“Sanremo Story”, cantanti e canzoni degli anni ‘50
Sanremo Story: la rubrica che ripercorre le tappe fondamentali del Festival della canzone italiana, attraverso aneddoti e approfondimenti. A cura di Nico Donvito
Per molti il Festival di Sanremo è quell’evento televisivo che catalizza davanti allo schermo per una settimana all’anno, uno spettacolo colorato, uno psicodramma tragicomico collettivo, un carrozzone fiorito stracolmo di cantanti, presentatori e vallette. Negli anni, ne abbiamo lette e sentite parecchie di definizioni, tutte profondamente vere, ma nessuna realmente corretta. Sanremo Story anni ‘50
Per dare una risposta allo slogan “Perché Sanremo è Sanremo”, è necessario riscoprire la storia di questo grande contenitore che nel tempo si è evoluto, ma senza perdere il proprio spirito. La verità è che il Festival è un vero e proprio fenomeno di costume, la favola musicale più bella di sempre, lo specchio canterino del nostro Paese. Con la sua liturgia, la kermesse non è mai riuscita a mettere d’accordo ammiratori e detrattori, forse in questo alberga la vera fonte del suo duraturo consenso. La rubrica “Sanremo Story” si pone l’obiettivo di raccontare tutto questo e molto altro ancora.
“Sanremo Story”, cantanti e canzoni degli anni ‘50
Nata dodici mesi prima senza troppe ambizioni, la manifestazione canora confermò con la seconda edizione il proprio potenziale, ma senza esplodere a livello popolare. Il costo dei biglietti delle serate aumentò da 500 a 4.000 lire, un incremento del 700%, allineandosi ai prezzi di mercato. A onor di cronaca, l’importo comprendeva una consumazione, ma non la cena rigorosamente legata al menù alla carta. Segnali di crescita anche per quanto riguardava i trasporti: per l’occasione venne organizzato e pubblicizzato un treno speciale diretto da Milano.
Giunsero 360 iscrizioni, 120 in più rispetto all’anno precedente. Venne confermata l’orchestra del maestro Cinico Angelini e il tris di cantanti presenti nel ’51, ai quali si aggiunsero Gino Latilla e Oscar Carboni. A trionfare fu nuovamente Nilla Pizzi, che si riconfermò regina per il secondo anno consecutivo, portandosi a casa in pratica l’intero podio.
Al primo posto si impose con “Vola colomba”, i cui versi facevano esplicito riferimento alla situazione politica e alla questione di Trieste. Il brano raccontava di una travagliata storia d’amore tra un ragazzo italiano e una giovane residente nella cittadina ai tempi contesa tra Italia e Jugoslavia. Il capoluogo giuliano fu riannesso al nostro Paese due anni più tardi e la canzone fece da colonna sonora a questo traguardo, arrivando a vendere 45.000 copie.
Volò più in alto della colomba la seconda classificata, vale a dire la celeberrima “Papaveri e papere”, che di esemplari ne commercializzò ben 70.000. Si trattava di una canzone molto orecchiabile, musicalmente creata su misura per essere ballata durante gli imminenti festeggiamenti del carnevale. Non a caso, infatti, la collocazione del Festival per fine gennaio strizzava l’occhio proprio a questa ricorrenza, all’epoca molto più sentita rispetto ad oggi.
Possiamo considerarlo il primo vero successo internazionale targato Sanremo, tradotto e inciso in ben quarantalingue. Una filastrocca orecchiabile, una fiaba surreale e apparentemente bislacca, che narrava la storia di una papera invaghita di un papavero. Seppur potesse apparire come una canzone leggera e sbarazzina, dal retrogusto nonsense, in realtà il testo alludeva ai potenti, una satira socio-politica nei confronti dei padroni e di chi governava. Nel tempo il brano assunse molteplici chiavi di lettura, al punto da essere strumentalizzato da differenti partiti politici sui manifesti delle varie campagne elettorali. Tuttavia gli autori rimasero distanti dall’esprimere la reale fonte d’ispirazione, rifugiandosi nel comodo concetto che ogni riferimento fosse puramente casuale. Per molti, invece, si trattò della prima canzone moderna di protesta.
Sul gradino più basso del podio, sempre interpretata da Nilla Pizzi, si posizionò “Una donna prega”, decisamente più tradizionale e sentimentale delle altre due. Rispetto alla precedente edizione, Sanremo si mostrava ancora più nel dettaglio come uno specchio fedele dei tempi, grazie a tematiche velatamente contemporanee, con motivi in partemeno sofisticati e decisamente più commerciali.
Dopo due edizioni praticamente simili per forma e regolamento, per far crescere il Festival ci fu bisogno diqualche significativo cambiamento. Nel 1953 la messa in onda venne spostata dai primi tre giorni della settimana a quelli successivi, in modo da garantire la serata finale al sabato sera e, quindi, con la presenza di un pubblico potenzialmente superiore. Cambiò anche il sistema di votazione, con l’introduzione delle giurie popolari sparse in lungo e in largo per il territorio nazionale. Alla confermatissima orchestra diretta dal maestro Cinico Angelini, venne affiancata la compagine del jazzista Armando Trovajoli, in modo da contrapporre la tradizione con qualcosa di più moderno.
