Silvia Salemi: “Il vinile? Un oggetto di culto” – INTERVISTA

Silvia Salemi

A tu per tu con Silvia Salemi, in occasione dell’uscita del vinile in edizione limitata di “23 ore”, fuori a partire dallo scorso 24 gennaio. Ecco la nostra intervista

Il 24 gennaio è uscito “23 ore – Limited Edition”, l’edizione limitata dell’ultimo progetto discografico di Silvia Salemi in vinile bianco Abbiamo incontrato l’artista in questa intervista per parlare con lei a 360 gradi del suo impegno musicale e del suo percorso che, proprio quest’anno, taglia il traguardo dei trent’anni di carriera.

La tracklist del vinile di “23 ore” contiene le dieci canzoni estratte dall’omonima raccolta disponibile in digitale (http://ada.lnk.to/23ORE), tra cui gli ultimi singoli “Fiori nei jeans”, “Amore eterno”, “Animali notturni” e l’evergreen  “A casa di Luca”, canzone presentata per la prima volta al Festival di Sanremo del 1997 e vincitrice del Premio della critica per il miglior testo.

Silvia Salemi presenta il vinile “23 ore – Limited Edition”, l’intervista

Essendo il vinile rotondo, consideri questa uscita un po’ come la chiusura di un cerchio di un progetto già uscito in digitale?

«Allora, diciamo che il cerchio non si riempie mai, o almeno si spera. Anche perché manca sempre la ventiquattresima ora, quindi manca sempre un ultimo tassello. Nella vita c’è sempre posto finché la vita non finisce, diciamo così, per un altro respiro nuovo, per una apertura, una porta che va, una possibilità, un’occasione. Detto questo sì, sicuramente il vinile è un punto di arrivo per questi miei trent’anni di carriera. Evidentemente c’era bisogno di avere una fisicità di questi dieci pezzi che erano tutti in digitale e che sono frutto di questi anni di produzione, di incontri con autori, di pensieri di musica, di Covid, perché alcuni sono stati fatti in quarantena quando non ci si poteva vedere incontrare e suonare insieme. Nonostante questo, credo che alla fine sia venuto fuori un prodotto rotondo, effettivamente, un prodotto che mi rappresenta, che ha questa alternanza di chiari scuri in copertina, ma anche musicalmente, un po’ come la tastiera del pianoforte, la vita».

In un’epoca in cui il digital la fa da padrone, al vinile viene spesso associato il sostantivo di “feticcio”. È cambiato sicuramente il modo di fluire la musica, qual è il tuo pensiero a riguardo?

«Il vinile per me è un oggetto di culto, è come un libro di storia, è come un qualcosa che fa parte di noi e che richiama molto anche la curiosità dei ragazzi. Per esempio, le mie figlie mi hanno chiesto come mai, cos’è, da dove viene, da quale mondo strano proviene, da quale tomba egizia è stato tirato fuori. Penso che dovrebbe essere considerato un patrimonio il vinile, perché suona in modo diverso, perché ha un odore diverso, perché ci racconta un pezzo della nostra storia, perché lo puoi vedere dentro casa come non puoi vedere una canzone digitale. Quindi materializzare un qualcosa di prezioso è doveroso secondo me, lo considero toricamente un dovere».

Cosa ti stanno restituendo a livello personale le esperienze da conduttrice televisiva e radiofonica? Quali skills pensi di aver acquisito?

«In primis la capacità di stare un passo indietro, di mettermi da parte, di lato… in tutti i luoghi, forche davanti. Chi invece intervista è portato a tirar fuori quello che la persona accanto ha da raccontare. Stare un passo indietro è una cifra stilistica anch’essa, per riuscire a tirare fuori il meglio dalle persone. Per cui credo che sia un grande lavoro quello del conduttore, radiofonico o televisivo che sia, un po’ come il lavoro del regista, secondo me, parafrasando e utilizzando altri mondi, come quello cinematografico, prendendo in prestito appunto altri altri ruoli. Il regista sta dietro la camera e tira fuori il meglio dai suoi attori attraverso una sceneggiatura, un copione. Tornando alla domanda, cosa ho acquisito? Credo e spero di acquisirla sempre di più, la capacità di stare in ascolto delle persone. Oggi nessuno ascolta, tutti abbiamo le orecchie, ma nessuno le utilizza. Tutti parliamo, utilizziamo la bocca, ora se l’uomo ha due orecchie e una bocca, cosa vuol dire? Che dovremmo più ascoltare che parlare fondamentalmente».

Per concludere, il 12 ottobre non è solo la data della scoperta dell’America, ma in quello stesso giorno nel 1995 vincesti Castrocaro e partì la tua carriera. Qual è la lezione più importante che pensi di aver tratto dalla musica in questi trent’anni di attività?

«La musica è la mia vita, non è una lezione, è tutto. La lezione è un pezzo della vita. La musica sono tutte le lezioni di una vita e la morale è che ce la può fare chiunque, anche una ragazza che nasce in un paese lontano da tutto il sistema circuito mediatico-musicale, come nel mio caso è Palazzolo Acreide. Quel luogo mi ha dato tutto quello che sono, la forza di emergere. Se fossi nata in una città come Roma, al centro di tutto magari mi sarei accontentata di altro. Invece ho dovuto rompere delle barriere, quindi la musica mi ha trascinato dentro tantissime situazioni meravigliose, mi ha salvato la vita e quindi non è solo la lezione, ma è proprio tutto il percorso accademico di una vita».

Scritto da Nico Donvito
Parliamo di: