Il fascino del vinile, tra scoperte e riscoperte musicali. A cura di Marco Baroni
In un’era digitale, dove tutto è a portata di clic, il vinile resiste come un simbolo di autenticità, passione per la musica e rimane un oggetto prezioso, capace di raccontare storie attraverso i suoi solchi incisi.
In questa rubrica, Marco Baroni ci guiderà in un viaggio attraverso i solchi di vinili che hanno fatto la storia, esplorando non solo i classici intramontabili, ma anche le gemme nascoste ec he meritano un posto d’onore nelle collezioni degli appassionati.
rnOgni settimana, esploreremo insieme dischi leggendari che hanno segnato la musica italiana, tra rarità dimenticate e indiscussi capolavori, riscoprendo il piacere di un ascolto autentico e senza tempo. “Solchi” è il luogo dove la musica torna a vibrare in tutta la sua purezza.
Il nostro viaggio prosegue con l’album omonimo di Piero Ciampi pubblicato da Sony nel 1971.
Solchi, parliamo di Piero Ciampi
Il fiore che è disegnato su questa copertina, con questi occhi in mezzo ai petali arancioni, è una buona metafora dell’album. Se l’arancione porta colore, entusiasmo, positività, gli occhi in bianco e nero, uno più stralunato dell’altro, riecheggiano una malinconia sordida e latente che però, una volta abbassata la puntina o schiacciato play, se ne esce come un orso in un giardino popolato da mamme e bambini la domenica mattina al parchetto…
Piero Ciampi è stato un prototipo di genio e sregolatezza, incapace totalmente di rispettare le regole, un contratto, un appuntamento, costantemente incoraggiato dagli amici (Gino Paoli su tutti che gli procurò il primo ingaggio serio) vittima di un fantasma oscuro e dannoso come l’alcolismo. Questo però, pur accorciando i suoi giorni su questo pianeta, non ha fatto in modo che le sue canzoni, dedite la maggior parte delle volte alla sua condizione di vita, quindi precarie, sofferenti, arrabbiate, ma intrise di quella poetica che solo i grandi cantautori hanno, lasciassero il segno nella memoria di molti fan (alcuni sono artisti affermati) che tuttora lo venerano.
Dato che lo spazio di cui mi approprio, mi porta a scrivere in questo 2024, non posso non fare un paragone temporaneo, in questi tempi, la musica si è spostata inevitabilmente (non solo in estate) sulla spensieratezza, la voglia di non pensare, un tiepido sottofondo da bar o sale giochi, insomma una cosa… mi fa malissimo dirlo, inutile, la pandemia è solo l’ultima cosa ad aver sicuramente dato il colpo di grazia. Chissà cosa penserebbe Piero Ciampi, con il suo accento livornese di questo scempio odierno, dove, casi rari a parte grazie al cielo, siamo surclassati di musica senza sostanza né contenuto.
Questo album, con canzoni come “Sporca estate”, “Ma che buffa che sei”, la divertente “Il giocatore” – chiaramente d’azzardo -, e le più note “Il vino” e “Tu no”, compongono un piccolo mosaico di tristezza, desolazione, mal di vivere, voglia di buttare tutto all’aria, ma sempre con una sgangherata autenticità. Geniale appunto “Il merlo”, dialogo tra un merlo (esistito veramente ed appartenuto al grande Alberto Moravia) che fischiettando di notte avrebbe suggerito a Ciampi qualche verso di una canzone…”da portare all’editore perchè sono senza una lira”.
Un disco necessario per chi si sente voglioso di costruire da solo e senza troppi consigli, il filo che lega i decenni attraverso le opere immortali di alcuni artisti, che un po’ per sfortuna, ma anche proprio per indole non hanno fatto in tempo a regalarci altro, a parte piccole particelle d’immenso. Ciampi se n’è andato nel 1980, lasciando nel suo percorso terreno dischi bellissimi, e una frase che un po’ per discolparsi dalle malefatte varie, ci lascia intravedere uno scampolo di grande pentimento e umanità, ….”non capirai mai che il tuo dolore è uguale al mio”.
Marco Baroni
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