venerdì 22 Novembre 2024

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Mario Riso e il suo “Passaporto” da solista – INTERVISTA

L’artista lombardo presenta l’album che ospita numerosi protagonisti della scena discografica italiana.

Si intitola “Passaporto” il primo disco di Mario Riso, uno dei nostri batteristi più importanti, che ha deciso di festeggiare il suo cinquantesimo compleanno con un progetto in cui si mette in gioco completamente, anche come cantante. Ospiti dell’album numerosi artisti, da Caparezza a Giuliano Sangiorgi, passando per Rise, Cristina Scabbia, Tullio De Piscopo e Danti, protagonista del singolo primo singolo “Un temporale”. Abbiamo incontrato l’ideatore dei Rezophonic, che ci ha raccontato di questo suo fortunato momento professionale.

Ciao Mario, partiamo da “Passaporto”, in uscita il 20 ottobre. Com’è nato questo progetto e quale tappa rappresenta per il tuo percorso artistico?

«Forse un nuovo inizio, nel senso che ho un ricco passato nel quale ho suonato per centinaia di dischi italiani, di tutti i generi, la mia preparazione musicale è sempre stata molto variegata. Dopo aver approfondito altri generi lontani da me e dall’heavy metal, mi è nato questo desiderio di realizzare un mio disco solista, sulla scia di quello che è stato il mio precedente progetto umanitario Rezophonic, anche se questa volta ho deciso egoisticamente di mettermi al centro io. Ho passato la vita al servizio degli altri, la batteria è uno strumento complementare che scandisce il ritmo delle canzoni, in questo album ho voluto ripercorrere tutta quanta la mia vita artistica, dal 1983 ad oggi».

Da cosa deriva la scelta del titolo?

«Sul passaporto solitamente c’è un timbro che indica la città e la nazione nella quale ti stai recando, oltre a tutte le altre che hai già visitato, in questo caso la data del sigillo rappresenta l’anno in cui ho ideato e composto la canzone, diciamo che rappresenta più un passaporto temporale che di viaggio. Ho voluto fare un disco che mi appartenesse, perché credo che il cervello sia una sorta di computer nel quale ci sono tanti file aperti che, con il passare del tempo, ci rallentano. Io ho deciso di pulire la cache e cancellare qualche app di troppo, pubblicando questo album che avevo da ben dodici anni nella mia testa. Ora mi sento molto più leggero, rinato».

Trent’anni di carriera, cinquant’anni di vita appena compiuti. Chi è oggi Mario?

«Dal punto di vista professionale, sono tutto quello che si sente nel mio disco, ma c’è molto ancora di più e, chissà, magari un giorno integrerò pubblicando anche cose nuove. Per quanto riguarda l’aspetto umano, invece, ho sempre avuto una predilezione per le cose belle e positive della vita, non ho mai investito un minuto nel distruggere, tutto quello che ho fatto è sempre stato volto a costruire, dai rapporti di amicizia alle cose che ho composto, oltre all’aver ideato Rock Tv e Hip Hop Tv. La vita è una coperta corta, ho sempre avuto le idee chiare su cosa mi piace fare e non ho mai voluto perdere tempo dietro alle robe inutili».

Nel singolo “Un temporale” ti metti in gioco anche come cantante. Cosa hai voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip?

«Per me è stato puro divertimento, sono curioso di sentire il parere dei miei amici e dei miei colleghi che per la prima volta mi ascoltano in questa veste. Una canzone che ho condiviso con Danti, un autore incredibile e di successo estremo, un artista che stimo e che si è messo in gioco con una persona che non ha mai cantato prima. ‘Passaporto’ nasce dalla sana voglia di divertimento, da godere appieno insieme agli amici di una vita e  questo disco non ha altre ambizioni oltre questa. Nel videoclip ho voluto trasmettere tutta la mia passione per la musica, ci sono io che ritrovo una vecchia batteria seppellita in un bosco, grazie ad uno spirito guida che mi ha condotto in quel luogo. Il messaggio che ho voluto lanciare è che le cose si fanno non tanto per ottenere un riscontro immediato o dei consensi, ma per trasmettere qualcosa e per puro divertimento».

