Sanremo Story: la rubrica che ripercorre le tappe fondamentali del Festival della canzone italiana, attraverso aneddoti e approfondimenti. A cura di Nico Donvito
Per molti il Festival di Sanremo è quell’evento televisivo che catalizza davanti allo schermo per una settimana all’anno, uno spettacolo colorato, uno psicodramma tragicomico collettivo, un carrozzone fiorito stracolmo di cantanti, presentatori e vallette. Negli anni, ne abbiamo lette e sentite parecchie di definizioni, tutte profondamente vere, ma nessuna realmente corretta. Sanremo Story anni ’90
Per dare una risposta allo slogan “Perché Sanremo è Sanremo”, è necessario riscoprire la storia di questo grande contenitore che nel tempo si è evoluto, ma senza perdere il proprio spirito. La verità è che il Festival è un vero e proprio fenomeno di costume, la favola musicale più bella di sempre, lo specchio canterino del nostro Paese. Con la sua liturgia, la kermesse non è mai riuscita a mettere d’accordo ammiratori e detrattori, forse in questo alberga la vera fonte del suo duraturo consenso. La rubrica “Sanremo Story” si pone l’obiettivo di raccontare tutto questo e molto altro ancora.
“Sanremo Story”, il definitivo rilancio degli anni ’90
La nascita dell’Auditel e l’avvento della tv commerciale portarono la Rai ad intensificare gli investimenti sulla macchina organizzativa del Festival di Sanremo, al punto da trasformarlo in un vero e proprio evento mediatico. Sulla scia del grande successo degli anni ’80, la rassegna canora si apprestava a registrare il massimo interesse storico, andando incontro a un’epoca di grandi ascolti e di importanti vendite.
Quella del 1990 fu l’edizione del quarantennale, la prima e unica a non svolgersi né al Casinò né al Teatro Ariston, bensì in un mega-capannone ribattezzato Palafiori, costruito in località Bussana, situato alla periferia est della cittadina, ai piedi della Valle Armea, a circa sette chilometri dal centro. Un gigantesco edificio di fortuna che poteva ospitare fino a 3.500 spettatori, talmente sterminato che la scena misurava circa 700 metri quadrati, con la prima fila molto distante rispetto al palco. Numerosi i disagi, dalla temperatura quasi glaciale alla presenza di pipistrelli che svolazzavano liberi e felici di serata in serata. Alla conduzione tornò per la seconda volta Gabriella Carlucci, affiancata da Johnny Dorelli.
La direzione artistica fu affidata per la seconda volta consecutiva ad Adriano Aragozzini, che favorì l’atteso ritorno dell’orchestra, ponendo fine all’era del playback e delle basi registrate. Sparì anche il Totip, il potere decisionale ritornò nelle mani della giuria demoscopica. Dopo ventidue anni di assenza, i cantanti stranieri tornarono in gara e l’organizzazione riuscì nell’impresa di mettere in piedi un cast colossale. Tra le star internazionali in concorso spiccarono Toquinho, Sandie Shaw, gli America, Miriam Makeba, Sarah Jane Morris, La Toya Jackson, i Kaoma, Nikka Costa, Dee Dee Bridgewater e Ray Charles.
A trionfare nella categoria Campioni furono i Pooh, alla loro unica presenza festivaliera con “Uomini soli”, mentre a sbancare nelle vendite fu “Vattene amore” di Amedeo Minghi e Mietta, che passò alla storia come il celebre “trottolino amoroso dududù dadadà”, diventando l’inno di un’intera generazione di gattini annaffiati e gattoni arruffati. Il genere nazionalpopolare venne rappresentato dai soliti Ricchi e Poveri con “Buona giornata”, da Sandro Giacobbe con “Io vorrei”, da Gianni e Marcella Bella con “Verso l’ignoto”, da Toto Cutugno, alla sua quarta medaglia d’argento consecutiva, con “Gli amori” e da Peppino Di Capri con la suadente “Evviva Maria”, liberamente ispirata alla Lambada, successo che proprio in quel periodo spopolava in mezzo mondo.
