mercoledì 18 Settembre 2024

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“The Sound of Silence”, quando le canzoni diventano testimoni della storia

Il potere della musica tocca le corde dell’anima, anche e soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà collettiva, proprio come accaduto l’11 settembre 2001, data in cui ogni anno ci scorrono ancora davanti agli occhi le immagini del crollo delle Torri Gemelle di New York

La musica, da sempre, ha il potere di unire le persone, di trasmettere emozioni profonde e di raccontare la complessità della vita. Alcune canzoni, però, vanno oltre il significato letterale del proprio testo, molte le interpretiamo in maniera personale, altre finisco per accompagnare momenti che hanno segnato il corso della storia. Parliamo di pezzi iconici, capaci di cristallizzare il dolore, la speranza e la memoria collettiva, legandosi indissolubilmente a eventi di portata universale.

Un esempio su tutti è “The Sound of Silence”, brano pubblicato nel 1966 dal celebre duo Simon & Garfunkel. Sebbene la canzone nasca come una riflessione esistenziale sull’incapacità dell’uomo di comunicare, nel tempo si diffuse la convinzione che l’opera fosse stata scritta da Paul Simon in seguito all’assassinio del Presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy, avvenuto il 22 novembre 1963. Ipotesi mai smentita, né mai confermata.

Il suo significato è stato rivisitato e riadattato all’inizio del nuovo millennio, quando il brano venne utilizzato come colonna sonora di numerosi video amatoriali che sono stati caricati online e che ritraevano le terribili immagini dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001. Questo sia con la versione originale di Simon & Garfunkel, ma anche con l’ausilio delle numerose cover che negli anni sono state realizzate, trasformando questo pezzo in un simbolo di lutto e di riflessione per l’indescrivibile tragedia che ha scosso il mondo intero.

La performance epica ed evocativa dei Disturbed, che nel 2015 hanno reinterpretato il brano in chiave rock, ha ulteriormente rinvigorito il legame tra la canzone e le commemorazioni dell’11 settembre. La versione moderna, con la sua intensità emotiva e il crescendo sonoro, è diventata virale, dimostrando ancora una volta come la musica può evolversi con il tempo, pur mantenendo il suo potere evocativo-simbolico.

Se nel 1966, “The Sound of Silence” rispecchiava la disillusione e il senso di alienazione di un’intera generazione in un’epoca segnata da repentini cambiamenti politici e sociali, trentacinque anni dopo la sua atmosfera cupa e il testo così malinconico hanno toccato profondamente l’animo umano, diventando non solo un inno di ribellione silenziosa contro le ingiustizie, ma anche un tributo nei confronti di chi ha perso la vita in quella drammatica circostanza, compresi gli uomini e le donne dei vigili del fuoco e delle forze dell’ordine che si sono subito adoperati per limitare il dispendio di vite umane. 2.977 le vittime accertate, anche se negli anni successivi si verificarono ulteriori decessi a causa di tumori e malattie respiratorie legate alle conseguenze degli attacchi.

Tuttavia, è stato proprio durante le commemorazioni dell’11 settembre che il brano ha assunto una nuova dimensione. Anni dopo l’attacco alle Torri Gemelle di New York, infatti, il pezzo è stato utilizzato in vari tributi, commemorazioni e memoriali. Il più importante è quello del decennale, tredici anni fa, quando Paul Simon si ritrovò ad eseguire la sua canzone da solo, con la chitarra a Ground Zero, nel luogo dove sorgevano i due grattacieli.

“The Sound of Silence” non è solo una canzone, bensì una testimonianza. Come molte altre nella storia della musica, è diventata una finestra attraverso cui intere generazioni hanno potuto esprimere il proprio sconforto, commemorare le vittime e trovare un barlume di speranza per il futuro. Ma non è l’unico brano che ha segnato momenti della nostra storia. Pensiamo a “Imagine” di John Lennon, vero e proprio inno pacifista contro la lotta armata in Vietnam.

Canzoni come questa e come “The Sound of Silence” ci ricordano quanto la musica sia potente e come possa rappresentare un rifugio sicuro, un modo per affrontare il concetto di perdita e trovare conforto, riecheggiando nei momenti di crisi e restituendo una voce a chi, in un mondo sconvolto dal dolore, non riesce a trovare le parole giuste.

Sin dalle prime note e dall’incipit “Hello darkness, my old friend”, questa canzone ha assunto un significato simbolico, quasi a rappresentare con la metafora del buio tutto quel dolore collettivo accumulato, mentre il silenzio rifletteva la difficoltà di esprimere a parole lo shock e la devastazione di quegli attimi che sono, nostro malgrado, immortalati nella storia. Il senso di impotenza che ha pervaso quegli interminabili attimi, sembra riecheggiare ogni volta che si riascolta questo pezzo… per non dimenticare, mai, quello che è accaduto. Uno dei compiti della musica proprio è quello di farci provare le stesse identiche emozioni negli anni, come ad immortalare gioie e dolori, affinché la nostra labile memoria possa continuare ad essere solleticata e sollecitata.

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.