A tu per tu con con la band livornese, fuori dal 29 novembre con il loro terzo album in studio
Si intitola “Tutti amiamo senza fine” il terzo capitolo discografico dei Siberia, giovane gruppo musicale toscano composto dal frontman Eugenio Sournia, dal bassista Cristiano Sbolci Tortoli, dal batterista Luca Pascual Mele e dal chitarrista Matteo D’Angelo. L’album, prodotto da Federico Nardelli, arriva dopo i positivi consensi riscossi dai precedenti “In un sogno è la mia patria” e “Si vuole scappare”, segnando una netta svolta a livello artistico, al pungo da poterlo considerare un lavoro consapevole e maturo. In occasione di questa interessante pubblicazione, abbiamo incontrato per voi la band per approfondire il loro punto di vista musicale.
Ciao ragazzi, comincerei con una panoramica generale, chiedendovi: quali tematiche e che tipo di sonorità avete scelto di abbracciare in questo vostro terzo album di inediti?
«Come in parte spoilerato dal titolo, in questo disco si parla principalmente d’amore, la tematica forse più abusata e trattata nella storia della musica e dell’arte in generale. Quello che abbiamo cercato di aggiungere è un po’ di leggerezza, perché è un disco decisamente più fruibile dei due precedenti, ci siamo posti come obiettivo quello di cercare di essere il più possibile sinceri nel trattare un argomento così importante. In questo disco abbiamo cercato un approccio meno esemplare, nei testi abbiamo trattato un po’ tutti gli aspetti, comprese le meschinità e le cose più superficiali, per avere una narrazione dalla panoramica più reale e completa. Per quanto concerne le sonorità, invece, non abbiamo pensato a qualcosa da cui attingere, bensì sono venute fuori in maniera istintiva in sala prove, da vera band.
Gli arrangiamenti sono il risultato di due settimane in sala prove, tanto lavoro e l’obiettivo di realizzare qualcosa che fosse totalmente al servizio delle canzoni, da qui la decisione di registrare il disco in presa diretta. Musica suonata ma, al tempo stesso, poco arzigogolata».
Mi rivolgo in particolare ad Eugenio, l’autore dei testi, qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?
«In questo disco, per la prima volta, ho lavorato alla stesura di alcuni testi insieme a Cristiano. Mi affascina il fatto che, spesso, non mi impongo di parlare di una determinata cosa, ma banalmente viene fuori tutto di getto, soprattutto dopo aver iniziato a scrivete in maniera continuativa, rispetto a quando sei agli esordi. Crescendo, diventando un vero e proprio lavoro, è chiaro che tutto si trasforma verso una dimensione più professionale e ti ritrovi nel pieno caos di idee. La cosa che più mi affascina dello scrivere penso sia il metodo, per farti una metafora è un po’ come il setaccio che serve per scovare le pepite d’oro, in qualche modo lo considero un atto minerario.
C’è un verso di Ungaretti che dice “quando trovo in questo mio silenzio una parola scavata è nella mia vita come un abisso”, penso che l’atto dello scrivere richieda un esercizio, che sia un po’ come tirare fuori qualcosa dal nostro interno e ad un certo punto, quando meno te l’aspetti, arriva l’idea giusta, ma ci vogliono tempo e pratica, perché solo così maturi il linguaggio per poter prendere al volo l’ispirazione».
Che idea vi siete fatti dell’attuale scenario discografico? Come valutate il mercato musicale di oggi?
«Sicuramente è un panorama variegato, che ha subito un’evoluzione immensa in pochissimo tempo. Sono cambiate le regole del gioco, noi ci siamo trovati a cavallo tra il prima e il dopo, questa è stata una delle difficoltà che abbiamo dovuto affrontare nella costruzione del progetto, perchè affonda le radici nella generazione precedente, quando esisteva una netta linea di separazione tra la scena mainstream e la scena alternativa, mentre oggi c’è più confusione e tutto suona in un unico calderone.
Questo, da una parte può essere anche un bene, ma sono cambiate le carte in tavola e noi vogliamo cercare in tutti i modi di preservare la nostra identità, ma senza estraniarci da tutto il resto, sarebbe sciocco non tenere in considerazione ciò che sta succedendo intorno, non possiamo rinchiuderci in una sorta di torre d’avorio. Con questo disco abbiamo cercato di fare un passo fuori dalla nostra comfort zone, pur mantenendo una sorta di linguaggio distintivo».
Dal prossimo febbraio tornerete ad esibirvi dal vivo, che tipo di live avete intenzione di mettere in scena?
«Stiamo provando e lavorando a mettere insieme lo spettacolo, sicuramente non mancheranno pezzi del primo e del secondo disco. E’ bello perché, pur essendo degli emergenti, abbiamo già alle spalle un repertorio abbastanza vario, per cui cercheremo di fare diverse scalette, a differenza del precedente tour, prepareremo diversi live. L’idea di fondo è quella di fare a Livorno un live diverso da quello di Firenze, in modo tale che le persone possano essere incentivate a tornare».
Per concludere ragazzi, dove e a chi vi piacerebbe arrivare attraverso la vostra musica in generale e con questo disco in particolare?
«E’ innegabile che ci auguriamo che la nostra musica riesca a prendere il maggior numero di pubblico possibile, scriviamo canzoni per quello. Ci auguriamo di riuscire a comunicare qualcosa alla nostra generazione, ai nostri concerti vengono spesso persone adulte, trentacinquenni e quarantenni, questo ci fa da un lato molto piacere, ma dall’altro è quasi diventato un cruccio. Per noi è un motivo d’orgoglio, ci sentiamo stimati, però non vogliamo nasconderci cercando di appartenere ad una generazione che alla fine non è la nostra, l’obiettivo è comunicare alle persone con cui abbiamo a che fare nella vita di tutti i giorni, non vogliamo lasciare che a farlo siano solo altri tipi di proposte.
Attraverso lo streaming l’artista è come se fosse invitato a seguire certi canoni, perché puoi contare su un algoritmo che ti targettizza molto bene se rispetti quelle regole. Ecco, nel nostro caso i progetti che ci piacciono di più sono quelli più estremi, anche opposti al nostro genere. Nel nostro piccolo ambiamo all’originalità, non ci sentiamo un gruppo passatista».
Nico Donvito
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