Doppia orchestrazione, quindi, e doppia esecuzione. Un’operazione volta a mostrare sfaccettature diverse della stessa canzone che, da questo momento in poi e per circa vent’anni, fu interpretata da due cantanti diversi. L’obiettivo era quello di sminuire il non gradito processo di personalizzazione di un brano da parte di un interprete, poiché si trattava del Festival delle canzoni e non dei cantanti. Malgrado gli sforzi e i nobili tentativi, questo ideale restò un’utopia perché, nonostante il rinnovato meccanismo, capitò sempre ad una versione di vendere di più o di restare maggiormente scolpita nell’immaginario collettivo rispetto all’altra.
Dopo due vittorie consecutive, la reginetta Nilla Pizzi si ritrovò costretta a restituire lo scettro e la corona, abdicando in favore delle due giovani matricole Carla Boni e Flo Sandon’s. Il duo di esordienti vinse con l’elegante “Viale d’autunno”, composta per l’occasione da Giovanni D’Anzi, celebre per la sua “O mia bela Madunina”. Tra i brani di maggior impatto, spiccò “Vecchio scarpone”, marcia nostalgico-patriottica interpretata da Gino Latilla e Giorgio Consolini.
Proprio quest’ultima coppia si aggiudicò la vittoria del quarto Festival della canzone italiana, in scena l’anno seguente, con il brano “Tutte le mamme”. Per molti un vero e proprio trionfo della tradizione e del bel canto all’italiana, per altri una stucchevole apoteosi della retorica. Questa volta di motivi entrati nella memoria degli italiani ce n’erano parecchi, a cominciare dalla briosa “Canzone da due soldi”, passando per la drammatica e pluriparodiata “E la barca tornò sola”, fino ad arrivare a “Berta filava” e “Aveva un bavero”, con quest’ultima che segnò l’unica presenza in gara del mitologico Quartetto Cetra.
Tra i pezzi più attesi della vigilia, vi era senza ombra di dubbio “Con te”, portata in scena da Achille Togliani e Natalino Otto, scritta nientepopodiméno che da Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, per tutti conosciuto semplicemente come Totò. Il principe della risata non riuscì a confermare il successo commerciale di “Malafemmena”, lasciandosi andare alla delusione di un misero nono posto.
A partire dal 1955 il Festival di Sanremo diventò a tutti gli effetti un evento televisivo, poiché la Rai aveva da poco iniziato a mandare in onda le proprie trasmissioni. A favorire il consenso popolare della manifestazione, oltre all’arrivo delle telecamere e all’assodato valore artistico-sociale dei motivi in concorso, fu anche e soprattutto il gossip, grazie ai pettegolezzi che riguardavano il quadrilatero amoroso composto da Cinico Angelini, Nilla Pizzi, Gino Latilla e Carla Boni. Tradimenti e accoppiamenti che appassionarono il pubblico, anticipando di qualche stagione il seducente fascino delle telenovelas sudamericane.
Dopo le insistenze degli anni precedenti, Claudio Villa accettò finalmente di prendere parte alla kermesse e, col senno di poi, fece pure bene perché si aggiudicò il titolo, in coppia con Tullio Pane, con la canzone “Buongiorno tristezza”, sottotitolo: amica della mia malinconia. «Daje a ride» direbbero a Roma!
La prima vittoria del Reuccio venne agevolata dall’annuncio della sua mancata partecipazione alla serata finale, a causa di un forte attacco influenzale. Al suo posto venne portato sul palco un giradischi, che riprodusse il brano in versione originale. Una scelta ad oggi impensabile.
Tutto sommato fu un’edizione all’insegna della tradizione, del romanticismo e dei buoni sentimenti. Più che canzoni, la critica le considerava delle romanze, sia per le tematiche trattate che per il pathos melodrammatico. Eccezion fatta per “Era un omino (piccino piccino)”, una favola moderna che raccontava di un alieno che, sbarcato sulla Terra con intenzioni pacifiste, predicava all’intera umanità i vantaggi del volersi bene. Pur sempre sul filone buonista, ma con un pizzico di fantasia e di originalità in più. All’indomani della kermesse, le vendite non lasciarono soddisfatti i discografici. Dopo anni di crescita, il Festival subì la sua prima battuta d’arresto.
A Sanremo 1956 si tentò la carta della rivoluzione, mettendo in scena quello che possiamo considerare il primo vero talent show della storia. Per contrastare il fenomeno dilagante del divismo di alcuni personaggi della nostra musica leggera, gli organizzatori optarono per puntare sugli sconosciuti. La Rai decise di lanciare sei esordienti, scelti attraverso un concorso di voci nuove. Ad iscriversi furono ben 6.496 ragazzi; la selezione finale avvenne in diretta radiofonica, con gli ascoltatori che poterono esprimere le proprie preferenze attraverso le cartoline postali. Insomma, la kermesse si rinnovò per andare incontro ai canoni della televisione e alle pressanti pretese della discografia.