Quando e come hai scoperto la passione per la batteria?

«Ho cominciato a suonare il pianoforte a sei anni, spinto dai miei genitori che mi hanno iniziato agli studi classici, uno strumento che non mi ha mai appassionato, onestamente ho sempre trovato molto malinconico il suono che viene emesso premendo i tasti bianchi e neri. All’età di tredici anni ho scoperto l’heavy metal, che mi ha rapito e fatto sentire grande, con quella forza positiva e sana violenza mi sono innamorato a prima vista della batteria. Un amore che si è dovuto scontrare con l’iniziale diffidenza della mia famiglia, che preferiva che continuassi a coltivare il pianoforte, comprato ormai in comode rate».

Un po’ come capita quando presenti alla tua famiglia la nuova fidanzata e loro preferiscono la tua ex… 

«Esatto! Ho dovuto combattere contro questa convinzione della mia famiglia, ma alla fine ce l’ho fatta e ho vinto io. Passavo interi pomeriggi a suonare sui fustini dei detersivi, penalizzando lo studio, a scuola andavo malissimo, avevo voti pessimi, poi un giorno i miei mi hanno proposto un patto: ‘se ti fai promuovere ti facciamo suonare la batteria’. Allora io, che non volevo sentirmi dire altro, da quel giorno ho recuperato ogni lacuna e mi sono pure diplomato in ragioneria pur di poter suonare la batteria. Insomma, la mia è una bellissima storia d’amore, quando la vedo mi sento innamorato come il primo giorno». 

Hai suonato in oltre 150 dischi e ti sei esibito in più di duemila date live. Dove trai linfa vitale per alimentare il tuo rapporto con la musica che, come in tutte le grandi storie d’amore, rischia prima o poi di cadere nell’abitudine?

«Sinceramente, credo che nella vita si possa rinunciare a fare qualcosa ma non ad essere qualcosa. Io sono nato musicista, ho provato un sacco di volte a pensare di dover fare altro, ma il mio amore per la batteria mi porta ogni volta a sentire la necessità e il desiderio di dedicarmi anima e corpo a questo mestiere. Per me suonare è come bere o mangiare per chiunque altro, è una cosa che mi viene naturale di cui non posso fare a meno. Ad alimentare questa passione, mi spinge la costante voglia di imparare e di conoscere che va oltre ogni limite, suonando e studiando tutti i giorni, godendomi appieno tutte le cose belle che questa terra ci può offrire».

Presenterai dal vivo “Passaporto”? Quanto conta per te la dimensione live?

«Guarda, non vedo l’ora di portare in giro questo album con la mia meravigliosa band, siamo un trio composto da Simone Fiorletta alla chitarra e Giuseppe Fiori al basso al quale si integrerà la voce di Tommaso Bai, alias KG Man. Loro mi aiuteranno a far conoscere dal vivo questo disco, un’occasione in cui avrò l’opportunità di riabbracciare i miei tanti amici sparsi per l’Italia». 

Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?

«Io posso solo sperare che ci siano persone, con tutte le cose belle nel mondo, che abbiano voglia di investire un’ora del loro tempo nell’ascoltare quello che ho fatto io, già questo sarebbe un grande successo. Credo che la musica sia una cosa, gli strumenti siano cose che, a differenza delle persone, non hanno un’anima. Quello che più mi piace e mi stupisce di questa forma d’arte è che la mia batteria, i miei rullanti, i miei piatti e le mie bacchette hanno un’anima e sono in grado di provocare emozioni, accompagnandoti per tutta la vita senza chiederti mai niente in cambio, una ricchezza che ti porta a vivere i momenti belli in maniera amplificata e quelli brutti senza rendertene nemmeno conto. Quando sei totalmente coinvolto da quello che fai vivi come in una realtà parallela, ecco questo vorrei riuscire a trasmettere al pubblico con la mia musica. Quando ami profondamente qualcosa sei disposto a rinunciare anche a tutto il resto, ad esempio non ho figli, anche se sono sposato e mi considero il peggior marito del mondo perché non ci sono mai, il mio lavoro mi rende poco disponibile e so che a causa della musica, un giorno molto lontano, finirò all’inferno».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.