Con sei anni di ritardo una recensione (non richiesta) al progetto del rapper di Senigallia
Questa rubrica si intitola “se te lo sei perso” e nasce dal fatto che, così come gli artisti, anche chi scrive di musica a volte crea delle cose che poi finiscono in qualche cartella nascosta del PC. A volte lì devono rimanere, altre invece una piccola chance di emergere la meritano. Queste recensioni sono una rielaborazione di considerazioni passate: rilette, riaggiustate e riproposte in questo spazio. Queste analisi personale non seguono una logica precisa. Non sono state richieste e probabilmente non porteranno una grossa pubblicità dato che si legano a lavori ormai datati. Soprattutto oggi, dove un progetto discografico spesso nasce, cresce e muore in poche ore tra il giovedì e il venerdì, tra i fasti dello streaming e poco altro. Questo è “se te lo sei perso”. Magari uno spazio inutile, magari no.
Vorrei partire con una dovuta premessa rivolgendomi direttamente a te che stai leggendo questo articolo. Se sei un hater del rap, uno di quelli che odia le parolacce nelle canzoni e che considera gli artisti “non pop” creature mistiche fatte di autotune, autocelebrazione e poco cervello, gente da dover sopprimere e assolutamente da tenere lontanissimo dalla portata dei più giovani: fermati qui. Alla prossima.
Bene, se stai leggendo ancora: o sei un ascoltatore che fa parte della categoria sopracitata, il che mi spaventa perchè significa che alla fine, in qualche modo, ti farai sentire; o sei un mio amico (nel caso ti saluto e ti mando un abbraccio caloroso): o sei un un fan del rap italiano annoiato. Potrebbe anche esistere il caso che tu sia Fabri Fibra o qualcuno che gli orbita intorno, in quel caso dico solo “buona lettura, a me il rap piace”.
La prima volta che ho ascoltato il rap, caro Fibra, è stato proprio grazie a te. Non so a quanti anni, non so in che classe, ma so che sentire tutte quelle parolacce all’interno di quel disco folle con il titolo di ‘Mister Simpatia’, mi ha portato una serie di emozioni contrastanti e curiose. Tralasciando il fatto che mi chiedevo se fosse legale pubblicare musica così, con il pensiero che il solo ascolto mi avrebbe messo in qualche lista nera dei servizi segreti italiani, la reazione più grande fu quella di cominciare, grazie ai potentissimi mezzi dell’epoca, un circolo illegale di scambio musicale che in brevissimo tempo portò l’intera scuola ad avere nuova incredibile e inaspettata musica da far suonare ai nostri scintillanti dispositivi.
L’album |
Tutto questo cosa c’entra con un disco uscito nel 2015, svariati anni dopo? Certo, stiamo parlando dello stesso autore, ma c’è di più perchè ‘Squallor’, insieme ad altri dischi usciti negli anni appena precedenti o appena successivi, ha contributo a rimettere il rap al suo posto naturale, dopo anni in cui, parlando di mainstream, il pop stava di fatto divorando le ultime tracce di rap per il grande pubblico. Tralasciando tutta la nuova ondata di Sfera e compagnia trappante, che da li a breve avrebbe iniziato a macinare progetti e successi vari. Appena prima sono stati proprio album come ‘Squallor’, ‘Status’ (Marracash), ‘Vero’ (Guè Pequeno), ‘Ragazzi madre’ (Achille Lauro), ‘Localz Only’ (Noyz Narcos e Fritz Da Cat) o ‘Hellvisback’ (Salmo) a dare nuova spinta al genere, dimostrando di la possibilità di farsi spazio nelle zone alte delle classiche anche senza dover inchinarsi ai rigidi schemi del pop.
‘Squallor’, il disco di cui parlerò oggi, è stato lanciato in maniera quantomeno curiosa. Buttato sul mercato senza uno straccio di annuncio. Così, dall’oggi al domani, senza promozioni in radio, pubblicità, instore e tutte le altre classiche “menate” da ufficio stampa. Senza singoli anche solo lontanamente radiofonici e senza cantanti pop come ospiti. Solo rapper. Solo rap.
La forza di questo disco sta nel fatto che può essere visto sia come un’entità unica che come 21 tracce diverse da poter estrapolare dal contesto per immergerle in uno totalmente differente. ‘Squallor’ è una manata in faccia, un disco dove Fibra non si ferma quasi mai a riflettere e dove al contrario butta fuori tutto quello che ha da dire senza il minimo freno.
Senza stare ad entrare troppo nel dettaglio, già dalla intro ‘Troie in Porsche’ si può capire benissimo quale sarà il mood del progetto. All’interno di ‘Squallor’ si parla tanto di musica, di rap ovviamente, ma anche di un passato non dimenticato e della società. Ci sono pezzi che mostrano un Fibra quasi totalmente abbandonato al suo flusso di coscienza: vedi gioielli come ‘A casa’ e ‘A volte’. Ci sono anche brani pronti a farti muovere il collo come ‘Dexter’, ‘Alieno’ e ‘Rock that shit’, ma anche le riflessioni amare in ‘Dio c’è’, ‘Sento le sirene’ e ‘Voglio sapere’. Come dimenticarsi poi del celebre #FuckFedez urlato a metà del singolo ‘Il rap nel mio paese‘, un brano che, al di là del beef, avrebbe certamente meritato più visibilità.
Con questo lavoro Fabri Fibra ha voluto in qualche modo sfidare il mercato, dimostrando di poter fare il suo lavoro anche senza dover occuparsi della parte che lui stesso definisce la più noiosa del processo, ovvero quella promozionale. In un momento dove sembrava necessitare dell’aiuto del pop e dei suoi schemi fissi per esistere, ecco quindi un uscita che ci dimostra il contrario, riportando la pura essenza “urban” al centro della scena. ‘Squallor’ vince per tanti motivi: innanzitutto perchè mette d’accordo il classico ascoltatore che dal rap vuole “sangue e rime”. Poi perchè unisce il meglio della scena, con nomi di primissimo livello che si aggiungono alla tracklist e la rendono stellare (Nitro, Salmo, Guè Puqueno, Marracash, Gemitaiz, Madman, Clementino… e non li abbiamo nemmeno citati tutti…), ma soprattutto perchè riesce a risultare credibile, non banale e denso di contenuti anche senza annoiare. E senza strizzare l’occhio al pop e alle radio.
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