A tu per tu con la cantautrice milanese, in uscita con il nuovo singolo intitolato “Non faccio niente“
Tempo di nuova musica per Simona Severini, fuori in radio e sulle piattaforme digitali con il singolo “Non faccio niente”, disponibile per Virgin Records/Universal Music a partire dallo scorso 21 gennaio. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Simona, benvenuta. Partiamo dal tuo nuovo singolo “Non faccio niente”, cosa racconta?
«“Non faccio niente” parla dei pensieri random, quelli del dormiveglia o dei momenti di pausa nelle giornate. È una dedica ai momenti privati, quelli in cui si sta con se stessi».
Quali sensazioni e quali stati d’animo ti hanno accompagnato durante la fase di composizione del brano?
«L’ho scritta in un momento in cui la pressione esterna delle persone mi infastidiva particolarmente. Mi succede abbastanza spesso di non aver voglia di interagire con gli altri e di ritirarmi nei miei pensieri».
C’è una frase che, secondo te, rappresenta e sintetizza al meglio il significato della canzone?
«La mia frase preferita è “io penso si muove la mia mente”. Credo mi rappresenti molto ed è il centro attorno a cui ho costruito il resto della canzone».
Dal punto di vista musicale, che tipo di lavoro c’è stato insieme al producer Luca Mattioni per quanto riguarda la ricerca del sound?
«Abbiamo cercato un sound che riprendesse suoni a cui mi sono legata negli anni, in particolare legati alla sfera del jazz-soul e funk americano».
Facciamo un breve salto indietro nel tempo, quando e come ti sei avvicinata alla musica?
«La musica c’è sempre stata nella mia vita, è un punto di riferimento da quando sono nata. Verso i cinque anni ho pressato i miei genitori per farmi studiare chitarra ma già ascoltavo musica e cantavo».
Quali ascolti hanno accompagnato ed influenzato il tuo percorso crescita?
«Sono cresciuta con i Beatles e Joni Mitchell, più tardi mi sono appassionata al jazz, al soul e poi alla musica antica, più tardi ancora a cantautori come Bon Iver, Damien Rice, Patrick Watson».
In un momento di grande paura e confusione come quello che stiamo vivendo, credi nel potere terapeutico dell’arte?
«Credo che l’unica terapia per la guerra sia la fine della guerra. L’arte immagina nuovi mondi possibili, se distruggiamo quello da cui veniamo non potremo immaginare più nulla».
Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?
«La mia musica è per tutti, animali vegetali e minerali compresi. In futuro mi piacerebbe arrivare a più “tutti” possibile».
© foto di Ambra Parola
Nico Donvito
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