Il primo atto della carriera di uno dei cantautori più iconici e amati del nostro paese
Ci sono opere e canzoni che sono destinate a durare nel tempo senza veder scalfita la propria forza originaria, ci sono artisti così avanti per la propria epoca da non riuscire a trovare una giusta collocazione, gemme rare che attraversano il tempo senza invecchiare mai, in una parola: immortali.
Perché Antonello Venditti risulta ancora oggi così amato dalle nuove generazioni? Probabilmente perché, oltre che aver scritto grandi pagine della musica cantautorale italiana, è riuscito negli anni ad approcciarsi al pubblico con un linguaggio unico e sincero, con il quale ha saputo abilmente parlare, oltre che d’amore e della sua amatissima Roma, di vita, di strada e soprattutto dell’Italia, con uno sguardo critico e sempre attento. A partire dagli esordi, il buon Venditti ha saputo cucirsi addosso l’innovativa figura del “cantautore da pianoforte”, alternando ballate romantiche a intelligenti e taglienti riflessioni sulla politica del tempo, riproponendo con le sue personalissime interpretazioni temi comuni per gli anni ’70.
Il suo debutto arriva proprio sul nascere del 1970 ed è ad opera della casa discografica It di Vincenzo Micocci con la quale pubblica, nel 1972, in un inedito duo insieme a Francesco De Gregori, l’album Theorius Champus, primo e unico lavoro ufficiale che vede la collaborazione tra i due artisti conosciuti presso il locale Folkstudio di Roma. Il debutto da solista, che permette di far intravedere tutto il talento narrativo e discorsivo dell’artista avviene invece, sempre per la It, nel 1972 con L’orso bruno.
E’ invece il 1973 quando, sotto la casa discografica RCA, viene pubblicato l’album Le cose della vita, in cui ad uscire è tutta la capacità narrativa del cantante, abile nel sapersi muovere tra argomenti filosofici e quelli più pratici, mischiando con arguzia personaggi, pensieri e luoghi personali. Così come accade anche nel successivo Quando verrà natale, uscito l’anno dopo e in cui ritornano i racconti e i tormenti del giovane cantautore. Tratto caratteristico e primario di Venditti rimane comunque il pianoforte che accompagna quasi tutte le sue composizioni, suonato da lui stesso e che gli permette di poter puntare su arrangiamenti minimali ma mai banali, perfetti per i suoi racconti urbani.
Per il primo e vero successo però, l’artista dovrà attendere ancora qualche mese, sarà infatti con Lilly, brano estratto dall’omonimo album, che volerà in vetta alle classifiche. E’ da qui che la gente comincia così a notare e dare spazio al cantautore che in ogni caso non smette di trattare argomenti scomodi e polemici, a partire dalla stessa Lilly, che narra una storia di droga, mischiandoli come sempre al proprio vissuto, tra Roma e ricordi, come la celebre Compagni di scuola, divenuta nel tempo un vero e proprio cavallo di battaglia.
Da qui in poi, quello che veniva considerato come una giovane promessa della musica italiana, arriverà pian piano a scalare le vette delle classifiche e soprattutto ad entrare nel cuore di milioni di italiani, appassionati dai suoi racconti sinceri e sempre credibili. Ma Venditti è un personaggio che vuole dire la sua, sempre, e così continua a farlo nei dischi senza paura di nessuno. Nel ’76 è l’ora di Ullàlla, in cui l’artista continua a raccontare di sé e del mondo circostante con passione ed ironia, riservando una dedica speciale all’incidente di Seveso, nel brano Canzone per Seveso.
Menzione speciale merita invece il disco Sotto il segno dei pesci (1978), di cui da poco è stato celebrato il quarantesimo anniversario con un lunghissimo tour speciale. Uno degli album più amati del cantautore che riesce a scavare a fondo nella ricerca di uno stile personale e unico con cui tratta numerosi temi caldi del tempo passando dal racconto dell’Italia con brani come Bomba o non bomba e Il telegiornale, a romantiche ballate come Giulia e hit come il doppio singolo Sotto il segno dei pesci/Sara.
Giuseppe Currado
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