A tu per tu con il cantautore in uscita con il suo secondo album, intitolato “La consapevolezza“
E’ disponibile in tutti gli store dallo scorso 18 ottobre il nuovo progetto discografico di Stefano Arenghi, intitolato “La consapevolezza”. Accompagnato dal singolo “Restare indifferenti”. la tracklist è composta da dieci brani inediti, che sincerano tematiche intime e universali, in cui ognuno di noi ci si può facilmente rispecchiare. Scopriamone di più con il diretto protagonista.
Ciao Stefano, partiamo dal tuo nuovo album “La consapevolezza”, cosa racconta?
«Il disco tratta temi differenti, personali e collettivi; un percorso che si snoda in 10 tracce dense di constatazioni sul mio presente, tra ricordi e prospettive sul futuro che però coinvolgono noi tutti; dalla fine di un rapporto, alla mercificazione umana, fino alla visione ironica, ma anche drammatica, della rete, per arrivare ad accorgersi che bisogna agire e non solamente lamentarsi. Nessun pessimismo, ma è un disco molto attaccato alla vita che mi piace definire resiliente».
C’è un filo conduttore comune che unisce le dieci tracce?
«Non è propriamente un concept-album, ma strada facendo mi sono accorto che lo era, in qualche modo. Ciò che unisce le canzoni è questa “benedetta consapevolezza” che a volte c’è e a volte no, con tutte le controindicazioni relative. Anche troppa consapevolezza può fare male, perché ti rende presuntuoso e poco disposto all’ascolto di altri punti di vista».
A livello musicale, invece, quali sonorità hai voluto abbracciare?
«Adoro il pop italiano ed internazionale degli anni 70-80-90 ma sono cresciuto con i cantautori, anche di protesta. Mi piace la commistione fra i generi; il pop, per definizione, “ruba” ad altri stili e, dovendo affrontare temi differenti, mi sono divertito a colorare i pezzi con sonorità variegate: dalla dance al funk, dall’elettronica all’acustica, ma non solo».
“Restare indifferenti” è il singolo scelto per accompagnare l’uscita dell’album, che valore ha per te?
«L’ho scelto perché indica meglio questa ricerca necessaria di una consapevolezza più collettiva, dopo aver fatto uscire, in tarda primavera, “La consapevolezza della fine” che è un brano molto più personale. Sulla musica di Luca Di Nozzi ho scritto “Restare indifferenti” di getto perché ne sentivo l’urgenza. L’assuefazione di contenuti nei social, tra selfie, piatti e drammi del mondo (basti pensare alla recente situazione curda) porta ad una pericolosa “normalizzazione” dei sentimenti e delle emozioni; una sorta di “blob” mediatico dove tutto è indistinto. L’incessante frase “non si può restare indifferenti”, ripetuta come uno slogan sul finale, vuole indicare paradossalmente che la ripetizione e la condivisione eccessiva nel web può portare ad un’anestetica visione del mondo che ci blocca, quando dovremmo invece prendere parte ad un’iniziativa reale, quando possibile, dopo un’iniziale e legittima indignazione. Fortunatamente, in alcuni rari casi, non è sempre così, ma fino a quanto siamo disposti a farci carico di altri mali del mondo così lontani quando a volte ignoriamo quelli vicini?».
Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?
«Ho scritto le prime canzoni a 14 anni, il mio primo palco è stato a 10 anni ma a 4-5 anni ricordo perfettamente che cantavo Baglioni sulla terrazza di mia zia. Mio padre era chitarrista in un gruppo di parenti, tutti musicisti semi-professionisti, per cui ho sempre respirato l’atmosfera musicale, pur non essendo mai diventato uno strumentista. Dalle cover band sono passato agli inediti solo dal ’98, cominciando ad interpretare i brani del Ti&Mi group: band con la quale ho vinto il Premio Lunezia nel 2004».
Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato la tua crescita?
«I dischi che mi hanno folgorato sulla via…della consapevolezza sono molti. I miei 2 fratelli maggiori mi hanno nutrito molto bene con i cantautori italiani ma, crescendo, ho guardato soprattutto all’estero; se devo pensare ad un disco perfetto penso a “The nightfly” di Donald Fagen. Chi però ha influenzato maggiormente la mia crescita musicale sono tutti quegli artisti italiani che da sempre hanno avuto un respiro internazionale: Battisti, Raf, Gianni Togni, solo per citarne alcuni, fino ad arrivare a Mario Venuti, premiato tra i BIG l’estate scorsa nella rassegna Spazio d’Autore a San Giminiano. In quell’occasione ho avuto l’onore di ricevere il “Premio Rivelazione 2019” per “La consapevolezza della fine”, il primo singolo di questo nuovo inizio: un ricordo che mi emoziona molto e che m’inorgoglisce».
Con quale spirito ti affacci al mercato e come valuti l’attuale scenario discografico?
«Con lo spirito di “un artigiano (che prova a fare) della qualità”, parafrasando uno spot tormentone, sperando di non tormentare nessuno. Un progetto autoprodotto ha bisogno di convinzione e di questi tempi ce ne vuole molta. In un mercato asfittico, che vive soprattutto di live, sembra che molti attendano un’implosione definitiva, per ripartire da zero… C’è molta musica nascosta che merita di essere valorizzata; se si educa il pubblico a un prodotto mediocre è normale che poi chiedano quello. Tornare a proporre non solo ciò che fa numeri (spesso falsati) sarebbe già un buon primo passo. Ma se la qualità non è più un valore, di che parliamo? In merito all’argomento consiglio vivamente la lettura del libro di Michele Monina, “Contro la musica”; mi ha reso più consapevole sul fatto che essere sé stessi sia la cosa più importante, soprattutto se fai musica per esprimerti e non per incrementare l’ego o i likes».
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi professionali e/o sogni nel cassetto?
«A breve uscirà il video del singolo, la versione in CD dell’album e, dopo questa prima fase di promozione, nel 2020, mi piacerebbe portare questo progetto nei LIVE, anche in versione semplicemente acustica. Sui sogni, alcuni li ho tirati fuori, ma il cassetto è ancora pieno; credo che tra poco dovrò cambiare cassettiera».
Per concludere, dove e a chi desideri arrivare con la tua musica?
«Dove? Non mi pongo la meta ma mi godo il viaggio; esprimere me stesso nel percorso è già molto. A chi desidero arrivare? A quel pubblico che considera la musica un valore importante, condiviso e non un semplice sottofondo».
Nico Donvito
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