Solchi, parliamo del disco “Petra Lavica” di Kaballà

Solchi - Kaballà Petra Lavica

Il fascino del vinile, tra scoperte e riscoperte musicali: parliamo di “Petra Lavica” di Kaballà. A cura di Marco Baroni

In un’era digitale, dove tutto è a portata di clic, il vinile resiste come un simbolo di autenticità, passione per la musica e rimane un oggetto prezioso, capace di raccontare storie attraverso i suoi solchi incisi.

In questa rubrica, Marco Baroni ci guiderà in un viaggio attraverso i solchi di vinili che hanno fatto la storia, esplorando non solo i classici intramontabili, ma anche le gemme nascoste ec he meritano un posto d’onore nelle collezioni degli appassionati.

Ogni settimana, esploreremo insieme dischi leggendari che hanno segnato la musica italiana, tra rarità dimenticate e indiscussi capolavori, riscoprendo il piacere di un ascolto autentico e senza tempo.“Solchi” è il luogo dove la musica torna a vibrare in tutta la sua purezza.

Il nostro viaggio prosegue con “Petra Lavica” di Kaballà, pubblicato dalla CGD nel 1991.

Solchi, parliamo del disco “Petra Lavica” di Kaballà

Questo è l’esordio da cantautore di un grande artista, Pippo Kaballà. Prodotto da Massimo Bubola e Lucio Fabbri, il disco è  del 1991 e si annovera tra gli dischi di alta manifattura del tempo, per qualità delle canzoni e degli arrangiamenti.

C’è il ritmo, la tradizione siciliana nel dialetto, e poi ci sono musicisti strepitosi. Il primo solco del lato a è su “In gloria” che ci immerge nell’atmosfera per arrivare al capolavoro “Petra lavica” interamente in dialetto siciliano, un racconto sulle difficoltà di una terra che incanta con i suoi colori e il suo mare, visto dagli occhi di un bambino.

Oltre al testo, la musica è spaziale, ricca di atmosfere sognanti, la versione strumentale in chiusura lo conferma. Arriviamo a “Il mirto e la rosa” che tra fatiche e giorni pieni, con il suo incipit “sarà l’amore che salverà la tua vita donandoci il mirto e la rosa” emoziona subito.

Sutta lu mari” tratta da un racconto postumo di Giuseppe Tomasi, narra l’amore utopistico giovanile vissuto con una sirena che fonde amore e morte, meravigliosa poesia in canzone tra archi e chitarre acustiche.

Il lato b si apre con un’altra dedica alla Sicilia, “Fin’ a dumani”, meravigliosa e dal tempo incalzante. Passata l’orientaleggiante “Vento d’amuri”, ancora chitarre ritmate per “Quantu ci voli” nel suo arrangiamento popolare, con un testo volto a imprecare per il ritorno del tempo dell’amore.

Rimando a tutti l’ascolto dell’intero album e dell’ultima “Sciogli i capelli” poesia splendida che con gli archi ci parla d’amore. E’ un album particolarissimo, una sorta di “Creuza de ma” (Fabrizio De Andrè-1984)  in siciliano, per la profondità della ricerca sonora, si sente proprio la terra che suona ascoltandolo.

L’album è stato ristampato, in questa era del vinile ritrovato, anche se la mia prima stampa profuma ancora di quel periodo in cui lo comprai, a metà anni ’90 in un negozio qualsiasi, dove si respirava la musica prima ancora di spacchettare i dischi. Kaballà ha continuato egregiamente con altri album a suo nome e ha ramificato il suo lavoro donando la sua penna poetica a tanti artisti. 

Scritto da Marco Baroni
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