A tu per tu con la nota interprete romana
Una chiacchierata a cuore aperto, così potremmo definire il nostro incontro con Cecilia Cipressi, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Syria, artista completa e di pancia, come ce ne sono state poche all’interno dello scenario musicale italiano. In occasione della sua partecipazione alla settima edizione di “Buon compleanno Mimì“, abbiamo avuto modo di scambiare una piacevole chiacchierata con lei, per parlare della figura di Mia Martini, dei suoi progetti teatrali e della sua decisione, si spera momentanea, di fermarsi discograficamente.
Ciao Cecilia, bentrovata. Innanzitutto, come stai?
«Bene, benissimo, in balia degli eventi, sono da poco rientrata dalle vacanze, Settembre è il mese dei buoni propositi, inizia l’anno scolastico per i figli e ripartono tante cose. A Roma si dice “faccio cose e vedo gente” (ride, ndr), in questo momento sono in pausa con lo spettacolo “Perché non canti più – Tributo a Gabriella Ferri”, riprenderemo più avanti, nel frattempo con Pino Strabioli stiamo pensando anche a qualcosa di nuovo, lavorare in teatro mi piace davvero tanto».
Quale canzone del repertorio di Mia Martini hai scelto di reinterpretare?
«“Almeno tu nell’universo”, capisci la responsabilità? Mai cantata, se non in camera davanti allo specchio fin da ragazzina, mi sento onorata e felice di poterla interpretare in questa meravigliosa festa che, ormai da anni, viene celebrata qui al Teatro Nuovo. E’ sempre necessario ricordare Mimì, ci fa bene fare un ripasso di quello che ha rappresentato, tutti abbiamo nostalgia di lei, una donna del suo rango nella musica italiana non c’è più, è un punto di riferimento per tante cantanti della mia generazione e anche di quelle successive, perché ha saputo dare cose che soltanto studiando il suo percorso si possono cogliere ed imparare ad amare».
Hai avuto modo di conoscere personalmente Mimì, che ricordo hai di lei?
«Mimì era totale, una donna enorme, con grande personalità e carisma, empatica, introversa, educata, mai fuori luogo. Io ho avuto la fortuna da piccola di frequentarla un po’ perché mio papà era il suo discografico, ho avuto l’onore e il privilegio di avere a che fare con questa signora, zia Mimì, che veniva a casa spesso. Ero una bambina, la osservavo con gli occhi a cuore perché mi trattava in maniera molto dolce, aveva tanta voglia di compagnia, amava parlare e confrontarsi con gli altri. Mi dispiace pensare che se ne sia andata così, aveva ancora molto da dire e, forse, anche bisogno di persone intorno che le tendessero la mano, questo è il mio pensiero personale. Ci manca».
Quanto ha influito la sua figura nelle generazioni femminili successive?
«Ma tantissimo, guarda. Non sarei né la prima né l’ultima a dire che ha fatto la differenza, perché si è messa a nudo raccontando certe storie, scegliendo canzoni con testi importanti che ha saputo fare propri, in maniera viscerale, profonda e disperata. Sono quei casi della vita che devono rimanere unici, non ci possono essere ripetizioni, bensì l’idea di poter prendere spunto da lei, dalla sua capacità di dare peso alle parole, perché secondo me non serve andare a scuola di canto per imparare a cantare le canzoni di Mia Martini, non c’è una regola, stiamo parlando di una fuoriclasse che si è concessa il lusso di fare e dire cose che sapeva gestire solo lei. E’ nostro compito ricordarla con l’equilibrio e il massimo rispetto, in modo tale che tutti, finito lo spettacolo, possano tornare a casa e avere voglia di ascoltare i suoi dischi».
