Intervista alla giovane cantautrice che presenta il suo nuovo singolo
Abbiamo intervistato con piacere Giulia Mutti, cantautrice toscana in uscita con un nuovo singolo dal titolo “Saturno Contro“. “Saturno Contro” è una canzone dal ritmo incalzante, così come incessanti sono le domande che la Mutti pone attraverso il brano senza che ci sia mai una risposta effettiva. Abbiamo condiviso tante riflessioni che hanno abbracciato anche le canzoni del disco “La Testa Fuori” (qui la recensione). In particolare sono emerse alcune particolarità tematiche e concettuali che sembrano starle decisamente a cuore.
Ciao Giulia, come stai?
«Bene, bene, è un buon periodo per tirare fuori tutto il lavoro svolto in inverno. Fiorisce il giardino e fioriscono anche le nuove canzoni».
La metafora del fiore va sempre bene per la musica e per i sentimenti, in effetti. Ti scrivi ancora le parole sulle mani? Ricordo questo tuo rituale.
«Inizialmente lo facevo spessissimo, perché volevo rappresentare il mio essere cantautrice. Le mani sono molto importanti per me, scrivendo le canzoni al pianoforte. Mi sentivo sicura a farlo. Sono tuttavia una ragazza che ama andare oltre. Un giorno capitò di esibirmi senza scrivere nulla sulle mani per mancanza di tempo ed è andata bene lo stesso. Ogni tanto lo faccio e ogni tanto no. Resta in ogni caso un gesto che mi appartiene».
Penso sia un gesto poetico, quello di scriversi parole sulle mani, come fossero segreti senza contesto. Entriamo invece nei segreti dei tuoi brani. Il tuo inedito si intitola ‘Saturno Contro’. Ho trovato ancora una volta il tema della comunicabilità o incomunicabilità tra due persone. Concetto che proponi davvero con frequenza, ma ogni volta in modo differente. Ci racconti questa canzone?
«Il tema della comunicabilità è molto spinoso e coinvolge tantissime persone. Parliamo della non comunicazione in generale, che sia con amico, partner o chiunque altro. Tanti problemi quotidiani sono certa che derivino da qui. Non perché abbiamo idee diverse o contrastanti, ma perché fatichiamo a spiegarci. Utilizzo metafore diverse per andare al nocciolo della questione, che è appunto l’incapacità comunicativa».
Ma l’errore secondo te è dire troppo o non dire niente?
«Per me è tutta una questione di carattere. Io probabilmente sbaglio perché non dico, anche se poi mi sfogo completamente nelle canzoni. Nella vita prima di esprimermi ci penso venti volte. Il silenzio è una risposta facile, dice tutto e non ingombra, come canto in Notte Fonda (qui un approfondimento)».
Quindi se abbiamo Saturno contro come ci dobbiamo comportare?
«Dovremmo forse provare ad andare avanti lo stesso. Penso sia la prima volta che in un brano concludo con un dubbio e non con una soluzione. Negli altri invece trovavo sempre una soluzione al problema affrontato. Ma nella vita è così, tante situazioni non si risolvono. Sapremo dirci tutto fino in fondo e andare avanti con Saturno contro? Punto di domanda. Il punto di domanda rimane».
Nella prima strofa ti riferisci a un sentimento senza macchia, che si può bere come un bicchier d’acqua. Mi spieghi il significato dietro al simbolo?
«Alludo alla purezza di un sentimento per quello che è. Un sentimento senza macchia nel concreto non penso possa esistere. Mi riferisco all’utopia del sentimento puro nella sua essenza più profonda: lo puoi bere senza che ti faccia male. L’ho associato all’acqua proprio perché limpido, semplice e chiaro».
A livello musicale come hai lavorato?
«Ho lavorato con Gando (Guglielmo Ridolfo Gagliano) dei Negrita. Ha sempre fatto parte del mio progetto, dagli inizi. Lui è molto bravo a trasformare in musica la mia verve, che nasce comunque da una struttura piano e voce. Volevo in effetti un pezzo grintoso e deciso, incalzante come le domande che mi pongo. Sono molto soddisfatta del risultato perché, come dico io, è una fucilata. In poco tempo ti spara in faccia quello che avevo in mente».
Ma stiamo parlando di una canzone nata di recente? perché la trovo in connessione con i brani del disco precedente, a livello musicale e di concetti espressi.
«In verità si tratta di una canzone successiva al disco “La testa fuori”, anche se mi piace che ci sia una continuità di un progetto che si evolve verso nuovi lidi partendo però da quanto fatto».
Ho visto che in Toscana la tua contrada ha vinto il palio con una tua canzone. Per chi come me non conosce le caratteristiche di questo evento, puoi spiegarci come funziona?
«Parliamo di un festival molto grande che si tiene nelle mie zone. Ogni segmento è costituito da una contrada. La manifestazione è molto sentita e coinvolge tantissime persone. Ogni contrada sceglie una cantante o un cantante che la rappresenti. La canzone deve essere a tema palio e deve quindi avere connessioni con la storia del paese. Questo festival è strutturato benissimo e ci si esibisce con l’orchestra. Negli anni si sono esibiti molti artisti di fama nazionale. Tre serate pienissime con un sacco di gente».
Nel disco “La testa fuori” erano presenti anche brani intimi, più delicati e meno spinti (qui un articolo a riguardo). Consideri questa una strada percorribile?
«Assolutamente sì. Anzi, ti svelo una cosa. Siamo stati indecisi fino all’ultimo se uscire con Saturno Contro oppure con un brano di quel genere. Abbiamo poi optato per il primo, ma la parte delicata mi appartiene molto e nel nuovo lavoro ci saranno brani in questa direzione».
In “Un posto per pochi” c’è una delle frasi più belle che io abbia sentito negli ultimi anni: “ed ho scoperto che domani puoi stare a terra o a cento piani“. La trovo ancora più efficace del concetto del titolo.
«Tutto ha origine dal bagaglio personale. Non ricordo esattamente i momenti in cui ho scritto un posto per pochi, però ricordo che è uno dei brani che ho fatto più fatica a finire. Avevo trovato la strofa e non trovavo i ritornelli. Vivevo quasi nella certezza che non l’avrei chiuso. Poi un giorno al pianoforte mi è arrivata l’idea del ritornello e da lì l’ho conclusa. Risulta fondamentale saper incanalare anche rabbia e sofferenza nella giusta direzione».
Parti dalla musica o dalle parole?
«Né dalla musica, nè dalle parole. Parto dall’idea. Le parole poi mi vengono con la melodia. Ma senza l’idea, che può anche essere un’immagine o un titolo, è difficile partire».
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