Recensione dei due nuovi singoli del cantautore
Ogni storia ha il proprio re e, come è giusto che sia, è lui a dettare legge, a scegliere quali sono gli ordini per guidare il proprio regno. Talvolta, nella storia, ci sono stati sovrani illuminati che hanno compreso l’importanza di un governo stabile, pacifico e orientato alla sviluppo economico e sociale; altre volte, invece, nei vari troni si sono seduti uomini scarsamente guidati dalla Dea Ragione nelle proprie scelte. Anche la musica ha i propri re ed è innegabile che Marco Mengoni negli ultimi anni lo sia diventato, almeno per quanto riguarda la musica italiana analizzata con gli oggettivi dati a nostra disposizione.
D’altro canto l’artista di Ronciglione re c’è nato. Lo cantava lui stesso in uno dei suoi primissimi successi, Credimi ancora, dicendo fin dal primo verso: “Sono un re matto, cambio spesso regole: non perdo mai” per poi ricordarlo al grande pubblico qualche anno più tardi ne La valle dei re dove, per mezzo delle parole di Cremonini, celebrava il suo essere “ancora un re”.
Ma anche i re, a volte, perdono la cognizione della causa e si illudono di poter vincere battaglie che, in realtà, non sono alla loro portata, almeno in determinati momenti. Così è stato anche per il Mengoni che, nato esordiente ad X-Factor, tentò d’imporsi a pubblico e mercato facendo leva su voce, introspezione e gusti difficili per radio e cinguettii facili salvo poi riuscire a salvarsi in extremis ricorrendo a più accessibili brani soft in cui virtuosismi e raffinatezze venivano del tutto evitati. Quando uno sa cantare, poi tutto viene facile. Occorrevano solo i brani giusti per far breccia sul cuore del “popolino”, quello che non ha troppe pretese ma che con insistenza continua a chiedere bassi prezzi per il pane. Gli basta quello d’altronde.
Ma un vero re non dimentica mai la propria indole, le proprie aspirazioni di gloria e successo ed ecco che, al primo momento buono, torna all’attacco più forte che mai per imporre, senza troppe opposizioni, il suo volere. Ed è questa la tattica vincente perchè quando si è il più forte non c’è possibilità di scampo per gli altri. A Mengoni va dato il merito di aver saputo aspettare, di aver cullato il proprio pubblico, di aver compreso la necessità di compiere insieme un percorso lungo ma necessario per condurre il semplice e distratto ascoltatore ad un prodotto più “difficile”, più sofisticato ed elaborato. Un prodotto che, forse, senza tutto il tragitto compiuto non avrebbe funzionato.
Voglio (Mengoni-Bonomo-Fazio) e Buona vita (Mengoni-Ilacqua) di fatto fanno esattamente questo: restituiscono la corona di re a Marco Mengoni. O meglio, tornano ad incoronarlo come “matto” dopo che, per qualche tempo, aveva volontariamente rinunciato a tale titolo. Certo, nessuno dei due brani raggiunge l’apoteosi del vocalizzo tecnico o dell’assoluta intimità testuale di perle rare come quelle contenute soprattutto nel gioiellino d’album di Solo 2.0 ma, intanto, già questo è un buon inizio, un buon punto di ri-partenza per dimostrare che occorre sempre mettere in campo tutti sè stessi, tutto il proprio sentire e, perchè no, tutta la propria bravura tecnica anche a costo di non soddisfare o di “esagerare”. Che poi, manco fosse un peccato essere bravi…
Se la Buona vita ricerca le atmosfere latine del Sud America (che in Italia solo Biagio Antonacci ha saputo sperimentare in questo senso “popolano” senza cadere nel trash reggaeton) anche per mezzo di un videoclip girato non a caso nel nostro caro Meridione, Voglio si dimostra più italian-style mettendo in campo tutta quella “follia” che, tra un arrangiamento sapientemente elettronico (ma di un’elettronica-rock mai sentita nel Bel Paese) ed una vocalità più libera e spensierata, canta anche di caramelle prese dagli sconosciuti e balli nudi. Mengoni si diverte e si sente. La cosa più importante è che lo faccia proponendo ciò che davvero ama visto che abbiamo imparato a capire che il ragazzo è particolarmente dotato in fatto di buon gusto musicale. Ed ora che vuole esagerare permettiamoglielo: ci saranno stelle cadenti grondanti di luce ad attenderci. Per ora questo è soltanto un timido antipasto, ne sono certo.
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Ilario Luisetto
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