A tu per tu con il rapper di origini marocchine, fuori con il suo primo EP “Immigrato“, anticipato dal singolo “Poveri stronzi“
È disponibile dallo scorso 15 luglio per Sony Music Italy/Epic il primo EP di Otmen Belhouari, in arte 8blevrai, intitolato “Immigrato”. Il progetto arriva dopo poche settimane dalla pubblicazione di “Poveri Stronzi”, dando il via al nuovo capitolo del percorso dell’artista, avvalorato tra i nuovi talenti più apprezzati della scena rap italiana.
Ciao Otmen, benvenuto. Partiamo da “Poveri stronzi”, che sapore ha per te questo pezzo?
«“Poveri Stronzi” per me ha il sapore di vita quotidiana. Racchiude tutte le piccole situazioni che le persone si ritrovano ad affrontare ogni giorno, è un pezzo che rappresenta la voce del popolo».
Dal punto di vista testuale, quali riflessioni ti hanno ispirato?
«Sicuramente prendo spunto dalle situazioni che vivo o che vivono le persone che mi stanno intorno. Tutto ciò che vedo o che tocco in prima persona influisce sulla mia scrittura».
A livello musicale, che tipo di lavoro c’è stato dietro la ricerca del sound insieme al producer Big Fish?
«La ricerca del sound insieme a Fish è stata molto spontanea. Io provengo da un’etnia differente, con influenze differenti da quelle che sono presenti in Italia e grazie al lavoro con lui siamo riusciti a sfruttare questa cosa per portare qualcosa di nuovo e originale. Ci tengo a sottolineare che Fish non mi ha aiutato solo con la musica, ma anche a livello personale. Come se fosse uno zio, o addirittura un padre, per me».
Dal 15 luglio è disponibile un EP a cui è legato un documentario interamente girato in Marocco durante il periodo del Ramadan. Come sei riuscito a tradurre in immagini il rapporto con la tua terra d’origine?
«Per quanto riguarda il documentario, l’abbiamo girato in Marocco cercando di mostrare a tutti la vita delle persone locali, con annesse tutte le loro difficoltà. Non è stato troppo complicato perché la maggior parte delle persone nel mio paese vive realmente così, quindi non è servita una ricerca troppo lunga o impegnativa, ci è bastato mostrare la realtà».
Quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?
«La mia passione per la musica è nata sin da bambino, grazie a mio padre e alla musica che ascoltava. Poi durante il periodo della scuola mi sono avvicinato al rap grazie a un mio compagno di classe che lo faceva. Ascoltando una base che doveva servire per un suo lavoro, mi sono ritrovato a scrivere un testo quasi in maniera automatica e da li è nato tutto».
Per quanto riguarda i tuoi ascolti, tendi a cibarti di un genere in particolare oppure ti reputi piuttosto onnivoro?
«I miei gusti in realtà sono molti vasti, non mi focalizzo solo sul rap. Ad esempio ascolto molto il Rai, la musica della mia terra, che mi influenza molto. Inoltre mi piace sbirciare nella musica italiana, anche passata, per conoscere la cultura del paese in cui vivo. Diciamo che se una canzone è bella e mi trasmette emozioni, la ascolto a prescindere dal suo genere».
Lungo il tuo percorso hai lavorato con artisti del calibro di Jake La Furia, Paky e Rhove. Cosa ti hanno lasciato queste collaborazioni?
«Lavorare con artisti di questo calibro è stato un piacere ed un onore. Queste collaborazioni mi hanno aiutato molto a crescere e mi hanno lasciato sensazioni indelebili».
A chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?
«La mia musica oggi si rivolge a tutti, dai più piccoli ai più grandi. Sicuramente le persone un po’ più adulte possono capire meglio i miei testi e immedesimarsi nelle mie storie, ma io canto per chiunque, dal primo all’ultimo. In futuro mi piacerebbe rivolgermi anche ad un pubblico internazionale».
Nico Donvito
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