venerdì 22 Novembre 2024

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Stefano Ligi e il suo viaggio nella canzone d’autore – INTERVISTA

L’artista di Urbino ci racconta il suo personale omaggio ai grandi cantautori che lo hanno ispirato, dal ricordo dell’amico Lucio Dalla al maestro Rino Gaetano.

Cosa spinge un cantante ad omaggiare un altro artista? Una domanda semplice che scava nel vissuto personale e nel profondo di ognuno di noi, emozioni che abbiamo cercato di analizzare con Stefano Ligi, cantante che ricordiamo per aver preso parte alla cinquantunesima edizione del Festival di Sanremo con “Battiti”, seguito dal successo riscosso dal suo primo album “Io e la mia compagnia”, frutto di una interessante e sincera collaborazione con Lucio Dalla. Da qui l’idea di omaggiare sia lui che altri grandi protagonisti della canzone d’autore italiana, tra cui Rino Gaetano, che il cantautore marchigiano omaggia con uno speciale spettacolo in giro per il Paese.

Ciao Stefano, partiamo dai tuoi esordi, quando e come ti sei avvicinato al mondo della musica?

«Ho avuto la fortuna di avere un padre musicista, quindi, in casa si cantava e quello che ricevi da piccolo spesso è ciò che, in qualche modo, riproporrai da grande. Ho cominciato a suonare la chitarra da giovanissimo, ispirato soprattutto dalle opere di Lucio Dalla, Rino Gaetano e Paolo Conte, ho amato e sposato quella musica dentro la mia anima, ereditando la grande passione per questa meravigliosa forma d’arte da mio papà».

Poi hai continuato sempre di più a coltivare la tua passione per la canzone d’autore…

«Si, avevo quindici anni, il mio mito Lucio Dalla ha preso una casa proprio nella mia città a Urbino, così, spinto da mio padre, l’ho cercato per fargli ascoltare la mia musica, perché lui aveva prodotto e lanciato tanti giovani, dagli Stadio a Ron, passando per Samuele Bersani e Luca Carboni. Pensa che giravo sempre con un mio cd in tasca, in modo da consegnarglielo alla prima occasione utile. A distanza di quindici giorni dall’incontro, mi chiama una sua collaboratrice per chiedermi di aprire un suo concerto, seguito da ben ottantacinque date. Terminata la tournée ha prodotto il mio primo disco, mandandomi poi a Sanremo, insomma un sogno realizzato, per me era tutto come un luna park, per un artista vivere Lucio Dalla significava avere a che fare con un guru, una persona magnetica».

Chi era davvero Lucio? Raccontacelo sia come persona che come artista

«Come artista c’è davvero poco da aggiungere, ha abbracciato quattro generazioni e vivrà in eterno, spero arriverà presto ad essere studiato nelle scuole insieme a Lucio Battisti e Fabrizio De Andrè. Come uomo… stare con lui era una gioia, portava serenità, allegria, pace, riusciva a motivare le persone, a darti sempre il consiglio giusto, capiva e sapeva sempre quello che doveva dirti per farti stare bene. Aveva quella marcia in più che oggi, purtroppo, manca ai giovani». 

In effetti oggi manca una figura del genere nel panorama discografico, forse più umanamente che professionalmente…

«Esattamente, ad esempio, nei talent i ragazzi vengono messi in competizione l’uno contro l’altro, senza prestare attenzione alla comunicazione e alle canzoni. Una volta gli artisti collaboravano tra di loro, non si facevano guerra, c’era più spirito di squadra. Oggi, invece, tutto dura poco e niente».

Dall’incontro con Lucio nasce “Io e la mia compagnia”, il tuo primo disco prodotto dallo stesso insieme a Roberto Costa, che ricordo hai di quel periodo e di quel progetto?

«Un sogno che si avvera. Da Urbino mi sono trasferito a Bologna, tre mesi in studio sotto la sua supervisione e quella di Roberto, che è stato anche lui un grandissimo musicista e autore di canzoni. E’ incredibile quando ripenso a quel periodo mi emoziono, perché era davvero la realizzazione di tutto ciò che speravo e che desideravo più di ogni altra cosa». 

Nel 2001 arriva l’apice del tuo successo, che poi lo rappresenta un po’ per tutti gli artisti, mi riferisco al Festival di Sanremo, in gara tra le Nuove Proposte con “Battiti”. Parlaci di questa esperienza, come l’hai vissuta?

«Io vivo tutto come un bambino e Sanremo è stato un grande parco giochi, vivere quel palco in una delle edizioni più belle, condotta dalla grande Raffaella Carrà. Però, devo dirti la verità, sono più felice adesso, mi sento più concreto, sento di aver imparato davvero a fare questo mestiere. All’epoca ero un ragazzino poco esperto, adesso ho imparato cosa significa fare il cantante girando in lungo e in largo con la mia band. La vita è incredibile, il messaggio che vorrei lanciare è proprio questo: se uno sogna e ci crede può anche non arrivare a cento e fermarsi a settanta, ma essere contento lo stesso». 

