Il racconto di uno degli show più attesi dell’anno, che ha consacrato il cantautore romano negli stadi, considerati il tempio della musica leggera italiana
Vince soltanto chi lotta verrebbe da dire e nel caso specifico di Ultimo le cose sembrano stare proprio così. Il giovanissimo cantautore romano da un anno e mezzo assedia il mercato discografico e, a suon di successi, si è conquistato la più ampia platea di pubblico possibile considerando la sua assoluta lontananza da mode momentanee, accordi discografici o radiofonici e cose di questo tipo. La sua forza sta nella musica, nelle canzoni, nelle parole che con tanta verità e autenticità scrive e compone per il suo pubblico.
Il pubblico si rispecchia in lui, vive ciò che lui scrive per se stesso e che non per forza si sente in dovere di veder condiviso da chi lo ama e lo ascolta. Il segreto del suo successo, se vogliamo, potrebbe essere, secondo questa chiave di lettura, una sorta di egocentrismo musicale: un continuo autoriferimento a se stesso, alla propria vita e alle proprie esperienze che non sta ad indicare un ego smisurato ma, piuttosto, un’assoluta verità di racconto. Una narrazione musicale che, a prescindere dai numeri a cui è destinata, se ne frega di piacere o di essere condivisibile ma che guarda esclusivamente al rispecchiare ciò che è vero per il suo narratore.
Tutto questo è quanto emerge con forza e decisione dal concerto, o meglio, dall’ultima favola che Ultimo ha voluto raccontarsi per questo ricchissimo 2019. Una favola che chiude un cerchio e, come un serpente che si morde la coda, racchiude tutto il percorso fatto in questi ultimi mesi. C’è la primissima “Pianeti” ma c’è anche la più recente “Ipocondria” che fa ballare il pubblico scatenando i cori che in uno stadio trovano davvero la loro dimensione migliore.
La scaletta parte energica e avvolgente, il pubblico intona con intensità e tanta voce i brani più potenti del repertorio cantautorale di Niccolò (qui la nostra ultima intervista) che si riflette negli occhi dei suoi spettatori che con pazienza e attenzione seguono lo spettacolo e la narrazione. Non c’è spazio per i discorsi, le chiacchiere stanno a zero, c’è solo tanta emozione per una storia che per la prima volta viene raccontata, soltanto per mezzo delle canzoni, in uno spazio così grande. Ci sono parole, ci sono note, ci sono immagini che scorrono nei maxischermi senza, però, risultare mai eccessive, una sovrastruttura di troppo. Per il “di più” non c’è spazio. Non s’è voluto lasciarne. Giustamente. Proprio perché a parlare è e deve essere soltanto la musica.
Il concerto finisce nell’intimità dopo l’intermezzo acustico ed i brani più lenti volutamente lasciati in fondo alla scaletta per congedarsi tirando un sunto anche musicale e ricordando a tutti che, alla fine, anche in musica c’è spazio per la riflessione, la profondità raffinata con leggerezza e immediatezza la fine di essere veri, autentici e quotidiani. Insomma, di tutti. Perché Ultimo, ora, è e può essere proprio di tutti.
Ilario Luisetto
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