giovedì, Aprile 18, 2024

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Senhit: “Ho lottato per tornare a cantare nella mia amata lingua italiana” – INTERVISTA

A tu per tu con l’artista bolognese per parlare del suo ultimo singolo “Dark room” e dei nuovi progetti

Tra le artiste più internazionali del nostro vivaio musicale, spicca il nome di Senhit, nata e cresciuta a Bologna, di origini eritree. “Dark room” è il titolo del suo nuovo singolo, impreziosito dal videoclip diretto da Luca Tommasini e dal remix di Max Brigante. Un pezzo che segna il suo ritorno alla lingua italiana, dopo vari progetti eseguiti in inglese che l’hanno portata a farsi conoscere in giro per il mondo. In occasione di questo lancio, abbiamo raggiunto telefonicamente la cantante per una piacevole chiacchierata volta ad approfondire la sua personale visione musicale.

Ciao Senhit, benvenuta su RecensiamoMusica. Partiamo dal tuo ultimo singolo “Dark room”, che sapore ha per te questo pezzo?

«E’ una canzone effettivamente nuova, in quanto arriva dopo tantissimi progetti internazionali cantati in inglese, quindi rappresenta un ritorno alla mia lingua natia perché, nonostante le mie origini eritree, sono nata e vivo a Bologna. E’ una canzone energica, intrigante, divertente, ballabile, molto provocante ma non provocatoria, è una dark room 2.0 degli anni nostri, non necessariamente “zozza” o sporca, ma rappresentativa del modo di vivere oggi gli incontri e le relazioni».

Viviamo in un’epoca di appuntamenti al buio, le relazioni diventano sempre più complicate, perché il filtro del digitale ci porta a non sapere bene chi abbiamo davvero dall’altra parte. Come valuti il tuo rapporto con i social network?

«Ne sono a volte affascinata e a tratti anche un po’ annoiata, hai detto bene tu, spesso diventa un’effimera corazza, un riparo, fondamentalmente però si perde il gusto della naturalezza, soprattutto quando si parla di approfondire una conoscenza. Mi ritrovo a far parte di questo mondo social soprattutto per lavoro, perché senz’altro è il metodo più veloce ed istantaneo per poter mandare dei messaggi. Per me il web è un misto di contraddizioni, da una parte serve, è determinante ed evolutivo, dall’altra parte si perde tutto il resto. A volte mi convinco che il desiderio innato che l’essere umano ha di relazionarsi. riuscirà a riprendere il sopravvento, altre ho il timore che non si riesca più a tornare indietro. Come per tutte le cose, bisognerebbe utilizzare la giusta misura».

A livello musicale, pensi che il web abbia portato più vantaggi o svantaggi?

«E’ sempre lo stesso discorso contraddittorio che ti dicevo prima, da una parte ha portato sicuramente vantaggi, senz’altro ha sdoganato tutta una serie di talenti e ha dato la possibilità a tante persone di uscire attraverso il web, dall’altra ha innescato l’idea di un successo facile, la musica ha bisogno di esperienza, di gavetta, di sudore, di preparazione, non basta scrivere una canzone e caricarla su YouTube. Non te lo so dire se sia un vantaggio o meno, è molto sliding doors, diciamo che forse ha agevolato tutto, ma onestamente non so se sia un bene o un male».

Tornando al brano, “Dark room” è accompagnato dal videoclip diretto da Luca Tommassini. Com’è stato lavorare con lui e cosa avete voluto trasmettere attraverso quelle immagini?

«E’ stato molto divertente, la scelta di Luca Tommassini mi sembrava abbastanza ovvia, perché ha una visione musicale molto visionaria e internazionale, impronta che desideravo mantenere pur cantando in italiano. Gli ho lasciato carta bianca perché mi fido della sua professionalità, col senno di poi ho fatto benissimo perché il risultato è per me bellissimo, ben riuscito, secondo me non poteva esserci “Dark room” senza di lui».

Che ruolo gioca la musica nella tua vita e quanto incide nel tuo quotidiano?

«E’ predominante, è un’urgenza, è terapia, è fondamentale. Non riesco a non ascoltare musica e parlare spesso dell’enorme potere che ha sulle persone, su quanto incida consapevolmente o inconsapevolmente nelle nostre vite. Mi rendo conto che una semplice canzone è in grado di cambiarmi totalmente l’umore, ascoltare o cantare per me è fondamentale».

Ascoltando le tue produzione si percepisce una predisposizione verso generi variegati e soprattutto internazionali, come definiresti il tuo rapporto con la musica italiana? Ci sono artisti del nostro Paese che in qualche modo hanno influenzato e segnato il tuo percorso?