Dopo anni di assenza, si riaffacciarono in gara Milva e Caterina Caselli, rispettivamente con “Sono felice” e “Bisognerebbe non pensare che a te”. Si riproposero due protagoniste dell’annata precedente: Mia Martini con “La nevicata del ’56” e Anna Oxa con “Donna con te”, quest’ultima in principio affidata a Patty Pravo che diede forfait all’ultimo. Ad affermarsi tra le Nuove Proposte fu Marco Masini con “Disperato”, uno dei brani più celebri e rappresentativi del suo repertorio. Un’annata particolarmente feconda, ricordata per la coincidenza con i Campionati Mondiali di Calcio ospitati nel nostro Paese, vinti dalla riunita Germania a pochi mesi dalla caduta del Muro.
Questo spirito di rinascita venne spazzato via dalle preoccupazioni per la Guerra del Golfo, iniziata in agosto e che vide il suo epilogo proprio nel febbraio 1991, in concomitanza con la messa in onda della quarantunesima edizione del Festival. Fu la prima volta che Sanremo ebbe luogo durante le fasi salienti di un conflitto internazionale e questo indusse gli organizzatori a non esagerare con l’allegria e la spensieratezza, incentivando la presenza di canzoni dall’umore cupo e malinconico, a discapito del solito monopolio sentimentalista. Vennero affrontate numerose tematiche sociali, parlando di ultimi, di emarginati, di diseredati, di anziani, di mafia e di droga. L’unica deroga fu concessa al duo femminile per antonomasia, composto da Jo Squillo e Sabrina Salerno, con la loro rivoluzionaria “Siamo donne” che, pur mantenendo i codici di un tormentone, forniva spunti di riflessione importanti sulla concezione del ruolo della donna all’alba del nuovo millennio.
Eliminati anche i siparietti comici, fu un’edizione riflessiva e introspettiva, dai toni decisamente pacati. Al suo terzo mandato, Aragozzini ripropose la formula dell’anno precedente, confermando l’orchestra e gli abbinamenti con i cantanti stranieri. La rassegna tornò in un Teatro Ariston fresco di ristrutturazione, con una scenografia scura e senza fiori, anch’essa in linea con lo stato d’animo generale. Si impose il cantautorato serio e impegnato, come evidenziato dalla vittoria del debuttante Riccardo Cocciante, alla sua unica prova festivaliera con “Se stiamo insieme”, seguito a ruota dall’altro illustre esordiente, Renato Zero, con “Spalle al muro“, composta per lui da Mariella Nava. Il cantautore romano ironizzò alla sua maniera, commentando: «Anche il Vangelo è sempre secondo».
Sul gradino più basso del podio si stabilì Marco Masini, campione uscente delle nuove leve, promosso in prima categoria con “Perché lo fai”. Il brano, composto a sei mani con Giancarlo Bigazzi e Mario Manzani, fu inizialmente destinato a Umberto Tozzi. Quest’ultimo ne registrò una versione tutta sua, con un testo completamente differente, dal titolo “Un adagio per dirti addio”, una chicca per autentici feticisti sanremesi. L’ugola torinese si ritrovò comunque a concorrere in gara con un pezzo altrettanto memorabile: “Gli altri siamo noi”, una delle canzoni italiane più belle dedicate al tema dell’integrazione. Prima volta in Riviera anche per un altro baluardo della musica d’autore, ovvero Pierangelo Bertoli, accompagnato dai Tazenda sulle note di “Spunta la luna dal monte”.
