La parabola del cantautorato italiano torna ascendente nel 2017 grazie alle nuove leve 2.0
Il 2017 è stato senza ombra di dubbio l’anno del rap/trap e l’anno del ritorno del cantautorato che poi, per alcuni, uno è l’evoluzione contemporanea dell’altro. Per alcuni ripeto, per me no: sia chiaro. Ad ogni modo, se l’emersione e la chiara affermazione della scena hip-hop è inequivocabilmente collegata e collegabile all’ampia diffusione della digitalizzazione del comparto musicale a cui tale proposta è doppiamente legata per genesi e propulsione, il ritrovato successo della scena cantautorale, dopo anni passati in penombra, non può che essere considerata una sorpresa ed un sinonimo di un’imminente, e già avviato, mutamento.
I primi anni 2000 avevano trovato negli interpreti i propri punti vincenti arrivando ad estremizzare la loro diffusione dall’alba del primo decennio con il sensibile apporto fornito dai talent show italiani, vere e proprie fabbriche di “voci senza penna” nella maggioranza dei casi. In questo, appena concluso, 2017, però, qualcosa è cambiato o, forse per meglio dire, il cambiamento che per anni ha preso forma sotterraneamente è finalmente emerso prospettando un nuovo futuro. Anzi, qualcuno forse direbbe, un “ritorno” al futuro che fu già passato in un certo senso.
Il cambiamento non poteva che prendere il via o, se si preferisce, manifestarsi apertamente per la prima volta dal palco del Teatro Ariston di Sanremo dove veri e propri fenomeni come Francesco Gabbani ed Ermal Meta hanno quest’anno preso il via anche dal punto di vista discografico dopo anni di gavetta. Non è da dimenticare nemmeno il secondo posto di Fiorella Mannoia, donna che pur essendo un’interprete meglio di chiunque altro incarna comunque il senso del cantautorato italiano, o il grande rispolvero di Paola Turci, nome che da 30 anni annovera gli annali della nostra musica d’autore al femminile. Non è stato, forse, un caso che proprio quest’anno il Festival sia stato letteralmente dominato, sotto ogni aspetto, dai rappresentati di questa nuova frontiera musicale che, nell’ultimo decennio raramente aveva trovato una così ampia accessibilità.
Come dimenticare, poi, il fenomeno indie, diventato col tempo forse persino troppo pop ma che, inevitabilmente, è riconducibile all’essere l’unica vera eredità dei grandi cantautori italiani del secolo scorso: Mannarino piuttosto che Brunori Sas,Levante, Lo stato sociale o, persino, i Thegiornalisti sono tutti figli di questo immenso e ricco scomparto che mai come negli ultimi mesi ha invaso l’informazione e i piani dell’accessibilità musicale di un qualsiasi ascoltatore medio.
E, infine, il 2017 è stato anche l’anno degli autori che, quasi fossero d’accordo, son tornati a dare spazio a se stessi prima, o insieme, agli artisti per i quali puntualmente confezionano hit su misura. Ci sono stati quelli come Roberto Casalino e Daniele Magro che, in un periodo in cui nessuno sembra più voler parlare di difficoltà, hanno avuto il coraggio di raccontare le proprie fragilità con estrema lucidità, come se non avessero più motivo di essere continuamente di fronte a quel nuovo ed inatteso scacco matto che la vita regala sempre ad ognuno di noi facendo crollare le certezze che tanto difficilmente siamo stati capaci di creare. C’è stata la profondità di Amaracapace di raccontare la vita, i suoi limiti e le sue gioie, le sue luci e le sue zone d’ombra, ma anche la contemporaneità di Federica Abbate, vera mattatrice del suono e delle nuove frontiere di una scrittura svincolata da regole e costruzioni esattamente come quella di Davide Petrella, Tony Maiello o quella del riproponimento più classico di Giuseppe Anastasi.
Forse qualcosa si è mosso, forse qualcosa sta cambiando ed è proprio questo il regalo più grande che può averci fatto, vedendolo a posteriori, il 2017 musicale. Staremo a vedere se i frutti continueranno ad essere coltivati anche nel 2018.
Ilario Luisetto
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