Storie di Musica, “Back in black”: il segreto degli AC/DC
Viaggi tra note e curiosità, alla scoperta dei protagonisti e delle opere della scena musicale nazionale e non solo. A cura di Caravaggio
Benvenuti a “Storie di musica“, una rubrica ideata e realizzata del cantautore Caravaggio, dove ogni settimana ci immergeremo nelle pieghe più affascinanti della scena musicale, italiana e internazionale. Oggi parliamo di “Back in black” degli AC/DC.
Aneddoti sorprendenti, retroscena inediti e curiosità sui grandi protagonisti vi accompagneranno in un viaggio tra le note di opere immortali e le parole degli artisti che hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte canora.
Preparatevi a scoprire la musica da un punto di vista nuovo, svelando storie che pochi conoscono, ma che meritano di essere raccontate e scoperte.
Storie di Musica, “Back in black”: il segreto degli AC/DC
Hai mai perso il tuo migliore amico e dovuto decidere se fermarti o continuare senza di lui? Febbraio 1980. Bon Scott muore nel sonno, soffocato dal suo stesso vomito dopo una notte di eccessi e alcol. Gli AC/DC sono a pezzi. Il mondo teme il loro scioglimento. Ma il padre di Bon prende da parte Angus e Malcolm Young al funerale e dice: “Bon avrebbe voluto che continuaste”. È una benedizione che pesa come una promessa da mantenere.
Pochi mesi dopo, Angus è in studio, davanti al vecchio amplificatore Marshall. Pensa all’amico perduto, al vuoto. Allora stringe la chitarra e suona tre accordi micidiali, pesanti come un’enorme porta di metallo sbattuta in faccia al destino. È il riff di “Back in Black”.
Non è solo una canzone. È un pugno nello stomaco. È urlare al dolore: “Non mi pieghi”. La copertina sarà nera, come il lutto. Ma il suono è vivo, elettrico, furioso. Quel nero non è per gli AC/DC solo un simbolo di morte: è resistenza, memoria che brucia, è resurrezione. L’album “Back in Black” venderà milioni di copie e scriverà una delle pagine più incandescenti del rock.