giovedì 21 Novembre 2024

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Sonohra: “La nostra nuova musica libera da paletti e compromessi” – INTERVISTA

A tu per tu con con il duo veneto, in uscita dal 14 dicembre con il disco “L’ultimo grande eroe”

Fratelli e musicisti a tutto tondo, questo e altro ancora sono i Sonohra, al secolo Luca e Diego Fainello, artisti che abbiamo avuto modo di apprezzare per due volte al Festival di Sanremo, vittoriosi tra le Nuove Proposte nel 2008 con “L’amore” e tra i big due anni dopo con “Baby”. Arriva negli store a partire dal 14 dicembre il loro quinto progetto discografico L’ultimo grande eroe, anticipato dal singolo Ciao, frutto di un lungo lavoro di ricerca e di sperimentazione.

Ciao ragazzi, parliamo del processo creativo di questo vostro nuovo album:  da quali idee siete partiti e a quali conclusioni siete arrivati?

«In questi due anni abbiamo ascoltato tantissima musica, molte cose diverse rispetto al passato, ci siamo spostati sul cantautorato anglo americano. Da lì abbiamo cominciato a scrivere, cercando di porci meno paletti possibili, anche se riteniamo che il nostro disco più libero debba ancora uscire, molto probabilmente, arriverà con la seconda parte. Stiamo cercando di comporre in maniera sempre più libera, senza schemi, se ci pensi anche la semplice durata di una canzone è un paletto, alla creatività non dovrebbero esserci limiti di tempo o di altro genere».

C’è una veste precisa che avete voluto donare alle tracce presenti, sia a livello di sonorità che dal punto di vista testuale? 

«A livello musicale la nostra identità più marcata, si sta formando a livello live,  un sound che vorremmo fosse riconoscibile come “stile-sonohra”. Non è facile, perché quasi tutto ormai è stato inventato, ma ci proviamo. Anche se siamo dei musicisti, al giorno d’oggi, vivere di questo mestiere non è facile, anche se tanti non lo danno a vedere è veramente dura, viviamo in un mondo precario che nega ai giovani la possibilità di sognare e vivere della propria arte».

Dieci inediti così come sono dieci i vostri anni di carriera, qual è il vostro personale bilancio?

«Abbiamo raccolto tantissimo subito e poco o niente dopo (sorridono, ndr), un qualcosa che tuttora pesa su di noi e avremmo preferito ottenere meno successo prima e cercare di costruirlo in maniera graduale nel tempo, mettendo in chiaro da subito il tipo di musica che vogliamo proporre e la nostra vera identità. Ci siamo rimessi in gioco, per abbattere quel pregiudizio che, purtroppo, ci accompagna».

Perché secondo voi? Non venite da un talent…

«Certo, non abbiamo partecipato ad un talent show, ma la nostra musica è stata in qualche modo incanalata in un certo tipo di target, nel nostro caso ha pesato l’etichetta di teen idol, ancora oggi c’è chi crede che facciamo musica per ragazzini, anche se abbiamo quasi quarant’anni (“parla per te, io ne ho trentadue” precisa scherzando Diego, ndr)».

Un disco analogico, suonato dall’inizio alla fine, è importante sottolinearlo di questi tempi. Avete voluto oltrepassare il recinto tecnologico del preconfezionato e non porre limiti alla vostra creatività?

«Sì, anche se non stiamo inventando nulla di nuovo, non è altro che è un ritorno al passato, negli anni 70 si faceva così. Noi pensiamo che la storia sia ciclica è, prima o poi, si tornerà lì dove tutto è cominciato. Venendo dai live abbiamo sempre ragionato in questo modo, non siamo della scuola di chi crede che per realizzare un album servano loop preconfezionati, da questo punto di vista le nostre produzioni si discostano da ciò che si sente in giro oggi».

Facciamo un salto indietro nel tempo, come e quando vi siete avvicinati alla musica?

Diego: «Io facevo finta di suonare la chitarra davanti allo specchio con una racchetta da tennis, immaginandomi su di un palco davanti ad un grande pubblico».
Luca: «Ho cominciato cantando e suonando il pianoforte, poi durante il liceo, come solitamente succede, mi sono avvicinato ai vari gruppi rock e ho imparato a suonare da autodidatta la chitarra».

Quali ascolti hanno ispirato e accompagnato il vostro percorso? 

«Negli anni sono cambiati, siamo passati dagli Iron Maiden a Mark Knoffer, dai Queen agli Oasis, insomma tante influenze. Oggi ascoltiamo i foof fithers, manford, sors, John Mayer, i nostri gusti si sono spostati più verso un cantautorato folk statunitense».

Come valutate il livello generale dell’attuale settore discografico?

«Esiste ancora? (ridono, ndr). Scherzi a parte, anche solo rispetto a 10 anni fa notiamo meno cura nei confronti della figura dell’artista, gli si dava la possibilità di crescere, valorizzando le sue qualità. Oggi c’è molta più concorrenza, è cambiato completamente il meccanismo, c’è poca progettualità».

Ve l’avranno chiesto mille volte, ma mi incuriosisce sapere se essere fratelli crea dal punto di vista professionale più punti di contatto o più punti di scontro?

«Beh, sul palco litighiamo spesso, ma anche nella vita (sottolinea Luca, ndr), Diciamo che tra di noi c’è comunque sempre un confronto positivo, il bello è che ci diciamo sempre tutto in faccia».

Vi piacerebbe tornare al Festival di Sanremo? Insomma, non c’è due senza tre..

«Si, ma senza dover scendere a compromessi».

Quale messaggio vorreste trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la vostra musica?

«Un messaggio che verte sulla libertà musicale, noi non rinneghiamo assolutamente il nostro passato, ma ci rimettiamo semplicemente in gioco con una prospettiva diversa,. Questo album rappresenta un nuovo inizio, un punto di partenza verso direzioni diverse. Rispetto a ciò che abbiamo fatto finora. Questo è quello che vorremmo trasmettere al pubblico oggi».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.