Fecero così il loro esordio sei “debuttanti in cerca d’autore”: Clara Vincenzi, Ugo Molinari, Gianni Marzocchi, Luciana Gonzales, Tonina Torrielli e Franca Raimondi. Proprio quest’ultima si laureò vincitrice con Aprite le finestre, brano dall’ottimismo primaverile, che arrivava provvidenziale dopo un lungo e gelido inverno, lo stesso che Mia Martini raccontò portando in gara, trentaquattro anni più tardi, “La nevicata del ’56” scritta per lei da Franco Califano.
Da segnalare la prima apparizione in veste di autore di Domenico Modugno, che firmò “Musetto”, nota anche come “La più bella sei tu”, canzone che mise per la prima volta in risalto in maniera diversa la figura della donna, qui rappresentata da una protagonista indipendente, a tratti un po’ snob, dal carattere forte e con le idee ben chiare. Segnale di un profondo cambiamento sociale in atto.
Il 1957 fu l’anno del primo dietro front sanremese, una sorta di ritorno al classico, dopo l’insuccesso dell’edizione precedente, sancito dall’eccessiva presenza di esordienti. Tornarono i big e la formula della doppia esecuzione. Dei venti motivi selezionati, soltanto diciannove vennero eseguiti dal vivo, a causa dell’esclusione in extremis de “La cosa più bella”, canzone considerata già edita poiché presente in diversi juke-box sparsi per il Paese. Si trattò della prima squalifica nella storia del Festival.
Vinse “Corde della mia chitarra”, portata in scena da Claudio Villa e Nunzio Gallo, ancora una volta il pubblico assistette inerme all’esaltazione della disperazione e del tradizionalismo. Non furono da meno motivi come “Usignolo” e “Scusami”, mentre regalò momenti di buonumore “Casetta in Canadà”, impressa negli annali per la sua spassosa giovialità. Il brano era firmato da Panzeri-Mascheroni, gli stessi autori di “Papaveri e papere“, intenti a travestire di leggerezza una morale importante, che rimandava alla precarietà delle cose. Un modo come un altro per canticchiare e riflettere sui valori fondamentali della vita.
Di tutt’altro respiro e di tutt’altra allegria, sarebbe stata l’ottava edizione del Festival senza l’esordio in gara di Domenico Modugno e di Johnny Dorelli, entrambi interpreti della rinomata “Nel blu dipinto di blu” che divenne in breve tempo l’inno di un’intera nazione nel mondo. Una rivoluzione che modernizzò e stravolse per sempre le obsolete regole della canzone italiana, segnando un solco profondo tra quello che c’era prima e quello che sarebbe venuto dopo.
L’organizzazione della manifestazione passò dalla Rai nelle mani dell’ATA, la società concessionaria del Casinò, che ebbe tutto l’interesse nel realizzare uno spettacolo di ottimo livello. Dopo un lustro di assenza, il 1958 sarebbe dovuto essere l’anno del grande ritorno della regina Nilla Pizzi con “L’edera”, fu invece un trentenne esordiente di Polignano a Mare a trionfare, anzi… a volare.
“Squadra che vince non si cambia”, così nel 1959 Modugno e Dorelli bissarono sulle note di “Piove (ciao ciao bambina)”, con la magia e la poesia dei suoi mille violini suonati dal vento. Alcuni rotocalchi dell’epoca sollevarono un caso attorno al brano, chiedendone l’esclusione poiché incriminato di essere già stato eseguito dal vivo in America e, quindi, non considerato del tutto inedito. Richiesta respinta.
Alla guida della kermesse debuttò Enzo Tortora, al suo unico Festival in veste di conduttore. Suscitò parecchio interesse l’esordiente Jula de Palma, per il modo sensuale di interpretare “Tua”, al punto da richiedere una interrogazione parlamentare e l’intervento del Ministero dell’Interno «per fermare la deriva morale di un’esibizione ritenuta troppo passionale». E se all’epoca ci fosse stato il twerking di Elettra Lamborghini sarebbe caduto il Governo? Domanda a cui non potremmo mai dare una risposta.
Nel bene e nel male, le canzoni sanremesi degli anni ‘50 rappresentarono uno spaccato del nostro Paese, raccontandolo fedelmente ma, allo stesso tempo, parzialmente. Tra gli argomenti cantati, figurarono il patriottismo, la nostalgia di casa da parte degli italiani emigrati, il rimpianto dei tempi che furono e l’amore, in tutte le salse e in tutte le fragranze.
L’industria discografica crebbe e la kermesse canora ne ricoprì il ruolo della “gallina dalle uova d’oro”. Nel giro di un decennio si passò dalle 80 mila copie ai 9 milioni di dischi venduti. La manifestazione tentò con fatica di intercettare i gusti di un pubblico in continua evoluzione, in un’Italia alla ricerca ancora della propria identità. Al Festival di Sanremo il merito di aver suscitato interesse e di essere riuscito ad appassionare, ricreando una sorta di tifo simil-calcistico per una semplice gara di canzoni…