Analisi dell’ultimo album di Cesare Cremonini: “Alaska baby” è un viaggio assorto, con qualche guizzo energico qui e là. Tra poesia e ritmo, tra pace e sussulti
L’ultima opera di Cesare Cremonini, dal titolo “Alaska baby”, è un cammino immersivo, ondulato da alcuni sobbalzi disseminati lungo un sentiero prevalentemente lineare. Un’indole poetica che si alterna a ritmi più sostenuti, senza sovrapporsi quasi mai. Ma scendiamo nel dettaglio brano per brano. Cesare Cremonini Alaska Baby Recensione
Proprio “Alaska baby” è il titolo del pezzo di apertura. La lirica è un viaggio per il mondo, dai ritmi estremamente lenti accompagnati da un beat rettilineo. Segue poi il singolo principe di questo componimento “Ora che non ho più te” (qui la nostra recensione). Nata come una semplice ballad, ha visto collaborazioni a più mani che l’hanno trasformata attraverso una scansione decisamente più energica, moderna e contemporanea. “A 200 all’ora come un pazzo in autostrada” è un mantra evocativo di un viaggio nella vita.
Da qui inizia poi quella che possiamo ribattezzare come “la parte assorta” dell’intero componimento. Una sequenza di ballad assopite, poetiche e delicate. Da ascoltare solo quando si è in un mood romantico, innamorato, perduto tra le nuvole. E che viceversa, il cui ascolto, può risultare indecifrabile, criptico e serrato se non si all’interno di questa estasi. Ecco quindi “Aurore boreali” in collaborazione con Elisa, che vede il suo apice esplosivo in un ritornello mai eccessivo, per nulla smisurato, giammai sovrabbondante.
“Ragazze facili” poi racchiude la vera essenza poetica dell’artista bolognese, ovviamente custodito in una ballata soave. “Dark room” insieme al pianista Mike Garson (che ha già collaborato con artisti del calibro di David Bowie ad esempio) è un crescendo contornato da un esortazione ad agire, il tutto all’interno di un’atmosfera abbastanza surreale, che si capta in alcune asserzioni: “Il tuo gorilla indiano campione di Kung Fu vuole spaccarmi il naso, gliel’hai chiesto tu” o ancora: “Ragazze francesi, bambole vudù. Negli occhi fari accesi, magic mushroom”, e poi in “Graffi sul pavimento, un déjà-vu. C’è un’ombra nello specchio che sembravi tu. È solo un trucco e adesso arriva Belzebù, spegne la luce, non ti vedo più (su).”.
“San Luca” (qui la nostra recensione), in collaborazione con Luca Carboni non si discosta da questo filone. Un immancabile ode al santuario sacro di tutti i bolognesi (e non solo). Il tutto costellato assieme ad un altro bolognese doc. Prosegue con “Un’ alba rosa”, un pezzo che purtroppo si smarrisce un po’ all’interno di questa successione di canzoni conformi e lineari tra l’una e l’altra.
Ecco però “Streaming” che spezza “la parte assorta” e ci fa tornare all’interno di ritmi più sostenuti, rapidi e intensi, ma senza eccessi. Il tutto però a discapito di una poeticità più dimessa, meno lirica, più accennata. “Limoni” seguita tale filosofia, richiamando per qualche attimo Lucio Dalla, sia nella musica che in alcune liriche.
“Il mio cuore è già tuo” continua sullo stesso sentiero. Prodotto insieme ai Meduza, è inevitabilmente il brano più moderno dell’album. Pur seguendo lo stesso assioma citato precedentemente, relativo ad un lirismo meno profondo. “Con una poesia” ci riporta però a quei ritmi lenti e come dice il titolo stesso, ad una poesia nuda e cruda. Il componimento si compie con “Acrobati”, la conclusione perfetta di questa nuova raccolta di Cesare Cremonini. Esso rappresenta forse il mix più riuscito nel dualismo ritmo/poesia. Una power ballad che richiama vagamente al pop moderno nord-europeo (vedi “Tattoo” di Loreen).
“Alaska baby” di Cesare Cremonini è una chiusura abbastanza lineare quindi. Quel viaggio assorto dichiarato in apertura, costellato da macchie di colori più vivaci sparse qui e là, che però non danneggiano l’opera, anzi la esaltano. La maggior parte dei brani sono abbastanza lunghi e non prettamente improntati per uno sbarco radiofonico, salvo un paio di eccezioni. Cesare Cremonini Alaska Baby Recensione
Una delle caratteristiche principali di questo nuovo componimento di Cesare Cremonini è la contrapposizione tra ritmo e poesia. Quando prevale l’uno, l’altro appare leggermente offuscato. Quando l’andatura sale, si velocizza, accelera, si nota una spoliazione d’intensità, probabilmente desiderata. E viceversa, se le vette oniriche raggiungono il proprio apice, la scansione appare volutamente scarnita, accennata, asciutta. Un album che va ascoltato a spizzichi e bocconi, alternando i vari brani a seconda della propria essenza del momento. Altrimenti può risultare, come detto in precedenza: illeggibile, arcano, misterioso. Ma è forse proprio questo il fascino di Cremonini, quella vena assorta e sussurrata alternata a battiti giambici e mordenti.
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