Conosciamo meglio una degli otto protagonisti di “Ora o mai più”, che con la sua “Tre parole” ha dominato le classifiche e rallegrato più generazioni
Donare conforto trasmettendo contenuti concreti, questa la mission di Valeria Rossi, artista che ritroviamo a distanza di diciassette anni dal grandissimo successo di “Tre parole”, singolo d’esordio che le ha regalato grande visibilità e popolarità, al punto da diventare il brano italiano più venduto dell’intera annata nel 2001. Partecipa ad “Ora o mai più“ per mettersi in gioco e migliorarsi, con lo spirito che da sempre la contraddistingue e la rende portatrice sana di positività.
Ciao Valeria, partiamo da “Ora o mai più”, cosa ti ha colpito principalmente di questo format?
«La trovo un’idea molto carina, che mescola elementi presi sia dai reality che dai talent, in un format comunque inedito, molto originale e, mi piace sottolinearlo, tutto italiano. E’ bello mettere gusti e generazioni diverse a confronto, in una sorta di mix esplosivo che ti porta a bilanciare vari aspetti e a prendere in considerazione nuovi stimoli. Mi piace questa lettura del lavoro in chiave dinamica e flessibile, che ci porterà inevitabilmente ad un’evoluzione dalla prima all’ultima puntata».
Cosa ti ha spinto concretamente ad accettare di intraprendere questa esperienza?
«Guarda, come attitudine io sono sempre aperta a qualsiasi tipo di esperimento, non solo dal punto di vista musicale, ma nella vita in generale. Ogni cosa l’affronto come una sfida per migliorarmi, sia a livello relazionale che professionale. Questo programma permette a noi concorrenti di alzare la famosa asticella, di farci uscire dalle nostre rispettive zone di comfort, mettendoci alla prova come forse non abbiamo mai fatto prima. Più che con l’esterno, la vivo come un gara con me stessa, anche perché con tutti gli altri compagni di avventura mi trovo benissimo, sono tutte persone umili che sanno come mettersi al servizio degli altri. C’è davvero parecchia solidarietà e voglia di emozionarci a vicenda».
E’ sicuramente interessante conoscere anche il lato umano di un artista, pensi che attraverso la tua storia riuscirai a far capire al pubblico chi è oggi Valeria?
«Lo spero, anche se credo sia importante scindere con lucidità e consapevolezza l’aspetto umano da quello artistico. Di mio, considero la vita privata e l’attività professionale come due rette che non devono per forza andare nella stessa direzione, nel senso che trovo sia necessario non metterle sullo stesso piano, anche se possono pure incontrarsi, perché no, l’importante è essere sempre spontanei e distinguere questi due aspetti senza confonderli. Diciamo che il fil rouge del programma è la musica, attorno alle canzoni possono pure ruotare le nostre storie, senza snaturare l’intenzione iniziale e dare troppo spazio alla narrazione a discapito del canto».
Tra i maestri, ti è capitata un’icona leggendaria come Orietta Berti. Com’è lavorare sotto al sua “ala protettiva”?
«Premettendo che qualsiasi abbinamento avrebbe rappresentato per me un’occasione di arricchimento, sia per affinità che per contrasto, mi reputo davvero molto fortunata nell’avere al mio fianco Orietta. Mi è andata veramente di lusso, sia dal punto di vista professionale che personale, perché sa come mettere le persone a proprio agio, è un modello di equilibrio e mi conforta molto la sua vicinanza. Man mano che ci conosciamo ci stiamo sciogliendo sempre di più, cresce in noi l’entusiasmo e la voglia di fare cose belle insieme».
Come riassumeresti in breve la tua storia?
«Grazie per non avermi chiesto di descriverla in tre parole (ride, ndr). Guarda, considero la mia vita un po’ come un caleidoscopio: canto, scrivo e faccio tante altre cose. Non mi sono mai autocensurata, ho fatto quello che l’istinto mi ha consigliato, come ad esempio un libro dedicato al mondo dell’infanzia contenente delle ricette cantate. In quel caso ho avvertito l’esigenza di dare maggiore attenzione e, in qualche modo, di sensibilizzare un tema delicato come quello dell’alimentazione. Insomma, cerco di dare sempre sensibilità a quello che canto, non faccio mai le cose per piacere a qualcuno».