Da segnalare il ritorno di Loredana Bertè con “In questa città”, firmata da Pino Daniele, oltre all’ultima partecipazione in coppia di Al Bano e Romina, prossimi alla separazione, con “Oggi sposi”. Attese per la prova del nove, le due rivelazioni dell’anno passato: Amedeo Minghi e Mietta, che gareggiarono da soli, rispettivamente con “Nené” e “Dubbi no”. Molto applaudite le performance di Enzo Jannacci con “La fotografia”, premiata dalla critica, e di Raf con “Oggi un Dio non ho”, che rifletteva sulle profonde inquietudini esistenziali.
Tra le star internazionali abbinate agli interpreti nostrani si avvicendarono le presenze di Sarah Jane Morris, Grace Jones, Dee Dee Bridgewater, Howard Jones, Gloria Gaynor, Ute Lemper, Randy Crawford e Bonnie Tyler. Fra i giovani si affermò Paolo Vallesi con “Le persone inutili”, mentre destarono interesse anche gli innesti di Irene Fargo con “La donna di Ibsen” e dei Timoria con “L’uomo che ride”. Insomma, un’annata qualitativamente interessante. Non fu dello stesso parere Francesco De Gregori che, dalle pagine dell’Unità, sentenziò: «Ogni anno, in questi giorni, la musica italiana e le sue buone intenzioni si vanno ad incagliare puntualmente nei bassifondi di Sanremo. Lo scarso spessore della manifestazione, sia dal punto di vista artistico che da quello commerciale, è abbastanza scontato: nessuna persona di buonsenso potrebbe sostenere che le belle canzoni oggi in Italia siano quelle del Festival». Un’opinione rispettabile quanto discutibile, visto e considerato che potrebbe sembrare un tantino facile parlarne senza mettersi in gioco.
Quella del 1992 fu un’annata parzialmente rivoluzionaria, caratterizzata da un deciso e indecifrabile ritorno al passato. Alla conduzione rifece capolino Pippo Baudo, che inaugurò la prima delle sue cinque edizioni consecutive, affiancato in questa occasione da ben tre presenze femminili: Alba Parietti, Brigitte Nielsen e Milly Carlucci. Dopo tredici anni vennero ripristinate le eliminazioni per la sezione Campioni, mentre debuttò ufficialmente il Dopofestival. Furono aboliti gli abbinamenti con i cantanti stranieri, operazione rivelatasi poco efficace a causa della scarsa diffusione discografica delle loro versioni in giro per il mondo, così le star internazionali tornarono a ricoprire il consueto ruolo di ospiti. Nel corso della restante parte del decennio, si alternarono sul palco dell’Ariston artisti del calibro di: Annie Lennox, Natalie Cole, Rod Stewart, Diana Ross, Phil Collins, i Take That, i Jamiroquai, Sting, Madonna, Bruce Springsteen, Tina Turner, Cher, Alanis Morissette, Celine Dion, i Bon Jovi, i Cranberries, le Spice Girl, i Bee Gees, David Bowie, Al Jarreau, Lionel Richie, Michael Bolton, i Backstreet Boys, Ricky Martin, gli Aqua, Josè Feliciano, Bryan Adams, i Blur, gli Skun Anansie, i R.E.M., Lenny Kravitz e Mariah Carey.
L’impronta classica tornò protagonista, un gazebo in stile liberty dominò l’intera scena, rappresentando idealmente anche con le immagini lo spirito di questo Festival, caratterizzato musicalmente da svariati motivi tradizionali. L’amore tornò di pubblico dominio, ma ci fu ampio spazio anche per l’attualità: ne “La forza della vita” di Paolo Vallesi si fece menzione all’AIDS, in “Italia d’oro” di Pierangelo Bertoli si parlò profeticamente di tangenti e in “Mendicante” di Mariella Nava si approfondì esplicitamente il tema della sfiducia nei confronti della classe politica.
