo davvero fortunato ad avere la possibilità di cantare la mia musica davanti a milioni di persone, il riconoscimento più bello sarebbe quello di constatare che la mia musica arrivi dritta al cuore della gente, al di là di tutto e della gara».

Per concludere, una domanda che potrebbero porsi in molti: la famosa ragazza si è poi rifatta viva?

«Questa è una bella domanda (ride, ndr), guarda… lei è viva, anzi vivissima, è bellissima, ma non mi sbilancio e non vado oltre».

Ok, se son rose fioriranno, anche al gelo con “3 gradi”.

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.