In questi sedici anni, ovviamente, sei cresciuto e maturato, così come è cambiato il mondo della discografia. Non dico in meglio o in peggio perché quello dipende dai punti di vista, ma sicuramente è diverso. Secondo te, è più difficile esprimersi oggi? Nonostante, paradossalmente, ci siano più occasioni per farsi sentire attraverso la rete?

«Oggi è sicuramente più facile esprimersi, tutti se vogliono trovano il proprio spazio, attenzione, in quel calderone che è rappresentato dal web, da YouTube. Tutti ci sono, tutti postano quello che vogliono e, di conseguenza, c’è una confusione generale, per cui farne un mestiere è diventato cento volte più difficile, il mercato è saltato in aria anche per colpa di internet, i discografici non sono stati in grado di cautelare le opere e gli artisti stessi. Oggi è sicuramente semplice far sentire la propria musica ma, al tempo stesso, è diventato impossibile concretizzare e vivere di musica, un vero lusso per pochi».

Arriviamo al tuo attuale impegno nei confronti della canzone d’autore e, in qualche modo, ritorniamo anche al discorso dell’infanzia. Che spettacolo stai portando in giro per il Paese?

«Omaggiare i grandi cantautori rappresenta per me un forte legame con le mie radici, come ti dicevo prima, con gli ascolti di quando ero bambino dei dischi di mio padre. Quelle che interpreto sono tutte canzoni oneste, sentite e amate da me, ma anche dal pubblico sempre più caloroso che viene a sentirci suonare dal vivo».

Vogliamo ricordare quali sono gli attuali componenti della band che ti accompagna in giro per le serate?

«Con estremo piacere: ho Marco Bellagamba, batterista e richiestissimo professore di musica, al pianoforte ho Stefano Zambardino, alla chitarra Carlo Chiarenza, che è sempre impegnato in tournée con grandi artisti e al basso Gianluca Amici. Sono ragazzi veramente straordinari che suonano di tutto, dalla musica classica al jazz, arrivando a suonare pop con tutta un’altra esperienza ponendo diversi accenti, roba che solo i veri professionisti sanno fare».

Veniamo a Rino Gaeatano, cosa rappresenta per te questo artista e quel cilindro che indossi rendendo omaggio a questa grande maschera della canzone italiana?

«E’ straordinario vedere tra il pubblico persone anagraficamente così diverse, dai giovanissimi alle persone più grandicelle, Rino unisce più di cinque generazioni e rappresenta un incredibile evergreen. Il segreto del suo successo, proprio come per Lucio Dalla, è stato quello di non seguire le mode, bensì di anticiparle grazie alla propria autenticità e originalità, al punto da affascinare anche le nuove generazioni. Lui giocava con l’ironia, era dotato del senso profondo della leggerezza, da non confondere con la superficialità di oggi». 

La stessa profonda leggerezza che tu stesso hai trasmesso nel tuo ultimo brano “Terza media”, che ha segnato un po’ il ritorno alla tua musica, a un tuo inedito, un inno generazionale che avevi nel cassetto da un po’ di tempo…

«Io continuo a scrivere, a portare avanti anche il mio progetto personale, ma mi confronto sempre con questa amara e attuale realtà, i discografici non investono più e io li capisco pure, il mercato non esiste più, ma io continuo lo stesso a comporre perché mi fa stare bene. Sono in contatto anche con alcuni colleghi, chissà che non riesca a far cantare le mie canzoni a qualche altro artista, come mi è già capitato nel 2003 proprio con Lucio Dalla che cantò la mia ‘Ambarabà Ciccicocò’. Staremo a vedere».

Quali sono i tuoi progetti per il futuro e/o sogni nel cassetto? Parlaci di queste tue “Canzoni naif”…

«Certo, ‘Canzoni naif’ è un disco che ho finito di registrare circa un anno fa e che, man mano, sveleremo lanciando una canzone alla volta. Arriveranno sicuramente nuove cose, anche per quanto riguarda la televisione, ogni tanto mi chiamano per esibirmi con qualche omaggio nei confronti di Lucio, come accaduto nel 2013 insieme a Luca Carboni, Samuele Bersani, Ron e Gianni Morandi, in diretta da Piazza Maggiore a Bologna. Quindi tornerò presto alla ribalta nazionale, ma per me non conta questo, come diceva Zucchero, per me l’importante è fare il mio mestiere, se poi è su Rai 1 o alla Festa della Sole a Canicattì per me è uguale».

Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica e quella a cui rendi omaggio?

«Indossare sempre le ali della leggerezza, di non smettere mai di voler bene e di sognare, di vivere in pace con se stessi, non dimenticandosi mai di amare ogni giorno questo breve viaggio che è la vita e, sopratutto, di farsi poche seghe mentali!».

Si ringrazia la fotografa Monica Cicciarello per le immagini.

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.