Tra gli altri brani in concorso spiccarono “Strade di Roma” di Michele Zarrillo, “Ti penso” di Massimo Ranieri e “Gli uomini non cambiano” di Mia Martini, che si posizionò al secondo posto nonostante i favori della vigilia. In “Pitzinnos in sa gherra” dei Tazenda si registrò l’unica presenza accreditata di Fabrizio De Andrè, in veste di autore della parte finale del pezzo. Ad aggiudicarsi la vetta della classifica Campioni fu Luca Barbarossa con “Portami a ballare”, una dedica d’amore nei confronti della propria madre, tematica riletta in maniera decisamente più delicata e contemporanea rispetto al passato. A furoreggiare tra le Nuove Proposte, invece, furono Aleandro Baldi e Francesca Alotta con la celeberrima “Non amarmi”, ripresa successivamente in versione latina da Jennifer Lopez e Marc Anthony.
Quello del 1992 fu ribattezzato il Festival delle polemiche, in piena sintonia con l’annata bisestile. Scoppiò lo scandalo mazzette che coinvolse il patron Adriano Aragozzini, mentre nel Paese stava per accadere qualcosa di ancora più rilevante, con il pubblico ministero Antonio Di Pietro che aprì il fascicolo d’inchiesta su “Mani pulite”, dando inizio alla triste pagina giudiziaria di Tangentopoli.
Sanremo 1993 mise a tacere ogni critica, non mancarono le sorprese e le giurie premiarono motivi per nulla scontati, inaugurando l’era dell’imprevedibilità, dopo un decennio di vincitori annunciati e di pronostici azzeccati. Alla conduzione il confermatissimo Pippo Baudo, spalleggiato da Lorella Cuccarini. Tra i motivi in concorso risaltarono “Ave Maria” di Renato Zero, “Dietro la porta” di Cristiano De Andrè, “Non so più a chi credere” di Biagio Antonacci, “Stiamo come stiamo” di Loredana Bertè e Mia Martini.
A vincere l’edizione fu Enrico Ruggeri con “Mistero“, la prima canzone rock ad aggiudicarsi il titolo della rassegna, ventotto anni prima del trionfo targato Måneskin. Tra i giovani strappò consensi Laura Pausini con “La solitudine”, manifesto generazionale di un’adolescenza d’altri tempi, che portò l’ugola romagnola alla conquista del mercato internazionale. Completarono il podio delle nuove leve Gerardina Trovato con “Ma non ho più la mia città” e Nek con “In te”, che suscitò reazioni alquanto controverse, poiché dava modo di riflettere sul tema dell’aborto considerato per l’epoca ancora un tabù.
Spazio al sociale e ad un nuovo modo di intendere i rapporti sentimentali ne “Gli amori diversi” di Rossana Casale e Grazia Di Michele, mentre il tema del disagio giovanile fu al centro di “Figli di chi” di Mietta e dei Ragazzi di Via Meda. Debutto eccellente per l’ottantunenne Roberto Murolo: il menestrello napoletano diede lustro alla gara con la saggezza e la grande esperienza con “L’Italia è bbella”. Ne uscì del tutto incompresa Milva, fanalino di coda con la teatrale “Uomini addosso”, incentrata sul concetto di maschio prigioniero della sua stessa virilità.
Si concluse così l’ultimo Festival della Prima Repubblica, una specie di spartiacque a cui seguirono annate decisamente più ripetitive e ridondanti. La quarantaquattresima edizione della manifestazione segnò, dopo ben trentasette anni di continui appalti, il ritorno dell’organizzazione nelle mani della Rai. Il popolare conduttore di Militello ricoprì per la prima volta il doppio ruolo di direttore artistico e di presentatore, affiancato da Anna Oxa e dalla modella francese Cannelle, nota al grande pubblico per la celebre serie di spot pubblicitari delle caramelle gommose.
Molti i pezzi sentimentali in concorso, con un occhio di riguardo alle tematiche di approfondimento sociale e all’attualità, dalle stragi mafiose di Capaci e di via D’Amelio in “Signor Tenente” di Giorgio Faletti ai massacri della guerra in Bosnia in “Non è un film” di Gerardina Trovato. Spiccò “I soliti accordi”, un’accurata satira sulla capacità di reinventarsi da parte della classe politica dell’epoca, proposta dell’inedita coppia formata da Enzo Jannacci e Paolo Rossi.
