A tu per tu con Letizia Onorati, la nostra intervista in occasione dell’uscita di “Americas”, album pubblicato da Azzurra Music
Tempo di nuova musica per Letizia Onorati, fuori con il nuovo disco “Americas”, disponibile su tutte le piattaforme digitali, un viaggio tra la bellezza delle sonorità latine, sulle note dei grandi maestri quali Caetano Veloso, Osvaldo Farrés e Astor Piazzolla.
Il progetto riafferma l’idea di musica come linguaggio universale, capace di superare ogni confine. Attraverso l’oceano, “Americas” riscopre l’unicità dell’America Latina, una terra che fonde culture diverse, tutte accomunate da un forte senso di appartenenza, autenticità e creatività.
Letizia Onorati racconta “Americas”, l’intervista
Cosa ti ha spinto a intraprendere questo progetto e a esplorare la musica dell’America Latina?
«Ho sempre apprezzato la musica latina, mi sono sempre sentita molto vicina alle numerose sfaccettature che vi si potessero trovare, alle diverse emozioni che vengono raccontate in musica dalla gioia alla malinconia e sono sempre stata particolarmente affascinata dalla centralità del ritmo trascinante che non oscura mai la potenza della melodia. Partendo da tutto questo, ho intrapreso un percorso di ricerca e studio anche grazie al supporto e ai suggerimenti di Paolo Di Sabatino, grande appassionato ed esperto di tutta la musica che trova le sue radici nel sud america, con il quale abbiamo deciso di registrare questo nuovo progetto».
Puoi raccontarci come è avvenuta la selezione dei pezzi da includere? Hai seguito un criterio particolare?
«Il processo di scelta dei brani devo ammettere non sia stato facile, ho provato a fare una selezione che prevedesse stili, provenienze e storie differenti, con la poetica che mi avesse colpito di più ma tutti pezzi accomunati da una forte autenticità e riconoscibilità dell’autore scelto identificando comunque i brani che mi avevano emozionato ma anche divertito maggiormente e che potessero poi emozionare e divertire anche l’ascoltatore».
Come nasce la collaborazione con Paolo Di Sabatino e quale impatto ha avuto il suo trio sul sound del disco?
«Conosco Paolo da oltre vent’anni, dunque una importante e collaudata collaborazione, per me sempre fonte di ispirazione. Dopo tre dischi dove è stato prezioso pianista e produttore artistico questa volta inoltre firma insieme a me “Americas” proprio perché nasce dalla sua volontà di portare in studio tutto l’amore per una terra lontana riarrangiando per trio e voce alcuni dei più bei capolavori latini. Paolo Di Sabatino, che nel disco ha suonato sia pianoforte che rhodes, Simone Sulpizio, al basso, e Glauco Di Sabatino alla batteria, sono riusciti con egregia maestria a ricreare perfettamente una naturale energia travolgente e avvolgente che desideravo fosse propria di questo progetto, riuscendo a far immergere noi che suoniamo e il publico che ascolta nell’ intensità della poetica ad esempio carioca o argentina».
Tra i pezzi iconici in scaletta, spiccano “Libertango” di Astor Piazzola e “Quizas quizas quizas” di Osvaldo Farrés. Come ti sei approcciata a questi pezzi così iconici e che sono stati interpretati negli anni da moltissimi tuoi colleghi?
«Per approcciare brani così iconici ci vuole una grande passione e un pizzico di incoscienza ma il jazz ci insegna, con l’eredità del song book americano, che bisogna sempre divulgare e condividere tradizioni e bellezza, cogliendo il significato profondo musicale e letterale, partendo dall’ ascolto di moltissime versioni diverse per poterne creare una propria personale e originale».
Da questo viaggio nella tradizione e nella cultura di popoli diversi, cosa pensi di aver imparato?
«Penso di aver imparato che nessuna terra è così lontana come pensiamo, che possiamo sentirci a casa ovunque, che siamo tutti cittadini di un unico mondo e soprattutto ho avuto la conferma, ancora una volta, che la bellezza risieda nella diversità soprattutto quando ci sono più culture che si confrontano e risplendono nella creatività, in un forte senso di appartenenza e nella condivisione di valori profondi».
Il jazz, che è la tua grande passione, si intreccia in questo progetto con le tradizioni latine. Come vedi l’evoluzione del jazz in Italia e nel mondo e quale ruolo pensi che abbia nel contesto musicale contemporaneo?
«Il jazz fa parte del mio background, del mio percorso di studio e rimane sicuramente sempre la mia passione. Penso che in questo momento ci sia un forte fermento tra gli artisti jazz, un momento prezioso perché permette di godere del contributo importantissimo delle “vecchie” generazioni scoprendo anche tanti progetti interessanti tra le “nuove” generazioni. In termini di posizione nel contesto attuale penso che il jazz abbia sempre troppo poca visibilità purtroppo e proprio a fronte della varietà di idee di grande qualità e valore sarebbe un bene per tutti riuscire a supportare e dare un maggiore spazio d’espressione anche ad esempio tra le radio che sono ancora molto poche a scegliere il jazz nelle programmazioni».
Per concludere, in una nostra precedente intervista avevi definito la musica come “una pozione magica salvifica” e “una continua fonte di bellezza”. Ma di concreto, c’è un insegnamento che applichi nella vita di tutti i giorni e che pensi di aver acquisito facendo musica?
«Credo fortemente in questa definizione, che caratterizza ogni giorno nel concreto la mia vita perché cerco di trarre positività e bellezza anche nei momenti più sfidanti grazie soprattutto alla musica nell’ ascolto, nell’ esecuzione o nella scrittura e composizione e in tutta la libertà di espressione e potenza unificatrice».
Nico Donvito
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