A tu per tu con l’artista lombarda, in uscita con il nuovo progetto discografico “E sarà per sempre“
Grata al suo passato ma ben ancorata al suo presente, questo e molto altro ancora è Virginia Minnetti, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Viola Valentino, artista che attraverso le sue ultime produzioni è riuscita a coniugare qualità e ricerca, pur restando fedele alla propria storia. “E sarà per sempre“ è il titolo del suo ultimo album in studio, rilasciato lo scorso 20 marzo, un lavoro contenente venti tracce in scaletta, tra cui tre inediti, due cover e quindici canzoni prese in prestito dal suo recente repertorio. In occasione di questa nuova pubblicazione, abbiamo raggiunto telefonicamente la cantante lombarda, per approfondire la conoscenza della sua visione di vita e di musica.
Ciao Virginia, benvenuta. Comincerei dal tuo nuovo album “E sarà per sempre”, lo hai definito un inno alla vita e all’amore, perché?
«Dedicare un disco alla vita e all’amore mi sembrava un atto dovuto, tutto è nato esattamente come per i miei precedenti lavori. Naturalmente non era nei miei pensieri che scoppiasse tutto questo cataclisma, non è stato fatto per questo, ma diciamo che è inerente a quello che sta accadendo. E’ un album che affronta varie tematiche, sia d’amore che sociali, che può servire a tirare un po’ su il morale».
Tra l’altro il tuo repertorio è ricco di brani con tematiche sociali, più di quanto si possa pensare…
«Sì, quando nomini Viola Valentino pensano tutti a “Comprami”, mentre se vai ad approfondire i vari lavori ti rendi conto che ha parlato un po’ di tutto nella sua vita. Ad esempio “Romantici” non l’aveva capito nessuno ai tempi, ma era una canzone politica, non d’amore. “Signori fanno grandi affari rivendendo fuori le loro anime, gente che ha almeno sette vite e neanche fosse dinamite le fa esplodere”, un verso che fotografava sicuramente un’epoca e in quegli anni aveva un significato ben preciso».
Nel disco sono presenti tre brani inediti, più alcune canzoni del tuo recente repertorio. Apprezzo molto il lavoro che da qualche anno svolgi sulle nuove produzioni, infatti in questo progetto non è presente alcun tuo “storico” cavallo di battaglia. Questo perché ti consideri più legata al tuo presente piuttosto che al tuo passato?
«La vita è il presente, bisogna andare avanti e non rimanere indietro. Nelle mie canzoni racconto quello che capita a me o ad altri oggi, non ci sono riferimenti al passato, mai, tutto è rivolto al presente e, perché no, anche al futuro. In questo ultimo lavoro ho voluto raccogliere alcune canzoni recenti che meritavano, secondo me, maggiore attenzione. Ad esempio “Stronza” non ha avuto una promozione logica per via della parola, ma durante i miei concerti la gente la considera al pari di “Comprami”, l’importante per me è avere questo tipo di riscontro da parte del pubblico.
Proprio come “Barbiturici nel the”, l’ultima canzone firmata da Bruno Lauzi, che le persone mi richiedono e vogliono sentire durante le mie serate. Questo alla fine è quello che conta, la musica dovrebbe essere matematica ma non sempre è così, l’importante è rimanere collegati a situazioni attuali. Personalmente affronto delle tematiche un po’ difficili, quasi da cantautrice se vogliamo, ho una popolazione che mi ama e questo mi basta, bisogna sapersi accontentare nella vita, proprio per questo amo il mio presente, perché sono in pace con me stessa».
In scaletta nel disco sono presenti due cover, “Che m’importa del mondo” di Rita Pavone e “La mia storia tra le dita” di Gianluca Grignani. Cosa ti ha spinto a scegliere proprio questi pezzi?
«Per quanto riguarda Rita siamo molto amiche, tempo fa decisi di incidere questo brano con un altro tipo di sound e il risultato mi è piaciuto molto. Per quanto riguarda Grignani, invece, ho scelto questo suo pezzo semplicemente perché lo adoro, come adoro Vasco Rossi, in tutta la loro beltade o non beltade. Mi piacciono entrambi, sono due personaggi che amo in modo particolare, anche se dall’animo un po’ ribelle, in qualche modo compensando con il mio carattere, diciamo che mi danno quella spinta che in realtà non ho perché nella vita sono una persona molto tranquilla».