Al penultimo posto venne confinata una singolare compagine composta da alcuni mitologici rappresentanti della nostra musica leggera: Jimmy Fontana, Tony Santagata, Wilma Goich, Rosanna Fratello, Wess, Manuela Villa, Lando Fiorini, Giuseppe Cionfoli, Gianni Nazzaro e Mario Merola, capitanati dalla regina Nilla Pizzi. Si facevano chiamare Squadra Italia, anche se ci tenevano a sottolineare di non avere nulla da spartire con il neonato partito fondato da Silvio Berlusconi. Il nome derivava dal numero dei componenti: undici, proprio come una formazione calcistica. “Una vecchia canzone italiana” fu una sorta di serenata d’addio nei confronti di un certo approccio musicale destinato a svanire nel giro di breve tempo. Apprezzabili i ritorni di Loredana Bertè con “Amici non ne ho”, di Donatella Rettore con “Di notte specialmente” e di Ivan Graziani con “Maledette malelingue”. Le turbolenze amorose furono ben rappresentate da “Cinque giorni” di Michele Zarrillo e da “Strani amori” di Laura Pausini, ormai lanciatissima sia in patria che all’estero.
Vinsero Aleandro Baldi tra i big con “Passerà” e Andrea Bocelli tra le nuove leve con “Il mare calmo della sera”. Da segnalare gli esordi tra i cadetti di Giorgia e di Irene Grandi, rispettivamente con “E poi” e “Fuori”.
Lo spettacolo messo in scena nel 1995 vide debuttare Claudia Koll e Anna Falchi al fianco di Baudo, inaugurandocosì la lunga stagione della doppia valetta mora-bionda. Si trattò della seconda edizione più vista di sempre dopo quella dell’87, un’annata caratterizzata dall’introduzione della celebre sigla di apertura “Perché Sanremo è Sanremo”, composta dal maestro Pippo Caruso. Il nuovo regolamento promosse in prima categoria i giovani finalisti della precedente turnata, e questo portò alla sorprendente vittoria di Giorgia con “Come saprei”. Tra le Nuove Proposte si affermarono i Neri per Caso con “Le ragazze”, l’unico motivo in concorso nella storia della kermesse ad essere stato completamente eseguito a cappella.
Tra gli emergenti salirono alla ribalta Gianluca Grignani con “Destinazione Paradiso” e Daniele Silvestri con “L’uomo col megafono”. Debutti interessanti anche tra i big, a partire da Fiorello con “Finalmente tu”, passando per Lorella Cuccarini con “Un altro amore no”, Ivana Spagna con “Gente come noi” e gli 883, indiscussi protagonisti dell’intero decennio, al loro unico intervento sanremese con “Senza averti qui”. Il successo di questa edizione fu determinato da un mosaico ricco di tasselli diversi, un giusto connubio tra tradizione e artisti in voga in quel preciso momento. Non a caso, partì dal palco dell’Ariston l’epopea di Andrea Bocelli, alla conquista del mondo con la sua “Con te partirò”.
Sanremo 1996 fu l’ultima delle cinque edizioni consecutive amministrate da Pippo Baudo, coadiuvato dalla ruspante attrice Sabrina Ferilli e dall’elegante modella argentina Valeria Mazza. Diversi i brani rimasti scolpiti nell’immaginario collettivo, tra cui: “L’elefante e la farfalla” di Michele Zarrillo, “È la mia vita” di Al Bano, “Cantare è d’amore” di Amedeo Minghi, “Strano il mio destino” di Giorgia, “Volo così” di Paola Turci, “Se adesso te ne vai” di Massimo Di Cataldo e “La terra dei cachi” degli istrionici debuttanti Elio e le Storie Tese.