A proposito di “Tre parole”, è un brano che viene spesso definito un tormentone estivo, ma in realtà non lo è, perché è riuscito ad andare oltre la prova costume, rimanendo ai vertici delle classifiche quasi fino a Natale, senza tralasciare il fatto che è un pezzo stra-ricordato ancora oggi…
«Bravo, mi dai una gioia dicendomi questo, perché secondo me il termine “tormentone” non gli fa onore. Diciamo che non adoro molto le definizioni prêt-à-porter, quelle un po’ superficiali, credo ci siano alcuni aspetti da approfondire, riconducibili alla struttura e alla costruzione della canzone stessa, perché racchiude una combinazione di elementi tali da renderla un classico senza tempo. Al suo interno troviamo parole di contenuto travestite con leggerezza, un connubio che rappresenta forse il segreto del suo grande successo, perché è un brano che, ancora oggi, in molti ricordano con grande positività».
Tornando indietro, c’è qualcosa che faresti diversamente?
«Se si potesse… ma non si può! Per cui non me ne faccio un problema, non ci penso e, di conseguenza, non ho rimpianti. Per me, pensare al passato ha un senso solo se finalizzato alla costruzione del futuro, tutto il resto lascia il tempo che trova. La mia filosofia di vita è che se una cosa è andata in un determinato modo, era il più giusto e il migliore che in quel momento ci potesse essere».
Tornando ad oggi, come valuti l’attuale scenario discografico?
«Rispetto ai miei esordi ho visto tanti cambiamenti, ma non sono una di quelle che rimpiange troppo il passato, prendo atto di un mutamento che, attenzione, riguarda un po’ tutta la nostra società dal punto di vista economico, relazionale, politico: diciamo pure una mutazione globale, un cascame di situazioni che ci hanno portato allo stato attuale, che non giudico ma accetto, perché non possiamo fare altrimenti, la meditazione mi ha insegnato anche questo (sorride, ndr)».
Credi sia cambiata anche la comunicazione e il modo di esprimersi?
«Esattamente, bisogna tornare a dare importanza alla trasmissione delle parole, non esistono argomenti tabù, personalmente parlerei di qualsiasi cosa, partendo dai bambini nelle scuole, che sono la società del domani, coloro i quali erediteranno il nostro sapere. L’incomunicabilità tra le persone è attualmente il problema più grave, sta a noi cercare di rendere tridimensionale questo mondo».
In tale senso, questo programma potrebbe insegnare qualcosa ai giovani? Soprattutto se i vostri inediti non verranno “influenzati” da necessità discografiche, potremmo tornare ad assistere a dei messaggi davvero importanti?
«Me lo auguro, assolutamente. Parlo per me, perché non ho ancora ascoltato i pezzi degli altri, ma affronto questa opportunità esattamente con questo spirito, non ho nulla da dimostrare a nessuno, se non a me stessa. Non mi lascerò prendere dall’ansia di proporre qualcosa che possa in qualche modo compiacere il mondo delle radio o “il sistema”, sarebbe come snaturare la mission di un artista, che è quella di dare sempre importanza al messaggio, qualsiasi esso sia».
Come descriveresti il tuo rapporto con i social network?
«Eh, faccio fatica a individuare un interlocutore e, quindi, a veicolare il contenuto. Non saprei, mi reputo una persona intimista, non penso mai in maniera generica, il mio rapporto con i social network è per me un argomento non risolto (ride, ndr)».
Per concludere Valeria, qual è il messaggio che vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?
«Più che un messaggio mi piacerebbe trasmettere un po’ di conforto, attraverso canzoni che abbiano del contenuto e che siano in grado di donare un po’ di sana positività, proprio come è accaduto con “Tre parole”. Al di là delle classifiche di vendita e dei passaggi radiofonici, il mio intento è sempre di mescolare nelle canzoni allegria e malinconia, in modo da lasciare all’ascoltatore il compito di riflettersi in ciò di cui ha bisogno in quel determinato momento».
Nico Donvito
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