martedì 8 Ottobre 2024

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Alessandro Tarallo: “Per cambiare il mondo bisogna partire da noi stessi” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore in uscita con il suo primo progetto discografico intitolato “Noi collegati”

Il suono e le immagini, due modi di comunicare che viaggiano all’unisono nella musica di Alessandro Tarallo, artista che ha saputo unire il mondo del cantautorato a quello della grafica. “Noi collegati” è il titolo dell’album che segna il suo debutto discografico, in uscita per l’etichetta Terre Sommerse, contenente otto tracce inedite che sfiorano tematiche e sonorità diverse. Prodotto da Paolo Fattorini, il progetto si avvale di numerosi professionisti del settore, musicisti di indiscusso spessore, tra cui citiamo il batterista Alessandro Inolti, il trombettista Raffaele Kohler e l’ingegnere del suono Emanuele Donnini. In occasione di questa interessante pubblicazione, abbiamo incontrato il cantautore per approfondire la conoscenza della propria arte.

Ciao Alessandro, partiamo da “Noi collegati”, che valore ha per te questo album d’esordio?

«Ciao a voi, e grazie innanzitutto per il vostro interesse. Uno step inevitabile di chi intraprende un percorso artistico è quello del confronto con un pubblico e con l’ambiente. Questo album d’esordio è per me il primo tassello, una porta che apro sul mondo musicale, invitando il pubblico interessato ad entrarvici per fare conoscenza».

A livello di tematiche, cosa hai voluto portare con te all’interno di questo tuo biglietto da visita musicale?

«“Noi collegati” nasce come tentativo di dare un senso ai conflitti che le relazioni molto spesso generano dopo un periodo di forte passione e attrazione. La chiave di lettura è quella che abbracciava anche lo psicologo Carl Gustav Jung: il partner è come uno specchio che riflette  ciò che noi nascondiamo nel nostro inconscio. Se l’immagine che vediamo impressa nella persona di cui siamo innamorati genera paure, insicurezze o dubbi, è probabilmente perché dobbiamo ricontattare una parte di noi che abbiamo nascosto a noi stessi».

Dal punto di vista musicale, invece, quali sonorità hai voluto abbracciare in queste otto tracce inedite?

«L’idea di base è quella della dualità tra gli opposti. Attrazione e repulsione, amore e paura, luce ed ombra. Anche le sonorità sposano quest’idea. La terra, la carnalità, la materia si traducono in voci graffianti, distorsioni e ritmiche rock a tratti tribali. Il cielo, la spiritualità e l’etere prendono vita col suono mistico dell’handpan arricchito dai riverberi lunghi e dalle tastiere calde. Due brani del disco (e per intero il live) sono accordati a 432 hertz, accordatura più calda che pare armonizzi l’uomo alla natura».

Chi ha collaborato con te in questo lavoro?

«La produzione artistica e gran parte degli arrangiamenti sono stati realizzati da Paolo Fattorini, produttore e artista controverso di Roma. A lui riconosco il vestito musicale del disco, che è stato cucito rispettando la scintilla originale. La batteria di tre brani è stata registrata da Alessandro Inolti (attualmente batterista di Fabrizio Moro) che vanta di varie collaborazioni anche internazionali. Mix e mastering dell’affermato Emanuele Donnini.

Per quanto riguarda i live, invece, mi accompagnano Marco Martinelli alla batteria e Lorenzo di Felice alla chitarra, e per una fase iniziale ringrazio Marco Viscardi e Marco Presazzi».

Un progetto che si sviluppa anche attraverso un racconto illustrato, di cosa si tratta esattamente?

«La mia provenienza dall’ambiente grafico mi ha portato ad immaginare un mondo “onirico” che rappresenta esattamente l’idea di legame tra due amanti e i loro conflitti.  Due anime innamorate, una di fronte all’altra, cercano di raggiungersi, ma una corda ancorata alle loro schiene, come un guinzaglio, frena i loro tentativi.

Nel live proietto 8 illustrazioni ed effetti grafici a ritmo di musica, raccontando del loro viaggio allegorico alla scoperta del mondo che li circonda, plasmato dai loro desideri e dalle loro paure. L’immagine completa, che è impressa sul poster contenuto nel booklet, svela il mondo intero spiegando il senso di quelle corde».

Quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?

«La passione per la musica è arrivata quando alle scuole medie ho abbracciato per la prima volta la chitarra. E’ stato da subito lo strumento che mi ha permesso di esprimere i miei pensieri e i miei sentimenti. Sono sempre stato impulsivo nella scrittura dei brani, lo facevo solo per me, come una sorta di diario, senza alcun obiettivo. Quest’ingenuità e incoscienza mi ha permesso di crescere e di accorgermi ad un certo punto che ero pronto per un confronto col mondo esterno».

Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il tuo percorso?

«Ho vissuto l’adolescenza in una sorta di bolla che mi ha un po’ isolato dal mondo esterno. Ciò che ascoltavo proveniva quindi dall’ambiente familiare che era caratterizzato dalla musica italiana leggera. Solo tardivamente ho iniziato ad apprezzare il rock classico, suonando chitarra e basso in cover band, e ho affinato gli ascolti di musica italiana orientandomi principalmente verso il panorama romano: Daniele Silvestri, Riccardo Sinigallia, Niccolò Fabi, Max Gazzè. Negli ultimi anni ho ascoltato molta musica indipendente italiana e qualche ascolto di musica indie inglese».

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella composizione di una canzone?

«La cosa che mi affascina di più nella scrittura di una canzone è il suo ascolto negli anni. I brani che scrivo sono come fotografie o pagine di diario di ciò che sto vivendo. E’ impressionante come l’ascolto di una canzone scritta anni prima mi catapulti indietro nel tempo».

Dopo aver parlato di te e del tuo mondo musicale, non posso non chiederti cosa pensi di quello che c’è intorno: come valuti l’attuale settore discografico?

«Rispondere a questa domanda necessita una conoscenza dell’ambiente più approfondito, cosa che non credo di avere. Ciò che posso dire concerne solo la mia esperienza in questo mondo, che come ho detto prima, sto iniziando a conoscere. Quello che noto è che  il mainstream è diventato particolarmente consumistico e basato esclusivamente sull’intrattenimento. Difficilmente esso da spazio anche ad idee più ricercate o che prescindano da una forte costruzione dell’immagine. Per fortuna esiste un ricco movimento “sotterraneo” tutto da conoscere e da approfondire, che offre musica di “sostanza” che alimenta psiche e anima. Per quanto riguarda le possibilità di fare musica live, presto saprò dire qualcosa di più».

Qual è l’insegnamento più importante che senti di aver appreso da questi anni di attività?

«In questi anni ho compreso che la comunicazione verso l’esterno può avvenire solo se ciò che si esprime è assodato ed elaborato all’interno di chi comunica. In questo senso credo che la produzione, l’uscita di questo disco, l’organizzazione del live abbiano avuto le tempistiche giuste di maturazione».

Per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?

«Il mio progetto porta con se una possibile chiave di lettura dei rapporti e della vita. In questa chiave, tutto ciò che ci succede all’esterno, ha un senso prima di tutto dentro di noi. Se vogliamo cambiare il mondo che ci circonda dobbiamo prima avere il coraggio di cambiare noi stessi».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.