A tu per tu con il cantautore alessandrino, in uscita con il nuovo progetto discografico intitolato “Theia“
Tempo di nuova musica per Francesco Taverna, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Tavo, artista piemontese classe ’93, fuori con il nuovo EP intitolato “Theia”, disponibile sulle piattaforme streaming e nei digital store dallo scorso 5 maggio. Anticipato dai singoli “Il tempo di ballare”, “Annabelle” e “Gange”, l’album riflette la condizione di chi si ritrova ad analizzare e ringraziare i propri errori, i passi falsi e le cadute, parti integranti di un percorso e di un disegno più grande. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Francesco, benvenuto. Partiamo dal tuo nuovo EP “Theia”, a cosa si deve la scelta di questo titolo?
«E’ un nome piuttosto particolare, “Theia” è il nome di un pianeta gigantesco che, come molti altri corpi celesti, deriva dalla mitologia greca. Più di quattro miliardi di anni fa, per un errore nella sua orbita s’è schiantato contro la Terra, i cui i detriti si sono col tempo radunati fino a formare quella che oggi conosciamo come la Luna. Quindi, il nostro unico satellite naturale nasce da uno dei più grandi errori del cosmo, innescando una serie di processi che hanno, di fatto, generato successivamente la vita sul nostro pianeta. Questo concetto mi piace molto, perché il disco parla di errori, di sbagli che ho fatto negli anni e che mi hanno portato, a loro modo, momenti migliori».
A livello di tematiche, un lavoro influenzato da questo stato d’animo, il fil rouge è la consapevolezza che dietro un fallimento può nascondersi spesso una rinascita, declinato a qualsiasi tipo di rapporto o di situazione. Nella vita di tutti i giorni, nell’eterna lotta tra istinto e ragione, dove ti collochi? Tendi ad essere più riflessivo o agisci più di pancia?
«Soffro per l’istinto ma, a volte, tendo a seguire la ragione. Lavorativamente parlando è una necessità, perché lavorando in un team mi sento un semplice tassello di una grande macchina e senza le altre persone non esisterei. Al di là della fase di scrittura, dove chiaramente seguo la pancia e l’istinto, è necessario utilizzare la ragione per il bene degli altri e per una cooperazione migliore. Nella vita di tutti i giorni, sono una persona che cerca di bilanciare, tendo a non farmi sopraffare né da uno né dall’altro».
Dal punto di vista musicale, invece, che tipo di sonorità hai voluto abbracciare in questo lavoro?
«Sono stato inserito nel filone indie-pop o hit-pop che dir si voglia, in realtà non ho mai scritto una canzone per fare un genere esatto, non ho mai ascoltato musica tramite etichette, detesterei dovermi mettere a creare a tavolino una canzone. Da fruitore tendo a cibarmi veramente di tutto, dall’elettronica al cantautorato italiano, in più ho studiato jazz al Conservatorio. Ad oggi, nel panorama nazionale mi piace molto Motta, credo che sia uno dei performer italiani più bravi dal vivo».
Facendo un salto indietro nel tempo, c’è un momento preciso in cui hai capito che la musica per te non era un semplice passatempo?
«Sì, l’ho capito nel 2012. Ho iniziato a suonare come chitarrista con una band che mi ha portato ad esibirmi un sacco in giro per l’Italia, pensa che in sei anni abbiamo fatto circa quattrocento concerti. Lì è diventato un lavoro vero e serio, con delle responsabilità, questo è un mestiere che non ha orari, che a volte non ha nemmeno retribuzioni giuste, non ci sono sabati, domeniche o feste, ti deve piacere. Diciamo che è un atto di fede più che un lavoro (sorride, ndr), sin da subito non l’ho mai considerato un semplice passatempo».
Venendo all’attualità, in particolare all’emergenza sanitaria dovuta a questo maledetto Coronavirus. Tu, personalmente, come stai affrontando tutto questo?
«Questo periodo non giova alla creatività, faccio fatica a scrivere, quello che prima avrei realizzato in una settimana, adesso richiede tre volte il tempo necessario. La relazione e il confronto con le persone per me è necessario, quando ti ritrovi sempre nello stesso ambiente è difficile avere stimoli, per quanto mi riguarda faccio molta fatica a scrivere. Cerco di restare fiducioso, consapevole del fatto che il nostro ambiente sarà l’ultimo ad uscire dal lockdown, spero si possono trovare nel frattempo delle alternative e che le cose cambino al più presto. L’unica speranza è che questo periodo possa rivoluzionare l’intero settore e fare in modo che venga considerato e tutelato come tutti gli altri lavori».
Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?
«Credo che oggi la mia musica prenda un po’ quello che è il target corrispondente alla mia età, ho 27 anni, forse anche fino ai 40. La mia speranza è raggiungere un pubblico sempre più ampio, perché non appartengo alla scuola di chi dice “faccio musica per me stesso e basta”, la musica per me è principalmente condivisione. Spero di riuscire sempre a trovare la chiave di lettura più giusta e universale per arrivare a più persone possibili. Nei miei brani, seppur autobiografici, lascio sempre uno spazio vuoto nel quale l’ascoltatore può ritrovare una parte di se stesso, dipingere i propri paesaggi e i volti dei protagonisti».
Nico Donvito
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