A tu per tu con la rock band romana, fuori con il loro primo singolo in italiano “Tu non ascolti mai“
Tempo di nuova musica per i WakeUpCall, gruppo musicale underground che ha all’attivo molteplici esperienze internazionali in diversi Festival. Si intitola “Tu non ascolti mai” il loro primo brano cantato in italiano, arrivato tra i sessantacinque finalisti di Sanremo Giovani 2019. In occasione di questa uscita, abbiamo raggiunto tramite Skype i quattro componenti della band: il cantante Tommaso, il chitarrista Oliviero, il bassista Francesco e il batterista Antonio. Approfondiamo la loro conoscenza.
Ciao ragazzi, benvenuti. Partirei del vostro nuovo singolo “Tu non ascolti mai”, cosa rappresenta per voi?
«Rappresenta tutta la storia dei WakeUpCall, perché è una canzone che ci portiamo dietro da tanti anni, l’abbiamo suonata e provata in tutte le salse prima di trovare la giusta veste sonora da attribuirle. E’ la prima che abbiamo scritto, circa dieci anni fa ormai, nata inizialmente in inglese, adattata successivamente in italiano. E’ una canzone ben concepita, ben strutturata, che funziona dal vivo e che trascina le persone durante i concerti».
Questo pezzo vi ha permesso di arrivare tra i finalisti di Sanremo Giovani 2019, un bel traguardo se consideriamo le 800 candidature. Che esperienza ha rappresentato per voi il giorno dell’audizione?
«E’ stata una bella esperienza se non fosse che la base era in playback e dal vivo ha potuto esibirsi soltanto il cantante, il nostro frontman. A parte questo, è stato sicuramente un momento importante della nostra carriera, che ci ha permesso di entrare in contatto con tanti altri artisti e di confrontarsi con loro».
Oggi come oggi ci sono due scuole di pensiero, c’è chi dice che il rock sia passato a miglior vita e chi invece sostiene che sia ancora vivo, vegeto e che lotti insieme a noi. Voi che ne pensate?
«Il rock è quello che siamo, sicuramente il rock di oggi non è più quello degli anni ’70 e ’80, è cambiato col tempo. Sono epoche diverse, il mondo va a avanti, non sappiamo se sia morto o meno, magari si è semplicemente evoluto e non ce ne siamo ancora accorti. Noi, dal nostro punto di vista, cerchiamo di portarlo avanti per quello che siamo ai nostri giorni attuali».
Veniamo all’emergenza sanitaria, ahimè, ancora in corso nei confronti del contenimento della diffusione del Coronavirus. Come state vivendo questo inedito e difficile periodo?
«Ci reputiamo abbastanza fortunati, perché ognuno di noi si trova a casa propria e riusciamo a portare avanti le nostre cose, non ci stacchiamo mai dal computer e dai nostri rispettivi strumenti. Sicuramente per noi musicisti non è facile, perché viene meno il fattore collettivo ed è un po’ come suonare in solitaria, ogni dalla propria stanza. Ci auguriamo che tutto questo possa risolversi nel più breve tempo possibile e con una ritrovata voglia di fruire la musica, dal vivo soprattutto, Facendo un’analisi più a breve termine, non è sicuramente un buon momento, il settore live è quello che più di tutti sta subendo i contraccolpi ed è vicino al collasso, perché non è solo un discorso legato agli artisti, bensì a tutto l’indotto, i posti dove suonare, i piccoli locali, ecc ecc. Tutto questo tendendo sempre bene a mente che non si sa a livello temporale quando l’aggregazione sarà di nuovo possibile, forse nulla sarà più come prima».
E’ prematuro parlare di conseguenze precise, ma come pensate ne potrà uscire il settore discografico da tutto questo? Mi riferisco in modo particolare alla musica dal vivo che, immagino, vi stia particolarmente a cuore…
«Non è di così facile previsione in questo momento, l’augurio è che si possa risolvere tutto per il meglio e che ci sia più voglia di andare ai concerti, almeno più di quella che c’era prima, perché anche prima del Coronavirus questo settore aveva i suoi piccoli problemini, anche noi, in quanto band underground che sta cercando di emergere. Diciamo che era già abbastanza difficile, ma ci auguriamo che questo non sia stato il colpo di grazia, siamo positivi pur sapendo che la situazione è complicata. Noi, per suonare, abbiamo bisogno di un palco, di tecnici e, soprattutto, di un pubblico, finché non ci sarà la possibilità di tornare a fare aggregazione in totale sicurezza non si può certo parlare di ripartenza».
Per concludere, al netto di tutta questa confusione discografica, quali sono i vostri prossimi progetti in cantiere?
«Negli ultimi tempi, anche in questa quarantena, abbiamo scritto davvero tanto, soprattutto canzoni in italiano. Sicuramente ci piacerebbe farle sentire al più presto, non sappiamo se faremo o meno un vero e proprio disco, come si faceva una volta, ma potrebbe anche starci perché noi siamo una band con un approccio un po’ vintage, nel senso che siamo molto legati al mondo live, ad un’attitudine che forse non esiste più. Oggi come oggi non sappiamo se ha ancora senso realizzare un album, le persone tendono ad ascoltare una canzone in una playlist di Spotify o guardano il videoclip su YouTube. Dobbiamo capire un attimo se valga o meno la pena realizzare un disco intero o se far uscire più singoli per dare realmente importanza ad ogni singolo brano».
Nico Donvito
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