«La mia passione per la musica la posso definire decisamente eclettica, sono cresciuta con ascolti internazionali, dal funky al soul, per cui di italiano ho sempre ascoltato molto poco. Ci sono tante artiste, donne soprattutto, che reputo notevolissime, penso a Irene Grandi o Simona Bencini dei Dirotta Su Cuba, loro appartengono un po’ al mio mondo, ma per quanto riguarda qualcosa di più melodico mi viene in mente Giorgia e, naturalmente, i classici cantautori, da Fabrizio De Andrè a Francesco Guccini. Sono molto legata agli artisti italiani, anche se mi reputo appassionata della musica in generale, dal Musical all’Opera, ma ultimamente ho riscoperto tanti artisti nostrani e li ascolto spesso, da Elisa a Marco Mengoni, passando per Jovanotti che ho avuto il piacere di conoscere, ma anche Ghali, Diodato e tanti altri, effettivamente ci sono tante cose davvero interessanti».

A proposito di musica italiana, il Festival di Sanremo è una delle poche esperienze che onestamente ti mancano, avendo già calcato palchi importanti a livello europeo, tra cui l’Eurovision nel 2011. Ti piacerebbe debuttare all’Ariston?

«Assolutamente sì, direi una bugia se ti dicessi il contrario, perché rimane la vetrina più importante, italiana e non. Poi, chissà, dopo l’estate uscirà un nuovo singolo, in cantiere c’è il progetto di un nuovo album, mai dire mai, ci si sta pensando, per lo meno di tentare di calcare il palco dell’Ariston. Sai, da italiana sono molto legata a questa manifestazione, l’ho sempre seguita, anche sul web quando magari ero all’estero per lavoro, rimango una fan accanita di questa storica kermesse, chissà che un giorno non ci sia la possibilità di realizzare questo grandissimo sogno (sorride, ndr)».

Quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere? Cosa dobbiamo aspettarci dalla tua futura musica?

«Senz’altro costante energia, passione e desiderio per questa forma d’arte. L’idea è quella di mantenere sempre un sound internazionale, perché l’idea è quella di partire in italiano per poi riuscire magari a sconfinare, un po’ come si faceva una volta, la nostra è una lingua bellissima che è molto amata all’estero, di sicuro meno parlata e compresa rispetto all’inglese o lo spagnolo. Magari ci sarà spazio anche per qualcosa di più intimo, fino a questo momento non mi sono sentita pronta, poi mi piaceva l’idea di cercare di farlo in lingua italiana. Insomma, ci saranno tante bellissimo sorprese, non posso spoilerare di più (sorride, ndr)».

Proporre un genere internazionale nella nostra lingua credo onestamente sia la giusta intuizione, perché in inglese si corre il rischio di somigliare inevitabilmente a qualcun altro nel mondo, mentre in italiano il risultato tende sicuramente ad essere più unico, almeno nel nostro panorama. Lo stesso Phil Collins ha più volte dichiarato che l’italiano è una lingua facile, fatta per cantare. Cosa ne pensi?

«Guarda, sfondi una porta aperta, come ti dicevo all’inizio ho lottato per poter tornare a cantare in italiano, perché qualsiasi lingua attraverso la musica assume una valenza universale. Questo l’ho capito grazie alla mia partecipazione all’Eurovision nel 2011, all’inizio ammetto di avere un po’ snobbato quell’esperienza, sono arrivata a Dussendolf con poche aspettative, lì mi sono resa conto della potenza della musica, c’era un’energia così forte che superava qualsiasi lingua. Sono stra-fiera e convinta come te che la musica italiana possa essere esportata anche nella nostra lingua, senza bisogno di traduzioni. Questo è quello che nel mio piccolo farò, o almeno ci proverò, anche se è oggettivamente più difficile».

Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica in questi anni di attività?

«Che bisogna continuare a perseverare, anche quando è complicato. E’ fondamentale studiare, perché non si nasce imparati, questo me lo disse un grande Maestro come Luciano Pavarotti, con il quale ho avuto la fortuna di lavorare anni fa per un musical. Bisogna cercare di essere caparbi e testardi, anche davanti agli ostacoli, continuare ad avare avanti puntando bene il proprio obiettivo, credendoci con tutta la forza che abbiamo dentro di noi».

© foto di Julian Hargreaves

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Nico Donvito

Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica italiana e spettatore interessato di qualsiasi forma di intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.
Nico Donvito
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