A tu per tu con Vincenzo Incenzo, per parlare del nuovo album “#Pace”. La nostra intervista al cantautore romano
È disponibile da oggi, venerdì 15 novembre, il nuovo album di Vincenzo Incenzo, intitolato “#PACE”, fuori per Verba Manent e distribuito da Ada Music Italy.
Il progetto è stato anticipato dal singolo “Ti perdi”, vincitore del Premio Lunezia Menzione Speciale al valore musical-letterario.
L’album è prodotto da Jurij Ricotti e, come sempre, pone al centro la scrittura critico-poetica del cantautore, che ritroviamo volentieri tra le nostre pagine.
Vincenzo Incenzo racconta il disco “#Pace”, l’intervista
Partirei dal titolo e dalla presenza dell’hastag: dato che tu sei un artista che con le parole ci sa fare, immagino che questo titolo e il modo di scriverlo abbiano entrambi un senso specifico, no?
«Intanto credevo necessario a questo punto, anche forse con il coraggio della retorica, mettere al centro e illuminare questa parola che è stata completamente depotenziata e svilita: pace. L’hashtag è il sogno, è il tentativo quasi infantile e magico di pensare che mettendo questo piccolo segno davanti alla parola, la parola possa circolare in maniera più veloce e più a 360 gradi possibile. Tutto l’album in qualche modo è condizionato, è influenzato, è bagnato da questa parola. Sebbene nell’album si parli di cose anche dolorose, drammatiche, c’è sempre una luminosità, c’è sempre una luce che viene proprio conferita da questa parola, come una via d’uscita».
Lo descrivi come un manifesto sentimentale del nostro tempo, e devo dire che trovo calzante in questa definizione, perchè tu possiedi questo dono di osservare e raccontare ciò che accade intorno con la corretta dose di criticità e di poeticità. Pensi di aver trovato la giusta chiave di esposizione nel fondere in un unico insieme spirito critico e spirito poetico?
«Questa è la ricerca che ho avviato dal primo disco. C’era una frase che portato a Renato Zero nel primo progetto, da lui prodotto, una canzone “solamente d’amore”. Mi disse che le mie canzoni non parlavamo mai solo d’amore, perché dietro c’è sempre anche la politica. E mi ha fatto riflettere questa cosa, effettivamente da allora non ho mai abbandonato questo doppio sentiero. Anche nel primo singolo di questo nuovo album, “Ti perdi”, c’è sempre questa doppia lettura, mantengo il piede in queste due strade, cioè l’idea che anche una canzone poetica possa essere critica. Anche il prossimo singolo, “Lontano è qui”, può sembrare una canzone d’amore, ma vuole essere tutte le canzoni d’amore, vuole essere l’annullamento di qualsiasi distanza. Quindi questo binario un po’ me lo sono fatto mio e appunto cerco sempre di contaminare in qualche modo il messaggio con il punto d’osservazione sia critico che poetico, caratteristica che penso mi appartenga di più».
E a proposito di poeticità, mi ha molto colpito come traccia “La bellezza”, il testo è straordinario, sembra davvero una poesia. Un’altra tua spiccata caratteristica è quella di riuscire come pochi ad esaltare la natura nelle tue canzoni. Come descriveresti il tuo rapporto con la bellezza intesa come ciò che che ci circonda e che non è costruito dalla mano dell’uomo, ma che, anzi, rischia di essere distrutto per mano dell’uomo?
«Sarà anche il passare del tempo degli anni, ma sono incantato dal miracolo dell’ordinario, veramente dalla bellezza delle piccole cose, dei piccoli fenomeni che accadono e mi chiedo come abbiamo potuto perdere quella visione, quella percezione, quella sensibilità uditiva, olfattiva, percettiva che in qualche modo era anche consolatoria e salvifica. Io sono devastato interiormente dalla bellezza della natura, mi sono creato anche un’isola fuori dalla città, una casa veramente proprio in un bosco, per cui anche proprio realmente fisicamente vivo questa dimensione e non trovo un momento più bello che svegliarsi nella natura, cioè mi sembra qualcosa di talmente potente, di talmente salvifico. Non voglio diventare demagogico o retorico, ma credo si possa cercare di far convivere la tecnologica con la natura. “La bellezza” è una canzone che ho concepito come fosse una sorta di cantico, per rendere grazie a tutto quello a cui dovremmo rendere grazie in ogni momento. Un tentativo di scuotere gli altri in questa canzone e invitarli a ricordare, a fare una sorta di inventario dell’universo, per dire di quante cose stiamo facendo a meno e quanto potrebbero aiutarci in ogni nostro singolo giorno».
Per concludere, qual è l’insegnamento più importante che senti di aver ricevuto dalla musica fino ad oggi?
«La musica mi ha posto in una posizione di pace, di amore col mondo. Sono un po’ ossessionato dal tempo che passa, e quindi sempre di più cerco di disseminare qualcosa, di lasciare una traccia. Non sono convinto di ottenere dei risultati nell’immediato, non credo di essere destinato al successo. Forse sono destinato, spero, a una sorta di memoria. Questo mi rende molto orgoglioso, mi rende felice di lasciare tante cose, tra la musica, il teatro e i libri. Quindi questa cultura di pace per cui mi adopro è ancora più forte. Ogni tanto mi capita di immaginarmi già morto, non lo dico con tristezza, ma penso quando mi troverò da un’altra parte dell’universo a guardare giù, ripensando alle cose che ho fatto e quelle che potevo fare. Così mi metto al lavoro e cerco di lasciare più cose possibili, a questo si deve la mia bulimia di fare cinque dischi in cinque anni, non è il tentativo di mettersi delle medaglie, ma di alimentare questa cultura della pace. Mi sembra che l’arte sia ancora un baluardo possibile per gli spiriti liberi e che possa ancora avere un linguaggio incontaminato, incorrotto. Ho visto crescere in questi cinque anni anche un pubblico nei miei confronti, quindi è un percorso più lento, però illuminato veramente da questa idea di poter trasmettere qualcosa con quello che posso fare, cioè scrivere canzoni, fare spettacoli teatrali e cose simili».
Nico Donvito
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