Recensione del nuovo progetto discografico del cantautore pugliese
Caparezza è un artista che va trattato in maniera diversa dal resto dei cantautori italiani e anche dal vasto panorama di rapper sul mercato. Michele Salvemini, originario di Molfetta, è riuscito negli anni a ritagliarsi uno spazio sempre più ampio all’interno del frastagliato mondo della musica italiana. Partendo da lontanissimo, ovvero dal suo primo progetto musicale Mikimix e passando poi alla trasformazione in Caparezza, di strada ne è stata fatta eccome, arrivando oggi a un grande successo di pubblico e di critica che ha permesso all’artista pugliese di collezionare dischi d’oro e di platino e di portare la sua musica live registrando sold out nei palazzetti di tutt’Italia. Oggi Caparezza è ancora qui. Ancora (e forse più di prima) tormentato dal concetto di successo e soprattutto ancora capace di portare al pubblico prodotti di alto valore.
La sua ultima fatica discografica è rappresentata dall’album di inediti Exuvia (Polydor Records/Universal Music Italy), pubblicato il 7 maggio scorso e anticipato nelle settimane precedenti alla sua uscita dal singolo omonimo e da La scelta (di cui qui la nostra recensione). Il titolo è “dedicato” all’esuvia, ciò che in biologia viene indicato come quello che rimane dell’esoscheletro di un insetto una volta compiuta la sua muta. Un viaggio che parte dal precedente progetto, Prisoner 709, incentrato sul tema dell’evasione, e che qui prosegue tra passato, presente e futuro all’interno della vita di Caparezza. L’artista compie qui una sorte di autoanalisi dove cerca il punto di vista giusto per guardarsi dall’esterno. Descrive la realtà in chiave ironica, ma spesso anche in maniera cruda, legando la sua condizione di essere umano ai cambiamenti necessari della natura. Exuvia è probabilmente uno dei dischi più cupi di Caparezza, nella sua concezione e nella sua realizzazione.
Un viaggio a tappe |
Caparezza sceglie, con questo lavoro, di scavare a fondo di se stesso, ma lo fa a tappe. Il primo passo, successivo alla “fuga” avvenuta con Prisoner 709, è quello di guardarsi indietro. Non c’è nulla di certo nel presente, e ancora meno nel futuro. Certo però è il passato che viene lasciato alle spalle, quei resti che rappresentano l’esuvia dalla quale partire. “Ho capito che il secondo album era più facile dell’ottavo”, si sente in Canthology, il pezzo che apre l’album e che suona come una lunga intro capace immediatamente di far entrare l’ascoltatore nell’immaginario voluto dall’autore. Il passato, fermo e cristallizzato, viene visto come qualcosa da cui scappare. In Fugadà si parla infatti di fuga, di allontanamento e distanze da prendere anche da se stessi, aprendo così la strada a un cambiamento che verrà.
Le atmosfere cambiano con El sendero, interpretato insieme a alla cantautrice messicana Mishel Domenssain, un pezzo che rappresenta il primo passo all’interno del viaggio. Un sentiero da prendere, un cammino da iniziare, un lungo percorso in cui il dualismo tra “dentro” e “fuori” diventa uno dei chiodi fissi. Caparezza mette insieme la sua voglia di intraprendere il percorso, dopo la fuga iniziale, mischiando la sua vita con quella di alcuni componenti della sua famiglia: si parla qui delle storie del nonno e dei sogni abbandonati del padre, tutti però capaci di prendere una scelta, anche se probabilmente obbligata dalle circostanze.
