A tu per tu con il cantautore emiliano, in uscita con il suo nuovo progetto musicale intitolato “Discover“
Quarant’anni di carriera portati con talento e sfoggiati con grinta, due elementi che da sempre contraddistinguono il percorso di Adelmo Fornaciari, per tutti Zucchero, idolo di intere generazioni, che abbiamo il piacere di ospitare sulle nostre pagine in occasione dell’uscita del suo nuovo album “Discover“, fuori dal 19 novembre. A due anni dal precedente lavoro di inediti “D.O.C.“, Sugar torna con alcune coinvolgenti e ispirate riletture di canzoni italiane e internazionali.
Ciao Zucchero, benvenuto! “Discover” è il titolo del tuo nuovo progetto, nonché il tuo primo disco di cover, anche se per certi versi potremmo considerarlo un po’ come il tuo quindicesimo album di inediti, nel senso che hai fatto tue queste tracce, al punto che all’ascolto sembrano scritte tutte da te. Come sei riuscito a personalizzare?
«Era proprio questo il mio obiettivo, ho sempre detto che fare cover ha senso se riesci a personalizzarle, a farle tue. Come ho fatto? Beh, sono partito da una lista di cinquecento brani e ho cominciato a scremare. Sai, ci sono brani intoccabili, che non riuscirai mai a fare meglio dell’originale, mentre altri li provi e non vanno bene nelle tue corde, altri ancora sono stati cantati più volte da altri interpreti. Insomma, alla fine, cerchi di fare una selezione avendo a fuoco un obiettivo che è quello di dire: “se io dovessi fare adesso un album di inediti e avessi scritto quelle canzoni, quali metterei per fare il miglior album che posso?” Ecco, è quello che ho fatto con questo disco».
Una canzone che in realtà era stata già co-scritta da te è “Luce (tramonti a nord est)”, che proprio vent’anni fa aveva portato ad Elisa la vittoria di Sanremo. Come ti sei approcciato alla rivisitazione di questo pezzo così popolare e com’è nato questo sound così diverso dall’originale?
«In effetti poteva sembrare una scelta ovvia quella di inserire una canzone che avevo co-scritto con Elisa e di avere lei nel brano. Poi, invece, quando è venuto fuori il riff e il mood che erano diversi dalla versione originale, mi ha intrigato l’idea di rileggere questo pezzo. Sì, forse meno commerciale, ma sicuramente con un’identità ben definita. Penso di essere riuscito a farla un po’ mia».
A proposito di mondi che si incontrano, colpisce anche la collaborazione con Mahmood in “Natural Blues”. Com’è stato lavorare con lui e come avete scelto proprio questo pezzo?
«Fin dalla prima volta che l’ho sentito a Sanremo 2016 con “Dimentica”, ho pensato che Mahmood avesse una voce molto particolare e soul. Ha una padronanza nel vocalizzo e una personalità al punto che potrebbe cantare benissimo dei pezzi di Al Green, perchè riesce a volare con le note. Ha scelto lui di cantare “Natural Blues”, dopo che io gli avevo mandato cinque o sei brani che ritenevo adatti per lui. Siamo andati in studio e l’abbiamo registrata, lì ho avuto la conferma che lui ha veramente un grande talento».
Molto emozionante il duetto virtuale con Fabrizio De Andrè, proprio come è interessante la storia che c’è dietro, perchè era stata Dori Ghezzi a suggerirti di provare ad interpretare “Ho visto Nina volare” in occasione del tributo realizzato a Faber nel 2000. Ci racconti com’era andata esattamente?
«Sì, Dori aveva messo insieme al Teatro Carlo Felice di Genova il tributo a Faber con molti ospiti, tra cui Vasco Rossi, Ligabue e Adriano Celentano. Fu lei che mi disse di ascoltare “Ho visto Nina volare” perchè lo considerava un brano nelle mie corde. Le ho dato retta e aveva ragione. Ho cambiato un po’ di accordi ed è venuta fuori bene. Sono io che, questa volta, le ho chiesto di avere la registrazione originale di Fabrizio per avere un colore, un qualcosa di magico che entrasse al punto giusto e fosse in grado di emozionare. Quando ho sentito per la prima volta il brano finito, pur sapendo il momento preciso in cui entrava la sua voce, mi sono emozionato parecchio».
In passato diverse tue canzoni sono state coverizzate da altri artisti, mi vengono in mente “Diamante” cantata da Mia Martini, “Come il sole all’improvviso” da Laura Pausini o più di recente “Dune mosse” da Giorgia. Come ci si sente ad essere dall’altra parte e che effetto fa ascoltare una propria creatura interpretata da qualcun altro?
«Insomma, in alcuni casi dici “wow, guarda come l’ha cambiata, guarda come l’ha trasformata”. In altri casi dici “era meglio se la lasciava lì”. Dipende… dipende da come viene fatta (ride, ndr)».
Per concludere, qual è l’insegnamento più importante che senti di aver appreso dalla musica in questi anni di attività?
«Sono tanti anni sai? Quando cominci a suonare a tredici anni e passi attraverso tanti generi musicali apprendi un po’ da tutti. Per esempio, l’amore per i Genesis è nato nel periodo in cui con la band facevamo progressive. Sai, un musicista è un po’ come una spugna, incameri e poi dopo, quando meno te l’aspetti e sei lì che scrivi ti viene fuori un suono, un mondo, un guizzo che magari non è più attuale e che i ragazzi di oggi non conosco nemmeno, ma che fa parte di tutto il tuo excursus. E’ fondamentale, è quello che ti permette di continuare a fare musica e di essere rispettato, perché dimostri di possedere le basi e la conoscenza».
Zucchero presenta Discover | Podcast
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© foto di Daniele Barraco
Nico Donvito
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