Storie di Musica, Coldplay: “Fix You”, un capolavoro nato dal dolore
Viaggi tra note e curiosità, alla scoperta dei protagonisti e delle opere della scena musicale nazionale e non solo. A cura di Caravaggio
Benvenuti a “Storie di musica“, una rubrica ideata e realizzata del cantautore Caravaggio, dove ogni settimana ci immergeremo nelle pieghe più affascinanti della scena musicale, italiana e internazionale. Oggi parliamo di “Fix You” dei Coldplay.
Aneddoti sorprendenti, retroscena inediti e curiosità sui grandi protagonisti vi accompagneranno in un viaggio tra le note di opere immortali e le parole degli artisti che hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte canora.
Preparatevi a scoprire la musica da un punto di vista nuovo, svelando storie che pochi conoscono, ma che meritano di essere raccontate e scoperte.
Coldplay: “Fix You”, un capolavoro nato dal dolore
Ma è vero che le canzoni più belle nascono dai dolori più grandi? Chris Martin la scrive per il suo amore, l’attrice simbolo degli anni 90 Gwyneth Paltrow, che ha appena perso il padre. Vorrebbe aiutarla ad attutire il dolore ma di fronte a quel tragico evento si sente impotente. Così immerso nel silenzio della casa vuota, Chris si avvicina al vecchio organo vintage del signor Paltrow e comincia a suonare. È così che nasce “Fix You”.
Una ballad talmente fragile da sembrare fatta di vetro. Ma allo stesso tempo così potente da diventare una delle canzoni più suonate ai funerali nel Regno Unito. Eppure… all’inizio, i Coldplay non volevano nemmeno pubblicarla. Troppo lenta. Troppo semplice. Troppo diversa. Poi succede qualcosa! La suonano per la prima volta durante un soundcheck a Chicago e la crew si ferma in silenzio ad ascoltare. Alla fine del pezzo i fonici, i tecnici e macchinisti hanno gli occhi lucidi e parte un applauso spontaneo. È lì che la band capisce di avere in mano qualcosa di speciale.
Per registrare “Fix You” usano un antico harmonium degli anni ’30, poi costruiscono il crescendo con layer di chitarre liquide, lavorate con delay analogici, batterie elettroniche e una stratificazione orchestrale che cresce fino all’esplosione finale. Il risultato non è solo una canzone. È una carezza. Un abbraccio sonoro nato da una perdita. È una promessa che dice: “Sarò lì quando cadrai a pezzi e mi prenderò cura delle tue ferite”.