Il viaggio prosegue con uno dei racconti più personali e autoanalitici della discografia del cantautore, Campione dei novanta è un resoconto dettagliato della prima “exuvia” dell’artista: il passaggio da Mikimix a Caparezza. La morte di un personaggio e la nascita di un altro. Il primo passaggio decisivo verso quello che poi sarebbe diventato. Il tutto raccontando anche la cornice di un periodo di transizione per la musica. La matrigna (seconda skit del disco dopo Una voce) apre la strada per Contronatura, una rielaborazione in chiave moderna della visione pessimista di Leopardi riguardo la natura. Quella natura così affascinante, ma allo stesso crudele. Capace di essere madre, ma soprattutto di essere spietata e indifferente al dolore umano. Caparezza ci tiene a raccontare il “bipolarismo” della natura, mettendo in risalto il suo doppio ruolo all’interno del disegno universale.
Ritmo |
Tutto l’album viaggia a velocità sostenuta. Caparezza se ne frega di portare al pubblico un prodotto “facile da digerire” e propone qualcosa di poco immediato ma allo stesso tempo molto affascinante. Il tema del doppio è presente anche a livello personale: Caparezza e Michele, l’artista e l’uomo. La continua lotta tra lo sparire e il dover riapparire davanti ai riflettori per la propria musica. Un concetto che si nota in Eterno paradosso (“e questi bodyguard erano i miei bulli”) e viene reso ancor più evidente nel singolo La scelta, dove le due figure di Marco e Ludo (Mark Hollis e Beethoven) vengono prese come la rappresentazione di due facce diverse della stessa medaglia. Da una parte un artista (Mark Hollis) che ha mollato quasi subito la sua carriera per dedicarsi alla famiglia, spegnendo le luci dei riflettori all’apice del successo, e dall’altra Beethoven, uno che ha fatto della musica la sua vita, nonostante la sordità. Caparezza si trova così a dover scegliere da che parte stare.
L’autoanalisi prosegue con Azzera pace, titolo che se letto al contrario diviene È Caparezza. L’artista racconta la sua confusione, confessando il suo sentirsi spesso incoerente verso se stesso e verso il resto del mondo. Quel mondo fatto però di maschere e di poche certezze, in una visione pirandelliana che esce allo scoperto con il brano Eyes Wide Shut. Ma cosa significa davvero indossare una maschera? È veramente possibile vivere senza o sono proprio esse a definirci come persone? Caparezza “sguazza” nelle (sue) incertezze e punta forte su un racconto capace di mischiare fatti personali a continui rimandi al mondo esterno e alla società di oggi. Colpiscono soprattutto i particolari nelle composizioni musicali, dove non basterebbe probabilmente un libro interno per descriverle tutte dettagliatamente.
La società di oggi e il futuro |
Non mancano ovviamente i riferimenti alla realtà di oggi: Come Pripyat è un brano in cui l’Italia odierna (politica, culturale e musicale) è paragonata a una città abbandonata dopo il disastro di Chernobyl del 1986, ferma nella sua immobilità, seppur in continuo mutamento. “Il tuo capitano ne sa poco più di un bar, guida con l’iPhone in mano e ci sei tu sul tram” è uno dei più chiari riferimenti alla politica di oggi. Il viaggio prosegue con l’articolata Il mondo dopo Lewis Carroll, una lettera scritta dal personaggio del Cappellaio Matto ad Alice (Carroll è l’autore di Alice nel Paese delle Meraviglie) e poi con il racconto del tempo e il suo inesorabile fluire in Zeit!
Il finale è affidato a La certa, brano dedicato alla morte e a tutte le sue rappresentazioni, fase finale di ogni exuvia e poi dalla title track con cui l’artista chiude il cerchio del suo cambiamento, facendo quasi un resoconto di questo lungo viaggio. Un percorso che Caparezza compie dimostrando di aver trovato sulla strada numerosi ostacoli, non semplici da superare. Un cammino nel bosco che spazia tra mondo interiore e mondo esterno con il quale il cantautore pugliese trova la chiave per raccontare di sè, senza dimenticarsi del mondo che lo circonda. Un nuovo passo, dopo la fuga, verso una rinascita che lascia però le porte aperte per un suo eventuale terzo capitolo.
Migliori tracce | El sendero / Campione dei novanta
Voto complessivo | 8.4/10
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