Sanremo Story: la rubrica che ripercorre le tappe fondamentali del Festival della canzone italiana, attraverso aneddoti e approfondimenti. A cura di Nico Donvito
Per molti il Festival di Sanremo è quell’evento televisivo che catalizza davanti allo schermo per una settimana all’anno, uno spettacolo colorato, uno psicodramma tragicomico collettivo, un carrozzone fiorito stracolmo di cantanti, presentatori e vallette. Negli anni, ne abbiamo lette e sentite parecchie di definizioni, tutte profondamente vere, ma nessuna realmente corretta. Sanremo origini Festival
Per dare una risposta allo slogan “Perché Sanremo è Sanremo”, è necessario riscoprire la storia di questo grande contenitore che nel tempo si è evoluto, ma senza perdere il proprio spirito. La verità è che il Festival è un vero e proprio fenomeno di costume, la favola musicale più bella di sempre, lo specchio canterino del nostro Paese. Con la sua liturgia, la kermesse non è mai riuscita a mettere d’accordo ammiratori e detrattori, forse in questo alberga la vera fonte del suo duraturo consenso. La rubrica “Sanremo Story” si pone l’obiettivo di raccontare tutto questo e molto altro ancora.
“Sanremo Story”, le origini del mito: alla scoperta del Festival
La prima metà del ‘900 fu contraddistinta da due grandi guerre, ma anche dall’innovazione tecnologica e dalla divulgazione di apparecchi che facilitarono la comunicazione tra le persone, a partire naturalmente dalla radio. Con il passare del tempo, nacquero supporti che intensificarono l’attività dell’industria discografica. Pensiamo all’avvento del vinile e, quindi, al graduale passaggio dal grammofono al giradischi.
In questa atmosfera di rinascita, tra camerieri che servivano ai tavoli, rumori di stoviglie di fondo e biglietti venduti al costo di 500 lire, andò in scena la prima edizione del Festival della canzone italiana, seguita parzialmente in diretta radiofonica dall’emittente Rete Rossa, l’antenata di Radio Rai, che trasmetteva soltanto le canzoni in concorso.
Erano le ore 22.00 di lunedì 29 gennaio 1951, al Salone delle Feste del Casinò di Sanremo l’atmosfera non appariva di certo quella delle grandi occasioni. Nessuno dei presenti avrebbe potuto immaginare quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Nemmeno la stampa ci scommise più di tanto, al punto che i giornalisti accreditati erano appena sei. Non a caso soltanto il Corriere della sera dedicò alla rassegna un paio di stringate righe all’indomani della finale. «Ieri sera si è concluso a Sanremo il primo Festival della canzone italiana. Ha vinto Nilla Pizzi con Grazie dei fiori. L’autore è Saverio Seracini, un musicista non vedente» si lesse tra le pagine del giornale milanese. Più che un articolo, sembrava un tweet.
Certo, in quel preciso momento storico c’erano altre cose a cui pensare, notizie più importanti da approfondire. Sul fronte internazionale preoccupava la Guerra di Corea, mentre da noi l’attenzione era rivolta al tema della ricostruzione, a partire dalla destinazione dei fondi americani stanziati per l’Europa dal Piano Marshall. A tenere banco c’erano anche il centrismo del Governo De Gasperi e la riforma agraria, varata in parlamento da pochi mesi. L’economia stava lentamente riprendendo, anche se l’inflazione e la disoccupazione preoccupavano l’intera Penisola.
In questo clima di profonda incertezza, dare risalto a una gara di canzonette poteva apparire inopportuno, forse un filino anacronistico. In realtà la musica, il cinema e la letteratura favorirono emotivamente la ripresa, spianando la strada al cammino che avrebbe portato al favoloso miracolo economico del decennio successivo. Molti motivi entrarono a far parte della colonna sonora di questo processo di sviluppo. Brani che, spesso e volentieri, venivano lanciati proprio dalla stessa manifestazione in principio snobbata.
In fin dei conti, probabilmente, non ci credevano nemmeno gli stessi organizzatori, ovvero Amilcare Rambaldi e Adolfo Siffredi. Il primo era un fioraio appassionato di musica, mentre il secondo era il sindaco della cittadina ligure. L’intento iniziale era semplicemente quello di rilanciare il turismo sanremese, in un periodo dell’anno con scarsa affluenza alberghiera. Una specie di primordiale e comunale operazione di marketing, volta a rimpinguare le casse del Casinò Municipale incentivando la presenza di clienti, allietandoli con una buona cena e un gradevole sottofondo musicale, prima di recarsi al tavolo da gioco. Ebbene sì, il Festival nacque con nobili intenti, ma più in senso economico che etico.
Ad intuire il potenziale discografico di questa iniziativa, furono principalmente le case editrici dell’epoca, che risposero in massa al bando messo in piedi dall’organizzazione. Giunsero 240 canzoni, la commissione esaminatrice ne selezionò 20 da presentare nel corso delle prime due serate, durante le quali vennero scelte le 10 finaliste. Per dare ulteriore lustro a questa intuizione, venne chiamato il maestro Cinico Angelini che, con i suoi fedeli musicisti, aveva già ampiamente dimostrato di saper interpretare la tradizione, incanalandola in qualcosa di nuovo. A lui il compito di dirigere l’Orchestra di Musica Leggera della Rai, composta da ventuno elementi.
Per eseguire i motivi in concorso vennero arruolati tre cantanti: Nilla Pizzi, Achille Togliani e il Duo Fasano, composto dalle sorelle gemelle Dina e Delfina. Reclutati e messi sotto contratto dall’emittente di Stato, non si trattava di artisti liberi sul mercato, bensì di dipendenti con uno stipendio, un orario di lavoro, un’indennità di trasferta e gli annessi straordinari, al pari dei musicisti membri dell’orchestra.
Ad aggiudicarsi il primo titolo del Festival della città dei fiori, indovinate un po’, fu proprio “Grazie dei fiori”, a dimostrazione che non sempre la realtà può superare la fantasia. Una bella rivincita per Nilla Pizzi, che si riprese con gli interessi un successo interrotto dalla censura del regime fascista. A metà degli anni ’40, infatti, era stata allontanata dalla radio a causa della sua voce considerata troppo sensuale ed esotica per i canoni dell’epoca. Col tempo le venne attribuito l’appellativo di regina della canzone italiana.
Il Festival nacque come manifestazione radiofonica, considerato che, all’epoca, la tiratura dei supporti era limitatissima e di 78 giri ne circolavano davvero pochi. Non a caso i brani in concorso in questa prima edizione vennero incisi e immessi sul mercato ben due settimane dopo il termine della rassegna, poiché all’inizio non era prevista alcuna stampa. Alla fine della fiera, sommando tutti i motivi in concorso, di copie se ne vendettero ben 80 mila, niente male per un debutto.
Da quel preciso istante, discografici e addetti ai lavori cominciarono ad intuire il vero potenziale della kermesse, con la stessa euforia che spinge Zio Paperone a tuffarsi nella sua piscina colma di monete d’oro. In più dagli Stati Uniti arrivavano notizie a dir poco allettanti, era stata brevettata una nuova tipologia di supporto: il 45 giri, che poteva contenere due singoli, il celebre lato A e il sottovalutato lato B, con una qualità del suono decisamente migliore e costi di produzione inferiori rispetto al suo antesignano.
Il Festival capitava, come si suol dire, a fagiolo. Con queste novità alle porte, il mercato aveva bisogno di nuovi canali di promozione. Alla seconda edizione, dunque, si cominciò a lavorare alacremente sin da subito, con maggior spinta, progettazione ed esperienza…
Nico Donvito
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