Rivive la musica del cantautore romano
“Sarò Franco” è un album di dodici canzoni inedite di Franco Califano, scomparso il 30 marzo 2013 e che quest’anno avrebbe compiuto 85 anni. Per celebrare il suo compleanno, sono stati scelti i testi del periodo milanese, che Franco aveva pensato per se stesso e per altri cantanti, ma di fatto rimasti non completi e mai incisi. Nati dalla collaborazione artistica con l’amico Frank Del Giudice, questi testi diventano un progetto finito, grazie alla scelta di consegnarli al produttore Alberto Zeppieri, che, a sua volta, li distribuisce, in parti uguali, a quattro direttori artistici (Grazia Di Michele, Morgan, Franco Simone e Federico Zampaglione), dando loro la possibilità di cantarli o fare cantare ad altre personalità artistiche. Così, in “Sarò Franco” si ritrovano nomi del calibro di Amedeo Minghi, Numa Palmer e Phil Palmer e Patty Pravo, Alberto Fortis, Franco Simone, Giovanni Nuti, Petra Magoni, Ivan Segreto con Giovanna Famulari e Giancarlo Nisi.
Di “Trastevere”, il singolo uscito lo scorso 6 settembre e cantato dai Tiromancino nel loro stile inconfondibile, impressiona l’effetto immediato come di un’istantanea fotografica. La combinazione tra la penna del “Califfo” con la voce di Federico Zampaglione trova concretezza in un testo descrittivo e critico, per certi versi analitico, che ci fa vedere letteralmente Trastevere (“due cani che si annusano si amano e se ne vanno dopo un po’ i passi frettolosi di chi corre per non perdere il metrò confondersi tra folle di turisti che non sanno quanti cuori ha la città e cercano solo quella via che han visto solo in fotografia e ti mandano a quel paese tra monumenti e antiche chiese e abbandonando mucchi di rifiuti se ne vanno via”).
La storia monumentale di Roma richiama turisti da tutto il mondo, ma cosa rimane del loro passaggio a Trastevere, oltre ai rifiuti? Cosa sanno realmente di quei luoghi visitati a passo svelto? Riescono a cogliere la cornice storica, oltre la famosa via? Sono un grado di vedere l’intreccio tra il luogo e la routine del suo vivere quotidiano, fatto di comportamenti opinabili per noia e per passione? (“un tale sbuffa un po’ uscendo da un museo perché di fronte a lui adesso c’è un corteo c’è un vecchio che non sa nemmeno la sua età ma lo commuove il jazz e ascolta Summertime”). In questo spezzone di mondo così complesso, nonostante la sua apparente semplicità, c’è un protagonista dal cuore infranto che pensa alla fine della sua storia d’amore, cercando risposta anche dal luogo fisico di Trastevere.
Dove decide di restare a passo lento, diversamente da quello dei turisti; perché non ha fretta, ma un’unica aspettativa che ci svela a fine canzone: rimarrà a Trastevere soltanto se l’amata ritornasse con lui (“Io resto ancora un po’ che fretta non ne ho tanto di fronte a me io vedo solo te da quando non ci sei nemmeno mangio più e cambierò città se qui non torni tu”).
Presenza, assenza e resilienza sono le parole-chiave di un testo costruito su contrasti; da un lato il pullulare delle vie trasteverine, dall’altro la solitudine di un uomo. Al pieno dei luoghi si contrappone l’essenza di un’anima, ritratti entrambi come esseri viventi, pulsanti di vita propria e nutriti dallo scambio tra le esistenze di chi li abita o li sceglie di passaggio. Questo è “Trastevere” cantato dai Tiromancino, con un accento spiccatamente romano che porta perfettamente l’impronta di Franco mentre ci fa respirare quel pezzo di Roma, difficile da non amare, anche solo per il tempo di una canzone.
Francesco Penta
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