Il nostro è un Paese che tende a dimenticare, questo genere di manifestazioni servono. Una figura che hai citato all’inizio, che purtroppo non è ricordata come meriterebbe, è Gabriella Ferri. Mi sento di ringraziare te e chi porta avanti la sua storia e il suo repertorio…
«Questo spettacolo, che tra l’altro è stato ufficializzato dalla famiglia, è un piccolo punto di partenza per continuare a ricordarla, perché ci stiamo rendendo conto, andando in giro per l’Italia, di quanto Gabriella sia amata dal pubblico. Sento addosso una grande responsabilità, in scena racconto la sua storia, leggendo i suoi diari personali, canto e mi siedo per parlare con la gente che ha nostalgia della sua musica. Purtroppo non l’ho mai conosciuta, ma ho letto tanto di lei e attraverso i racconti di Pino Strabioli ho imparato a conoscerla e, se possibile, ad amarla ancora di più».
Cosa manca, oggi, alla musica italiana di questi grandi artisti? Quali sono le principali caratteristiche che, secondo te, si sono estinte?
«Guarda, ormai siamo tutti un po’ troppo dipendenti dai social, dai mass media, da quest’esigenza spudorata di dover apparire a tutti i costi. Tutto questo si trasforma in un meccanismo quasi perverso che scatena una sorta di gara volta a dover essere in ogni dove, a seguire determinate logiche discografiche per sentirsi vivi e contare qualcosa, per non parlare delle produzioni e di tutto quello che esce fuori. Ben vengano figure come Mia Martini, Gabriella Ferri, Dalidà e Giuni Russo che hanno fatto bene alla musica italiana, esempi che purtroppo non potranno mai più ripetersi, sono state uniche e delle autentiche fuoriclasse, molto probabilmente oggi sarebbero considerate fuori luogo, le cose belle e di classe non sono più così tanto di moda, viviamo in un’era dove è preferibile consumare tutto velocemente, ci annoiamo di una cosa e ne cerchiamo subito un’altra. Teniamoci stretti questi ricordi e continuiamo a fare dei passi indietro, ricordando tutto ciò che è stato fatto di buono in passato».
Oggi come oggi, immagino sia difficile portare avanti un proprio discorso discografico, ma siamo in tanti ad aspettare la tua nuova musica…
«Guarda, io ti ringrazio, ma l’ho detto più volte, al momento sono in standby perché penso che si possa fare a meno della mia musica tranquillamente, pur rispettando le persone che mi vogliono bene e che hanno creduto in me sin dall’inizio. Lavorare in teatro, avere la possibilità di raccontare le storie di determinati artisti, per me è un servizio verso la musica che mi fa sentire libera e felice di poterne fare parte. Personalmente fare dischi non mi interessa, perché voglio tenermi lontana da quel tipo di meccanismo, siamo così tanti oggi, al punto che avrei paura di sgomitare e di soffrire.
Quindi, penso che valga la pena mettersi da parte, anche se per la gente cantare vuol dire andare necessariamente in televisione, in realtà non è così, si può condurre una vita dignitosa anche lontano dai riflettori. Per quanto riguarda nuovi dischi, non ho la presunzione di farne perché al momento non la trovo una soluzione, l’ultimo album che ho pubblicato è stata una raccolta per festeggiare i miei vent’anni di carriera, una sorta di riassunto di tutto quello che ho fatto, ospitando diversi colleghi, è stata la punta massima della felicità del mio percorso discografico. Mi fermo e aspetto, se vale la pena riprendo un treno, altrimenti sono felice di tutto quello che sono riuscita a realizzare».
Il tuo ragionamento è condivisibile, rispettabile, ma un appassionato di musica avverte dolore nel sentire queste parole…
«Certo, è verissimo, ma è un dolore che ho provato anch’io per molto tempo, fa male in primis a me pensare di arrivare a questo. Però, col senno di poi, ho preso coscienza e sono serena, soprattutto perché sono circondata dai figli, dalle persone che mi vogliono veramente bene e da un tipo di vita che, comunque, mi dà da fare, non mi fermo mai, mi occupo della direzione artistica di un festival d’estate, mi piace fare dj set, per non parlare dell’attività teatrale. Tutte queste cose rappresentano per me un modo per continuare a dare qualcosa, cantare? Sì, stasera (sorride, ndr), ricordare Mimì è sempre un buon motivo per cantare!».
© foto di Debora Tofy
Nico Donvito
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