A proposto di Rita Pavone, l’hai seguita a Sanremo? Cosa ti è piaciuto di questa ultima edizione del Festival?
«Del Festival non mi è piaciuto assolutamente niente, anche se non l’ho seguito tutto, l’ho visto a pezzi proprio perché non mi piaceva. Per quanto riguarda l’intervento di Rita mi è sembrata molto grintosa, una Tina Turner nostrana, soprattutto se consideriamo la sua età. Forse sono state fraintese alcune cose dette su di lei, non da me ma da altri colleghi, però appartengo anche io alla scuola di pensiero di chi sostiene che in gara non doveva partecipare, bensì meritava di essere un ospite, per una questione di rispetto per tutto quello che ha fatto nel mondo in tanti anni di carriera e continua a fare tuttora, mettendosi sempre in gioco. Rita ha un’energia che nemmeno una cantante di vent’anni possiede».
Veniamo all’attualità, l’emergenza sanitaria nei confronti della diffusione del Coronavirus sta mutando, seppur momentaneamente, la nostra quotidianità. Tu, personalmente, come stai vivendo tutto questo?
«Come tutti, segregata in quarantena, a casa, senza muovermi. Emotivamente è doloroso, non poter interagire con il mondo, se non telefonicamente, è dura. Non poter fare concerti, portare il proprio verbo in giro per l’Italia o per il mondo, per noi artisti è dura. Cerchiamo di lanciare messaggi di speranza e di buona fortuna tramite i social network, facendo piccole cose da casa».
Se dovessimo trovare un aspetto positivo da tutta questa situazione, in cosa lo individueresti?
«Di aspetti positivi in questa situazione io non ne vedo, quali sono gli aspetti positivi? Medici che mancano, sanitari che muoiono, infermieri stremati, francamente non ci vedo proprio niente di positivo, se non cercare di sdrammatizzare una situazione che è pesante e drammatica per tutti, anche per noi che facciamo i “buffoni”, per far divertire e distrarre la gente. Poi se vogliamo dirci le cose come stanno, c’è carenza di qualsiasi cosa, per avere una mascherina o un paio di guanti bisogna fare a botte, eppure questi sono beni di prima necessità.
Metti le persone in quarantena? Costringi tutte le sarte d’Italia a cucire mascherine per distribuirle gratuitamente. Lo Stato dovrebbe fare questo, non è possibile andare in farmacia e non trovare mascherine, le trovi online a novanta euro al pezzo, ma stiamo scherzando? E’ vero che in queste situazioni c’è sempre chi se ne approfitta, ma chi ci governa dovrebbe pensare a tutte queste cose. Ci sono tante cose che non stanno andando come dovrebbero, secondo il mio punto di vista, tutto questo terrorismo mediatico, troppe informazioni una diversa dall’altra, i più deboli crollano. C’è troppa confusione, ma chi ha in mano le redini di un Paese dovrebbe saper reagire».
Che ruolo possono avere, secondo te, la musica e l’arte in generale in questo momento?
«Importantissimo, perché noi solleviamo gli spiriti della gente. Le dirette su Instagram non sono nate a caso per farsi pubblicità, ma per fare compagnia a chi è solo come un cane, oppure per far evadere chi è costretto a stare in casa con persone con cui non va d’accordo. Gli artisti possono in qualche modo alleviare tutte queste situazioni pesanti».
Per concludere, alla luce di tutto quello che ci siamo detti, c’è un particolare insegnamento che hai imparato dalla musica in questi anni di attività?
«La musica mi ha insegnato a guardare la vita dal lato positivo, ma non ascoltando Battisti o altri cantautori, addirittura andando ancora più a ritroso nel tempo, con Chopin, Mozart e Vivaldi, pensa a “Le quattro stagioni”, da lì capisci subito cosa significa la musica. Primavera, inverno, autunno ed estate, è significativo. Ascoltando quei quattro concerti ti rendi conto di come, nonostante cambino le epoche, tutto alla fine sia riconducibile allo stesso suono, alla nostra vera essenza».
Nico Donvito
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