L’incontro con il duo campano, in uscita con il nuovo album “U.S”, il primo cantato in italiano
E’ disponibile da venerdì 7 settembre il nuovo album di Genn Butch e Alex The Bug, meglio conosciuti come Urban Strangers, considerati come gli artisti con l’inclinazione più internazionale tra gli esponenti della nuova scena musicale italiana. A tre anni dalla loro partecipazione ad X Factor, tornano sul mercato discografico con “U.S”, l’album della svolta che segna il debutto in lingua italiana. Prodotto da Raffaele “Rufus” Ferrante, il progetto comprende dieci inediti, tra cui i singoli apripista “Non so” e “Non andrò via”.
Partiamo da voi: chi sono oggi gli Urban Strangers?
«Due ragazzi che non sono cambiati, semmai cresciuti, sia a livello musicale che personale. Abbiamo maturato più consapevolezza e acquisito maggiore esperienza, ma siamo comunque alla ricerca di noi stessi, perché è fondamentale avere stimoli e cercare sempre di migliorarsi. Essere statici non appartiene al nostro carattere, ci sentiamo in continua evoluzione e la sperimentazione è la parte più interessante del nostro mestiere».
“U.S” è il vostro primo disco cantato in italiano. Una scelta o un’esigenza?
«Di base è stato un passaggio che ci è stato consigliato più volte, noi abbiamo aspettato il momento giusto e la naturale ispirazione. Abbiamo sempre seguito la musica inglese perché ci ha influenzati sin dall’inizio, con il tempo è maturata la voglia di esprimere gli stessi messaggi anche nella nostra lingua. Quando ci siamo sentiti pronti per cantare in italiano abbiamo cominciato a lavorare a questo disco che, dal punto di vista creativo, ha avito lo stesso tipo di approccio dei progetti precedenti».
La veste sonora ne ha in qualche modo risentito?
«Speriamo di no, sicuramente c’è stata un’accurata ricerca del suono e della pronuncia delle parole, in inglese per noi è sempre stato molto più facile. Esprimere i nostri soliti concetti con una musicalità italiana è stata la vera sfida, non è stato facile sbloccarli all’inizio, poi tutto è arrivato d’improvviso senza snaturare la nostra identità. E’ il concetto che conta».
A livello testuale, invece, quali tematiche prevalgono?
«Come nei dischi precedenti, abbiamo cercato di parlare del nostro vissuto, attraverso l’analisi di noi stessi. La lingua non ha interferito nel nostro stile di scrittura, in queste canzoni c’è tutto quello che siamo e pensiamo. E’ cambiata la forma, non la sostanza».
Ripensando oggi ad X Factor, che ricordo avete?
«E’ stata un’esperienza insolita, per noi nuova perché venivamo da un mondo completamente diverso. I talent ti portano sicuramente una certa pressione, almeno inizialmente, e si corre il rischio di perdersi per strada e perdere di vista l’attenzione sulla musica, noi abbiamo cercato di andare avanti per la nostra strada, concentrandoci solo sul lato artistico di questa avventura».
Da musicisti, come valutate il fenomeno trap?
«L’hip hop è un genere che da sempre ascoltiamo e ci influenza, consideriamo la trap una sua evoluzione. Nel brano che chiude il disco, intitolato “Tutto finisce”, abbiamo inserito sonorità legate a questa corrente musicale, non per cavalcare l’onda bensì per la nostra sete di sperimentare. E’ stato un tentativo, cercare di lanciare un messaggio che abbia per noi un senso attraverso nuove sfumature».
Quanto conta per voi la dimensione live?
«E’ fondamentale, ci siamo sempre concentrati molto sugli spettacoli dal vivo e sul rapporto simbiotico con il nostro pubblico. Nel disco precedente non abbiamo suonato quanto avremmo voluto, anche se ci sono stati degli eventi importanti come il concerto al Memo di Milano, un sold out che non dimenticheremo facilmente. La dimensione live è il nostro punto di forza, la gente riesce a percepire meglio chi siamo quando saliamo sul palco».
Da quello che avete potuto percepire fino ad ora, il vostro pubblico come sta reagendo a questo passaggio di lingua?
«Sembrerebbe bene, ma crediamo sia ovvio che qualche fan più nostalgico preferisca l’inglese, perché siamo nati artisticamente così, abbiamo cercato di mantenere la stessa personalità e quelle che riteniamo siano le nostre caratteristiche. Non ci sembra di aver ricevuto commenti negativi, proprio perché non siamo cambiati musicalmente, con l’italiano speriamo solo di arrivare ancora a più persone possibili, questa è la nostra missione, lo scopo per cui ci chiudiamo in studio e ricerchiamo cose nuove».
E’ curiosa la scelta di realizzare un album totalmente in italiano, piuttosto che cominciare ad inserire qualche traccia giusto per rompere il ghiaccio e continuare a utilizzare la vostra “lingua di comfort”. In futuro, avete intenzione di mescolare italiano e inglese nello stesso progetto o preferite proseguire su strade separate?
«All’inizio l’ipotesi era quella di inserire qualche pezzo in italiano, forse un po’ per paura di non sentirci pienamente a nostro agio. Non ci piaceva comunque l’idea di realizzare un album ibrido, ci siamo buttati completamente in questo esperimento e il risultato ci soddisfa. In futuro chissà, per il momento ci piacerebbe continuare in questa direzione, perché ci sentiamo comodi in questo nuovo abito, ma non ci poniamo limiti, perché la lingua è solo un modo per esprimere al meglio un nostro stato d’animo».
Quali sono le vostre prossime tappe e progetti in vista?
«Subito dopo l’uscita del disco partirà il consueto instore tour, poi ci concentreremo sulla parte live. Fondamentalmente non ci poniamo limiti o troppe aspettative, il feedback delle persone è la benzina che mette in moto la nostra macchina creativa, il motivo per il quale diamo il 100% di noi stessi. Ci siamo resi conto di quello che possiamo fare, sia a livello musicale che di scrittura».
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Nico Donvito
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