Il racconto della solitudine nei testi delle canzoni
La musica canta i sentimenti, le emozioni, i vizi e le virtù, le armi e gli amori, gli orrori e gli onori, i valori e la condizione degli esseri umani nel loro vivere quotidiano. Per ogni persona esiste un mondo intimo, originale ed unico, la sua impronta digitale interiore, e uno esterno, visibile ed esposto al giudizio altrui. Può accadere che il nostro posto nel mondo non sia in linea, sempre e necessariamente, con il nostro stato d’animo; che il ‘come stiamo’ quando siamo con gli altri non corrisponda al ‘come ci sentiamo’ quando siamo da soli. Essere soli, sentirsi soli e stare da soli sono la stessa cosa? Quante e quali solitudini in musica? C’è il rischio di confondere il voler stare da soli con il concetto di autonomia e indipendenza, tanto di moda nei testi più recenti?
D’accordo con Fabrizio De André, “quando si può rimanere soli con se stessi, io credo che si riesca ad avere più facilmente contatto con il circostante, e il circostante non è fatto soltanto di nostri simili, direi che è fatto di tutto l’universo“. La solitudine “amata” da Franco Battiato e “beata” per Eros Ramazzotti richiede, innanzitutto, una presa di coscienza: può considerarsi l’allitterazione “sono solo, solo il suono del mio passo” della Premiata Forneria Marconi mentre il tempo passa e “il giorno come sempre sarà“; o la giocosa diafora di Rkomi “da quando è uscito Solo sto solo”, riferendosi prima alla canzone, poi al suo stato di “solo“.
A volerla dire coi Tiromancino, cosa ci raccontano le canzoni “per non sentirsi soli“? Se il “solo va un uomo in frack” di Domenico Modugno, il “solo me ne vò per la città” di Natalino Otto, o ancora “lei balla sola” di Fiorello hanno una finalità descrittiva, gli “Uomini soli” dei Pooh aprono all’indagine psicologica in quanto riflettono sui perché “a volte un uomo è da solo perché ha in testa strani tarli perché ha paura del sesso o per la smania di successo per scrivere il romanzo che ha di dentro perché la vita l’ha già messo al muro o perché in mondo falso è un un uomo vero“. Solitudini scelte o subite, spiegate, appunto, nella loro causa dalle preposizioni “per” e “perché” che ipotizzano “per la sete d’avventura perché han studiato da prete o per vent’anni di galera per madri che non li hanno mai svezzati per donne che li han rivoltati e persi o solo perché sono dei diversi“.
Se “il sentimento dell’amore” di Nada “è fortissimo da sopportare la solitudine“, tante altre canzoni implicano un ‘io’ e un ‘tu’ diviso, separato, finito, assente, andato via come Marco di Laura Pausini che “non ritorna più” e cambia il senso di tutto. Perfino “il treno delle 7.30 senza lui” diventa per metonimia “un cuore di metallo senza un’anima nel freddo del mattino grigio di città“. Tutto sembra partecipare a quell’assenza attraverso un racconto che comincia in terza persona a dare notizia l’accaduto, passando al “tu” e il futuro ipotetico “Chissà se tu mi penserai, se con gli amici parlerai per non soffrire più per me ma non è facile lo sai“, con cui si attiva una sorta di transfert (chissà se anche tu senti ciò che sento io e fai come faccio io). Marco viene immaginato “rinchiuso in camera e non vuoi mangiare Stringi forte a te il cuscino Piangi non lo sai Quanto altro male ti farà la solitudine“. La canzone si chiude in prima persona, “a scuola non ne posso più E i pomeriggi senza te Studiare è inutile tutte le idee Si affollano su te“.
Questa solitudine dei primi amori adolescenziali diventa, con Iva Zanicchi, quella di una donna testarda, che “non so mai perché ti dico sempre sì (…) io che ti sento più di così (…) La mia solitudine sei tu” insieme alla “mia rabbia vera sei sempre tu“; testarda lei a decidere che “a testa bassa vado via Per ripicca senza te“. Amore e solitudine, nodi strettamente innervati tra di loro, ma esiste la dimensione di stare da soli anche quando si è in coppia? Ci risponde l’ossimoro di Adriano Celentano siamo “soli Mangiando un panino in due Io e te Soli Le briciole nel letto Soli Ma stretti un po’ di più Solo io solo tu“.
Fuori da tutto, in uno schema binario io+tu, anche Ultimo con “tu mi piaci di più perché racconti i sogni proprio come piace a me tu sei qualcosa di più (…) siamo simili, simili, simili entrambi col sorriso e i lividi, lividi, lividi non vedi che io sono solo“, fino alla litote finale “amore, vedi, sono solo non vedi, sono solo“. Capita, con Gué Pequeno, di essere “talmente solo che ho imparato a farmi compagnia da solo“, o di arrivare a pensarla come Diodato, “quante volte hai finto che da solo stavi meglio Che da solo in fondo faccio solo quel che voglio“; tutte quelle volte, Francesca Michielin cerca comunque “risposte che troverai Prima o poi In fondo all’amore Che ti renderà più forte E sarà una buona amica anche la solitudine“, arrivando a personificarla e a pensare che in fondo “sola, sola, sola (Sola) Tu non sei sola, sola, sola (Sola)“
Resta ancora una riflessione: se le persone cambiano continuamente come diventano quando sono in un gruppo? Ce la dice Mia Martini l’amara verità, “che ho scoperto con il tempo e diventando un po’ più dura che se l’uomo in gruppo è più cattivo quando è solo ha più paura“. Non c’è soluzione per le solitudini, ma possiamo chiedere aiuto anche alle canzoni per imparare a viverle e cantarle, tanto come dice Vasco Rossi “tutto può succedere Ora qui siamo soli (…) siamo vivi“.
Francesco Penta
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