A tu per tu con con il cantautore classe ’92, in uscita con il singolo intitolato “La febbre dell’oro“
Tempo di nuova musica per Michele Tiso, in arte semplicemente TISO, cantautore comasco ma bolognese d’adozione. “La febbre dell’oro” è il titolo del nuovo singolo pubblicato lo scorso 6 ottobre, un brano prodotto da MyBestFault, che mette in risalto la personalità del giovane artista. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Michele, benvenuto. Partiamo dal singolo “La febbre dell’oro”, cosa racconta?
«”La febbre dell’oro” è la sensazione di mancanza di quell’età dell’oro che ognuno di noi individua nel proprio passato come un periodo idilliaco, migliore di quello presente. Un paradiso perduto. Un’Arcadia. Un’illusione. Allo stesso tempo è un bar di provincia, un film che vedevo da piccolo, un fumetto che mi piaceva e poi in fondo è una canzone d’amore, come tutte le canzoni».
Quali pensieri e quali stati d’animo ti hanno accompagnato durante la fase di composizione del pezzo?
«C’è un sentimento predominante, che poi è il mio sentimento preferito, nonché onnipresente in tutto quello che scrivo: la nostalgia. Che, come dice Sorrentino, è l’unico svago che resta a chi è diffidente verso il futuro. Ma anche la nostalgia del presente, cioè la consapevolezza che un attimo sia già passato nel momento stesso in cui lo si sta vivendo».
Tante le immagini evocative nel testo, ma c’è una frase che, secondo te, rappresenta e sintetizza al meglio il senso dell’intera canzone?
«La mia capacità di interpretare la canzone si ferma qui, probabilmente andando avanti sbaglierei. E non sono in grado di parlare per chi ascolta. Ma se vuoi che ti dica la frase a cui sono più affezionato è quella che apre il pezzo. “Non lo so mai se è ora di partire o ora di tornare”».
Musicalmente parlando, com’è stato lavorare con il producer MyBestFault e che tipo di sonorità avete voluto abbracciare?
«Lavorare con MyBestFault è stata per me la vera rivelazione, perché lui ha fatto come un attore quando prepara una parte. Prima di decidere se mettere mano al brano ha voluto conoscere i dettagli, entrare nel mood, capire le storie che stavano dietro alle parole, ricostruire insomma tutta la continuity. Se non fosse stato soddisfatto della preparazione ho idea che mi avrebbe tranquillamente detto “ok non se ne fa niente”. Questo tipo di sincerità mi piace molto quando si lavora in squadra. Alla fine ha colto alla perfezione quello che non ero in grado di spiegare a parole, che poi è l’essenza del pezzo, e l’ha trasformato in suoni».
C’è stato un momento preciso in cui hai capito che tu e la musica siete fatti l’uno per l’altra?
«Non credo che siamo fatti l’uno per l’altra, ma alla fine mi affeziono solo agli amori non corrisposti».
A livello di ascolti, quali artisti e quali generi hanno accompagnato la tua crescita?
«Sono cresciuto coi Beatles e i Rolling Stones dai vinili di papà (ma Gianni Morandi non c’era) sono andato al liceo con De André e Guccini, ho iniziato l’università con Bob Dylan e poi ho detto ok, basta, è ora di intripparmi con Max Pezzali, Gabry Ponte, Avicii & pure i Ricchi E Poveri, vah».
Cosa ti affascina di preciso dello scrivere canzoni?
«Credo sia la stessa cosa che affascina il personaggio di Leo di Caprio in “Inception”: creare da zero un intero mondo che nella realtà sarebbe impossibile, basandosi sull’unica cosa che abbiamo: i ricordi. Nel film poi, se costruisci un mondo fittizio dai ricordi, questo mondo ti si rivolterà contro. Mi piace pensare che sia così anche con la musica. È un processo autodistruttivo».
Quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere? Cosa dobbiamo aspettarci dalle tue prossime produzioni?
«Ho raccolto un bel po’ di canzoni sotto il cuscino e avrei in mente di fare un disco, anche se fare dischi secondo me non ha più senso. Ma il futuro non esiste e non so neanche cosa farò stasera, quindi è il massimo che posso azzardarmi a dire».
Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?
«Non mi piace targhettizzare un’audience, quella è roba da playlist e sponsorizzazioni. Preferisco non ragionare come un algoritmo. Semplicemente mi auguro che anche persone che non hanno nulla in comune possano riconoscersi in cose completamente diverse che magari non avrei immaginato neppure io. È un po’ naïf lo so, ma per stavolta fa niente».
Nico Donvito
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