Ad aggiudicarsi le due medaglie d’oro furono Ron e Tosca nei big con “Vorrei incontrarti fra cent’anni” e Syria tra i giovani con “Non ci sto”. Due vittorie per nulla annunciate, ma in fin dei conti neanche tanto spiazzanti. Nella categoria cadetta si fecero notare un paio di interessanti presenze femminili, Carmen Consoli con “Amore di plastica” e Marina Rei con “Al di là di questi anni”. Tra le proposte più interessanti, non comprese a pieno titolo dalle giurie, si lasciò apprezzare “Sulla porta” del cantante-cabarettista Federico Salvatore, che affrontò apertamente per la prima volta il tema dell’omosessualità. Si classificò all’ultimo posto “Letti”, scritta da Renato Zero e portata in scena dai New Trolls e da Umberto Bindi, indiscusso talento per decenni vittima di pregiudizio e di ostracismo. Insomma, un Festival che celebrava il passato, senza guardare troppo lontano verso il futuro.
Sostituire Pippo Baudo dopo l’ottimo lustro non fu un’impresa facile, di conseguenza quella del 1997 fu un’edizione di rottura più che di passaggio. Alla conduzione tornò per l’undicesima e ultima volta Mike Bongiorno, supportato da Valeria Marini e da Piero Chiambretti. La direzione artistica venne affidata a tre diverse figure professionali: il compositore Pino Donaggio, il producer Giorgio Moroder e la scrittrice Carla Vistarini.
Fra i Campioni fece il suo ritorno Patty Pravo, data per favorita alla vigilia con “E dimmi che non vuoi morire”, firmata a quattro mani dalla coppia d’oro emiliano-romagnola composta da Vasco Rossi e Gaetano Curreri. Il genere nazionalpopolare si affidò ai soliti rappresentanti, vale a dire Al Bano, Toto Cutugno, Fausto Leali e Massimo Ranieri.
Ottennero un bel riscontro radiofonico “Laura non c’è” di Nek e “A casa di Luca” di Silvia Salemi, due evergreen ricordati ancora oggi. Fecero il loro debutto, con “Vero amore”, i Ragazzi Italiani, risposta tricolore al fenomeno delle boy band britanniche. Gareggiò persino il dialetto veneziano con “Papa Nero”, tormentone portato al successo dai Pitura Freska. Destò commozione “Luna”, lo sfogo autobiografico di Loredana Bertè, con il verso «che fine ha fatto lei» disperatamente cantato e pensato per sua sorella Mimì, tragicamente scomparsa un anno e mezzo prima.
Ad aggiudicarsi il torneo dei big furono, tra lo stupore generale, i Jalisse con “Fiumi di parole”, mentre tra i giovani primeggiarono Paola e Chiara con “Amici come prima”. Ancora una volta i vincitori annunciati abdicarono in favore degli outsider, e a prendersi la scena fu l’effetto-sorpresa. L’imprevisto diventò così parte integrante, oltre che intrigante, del Festival.
La quarantottesima edizione del Festival fu una delle meno riuscite della storia, a confermarlo furono sia i dati di ascolto che le vendite dei dischi all’indomani della kermesse. Alla conduzione debuttò il settantaseienne Raimondo Vianello, affiancato dall’attrice Veronica Pivetti e dalla modella ceca Eva Herzigová. Il cambio di regolamento permise ai primi tre classificati della sezione Nuove Proposte di accedere tra i big e di concorrere, dunque, alla vittoria finale. Ne approfittò Annalisa Minetti, reduce dall’esposizione mediatica del concorso di bellezza di Miss Italia, che vinse in entrambi i gironi con “Senza te o con te”. Chiusero il podio, tutto in rosa, “Amore lontanissimo” di Antonella Ruggiero e “Sempre” di Lisa, rispettivamente al secondo e al terzo posto.
Tra le poche canzoni che lasciarono il segno, spiccarono “Sei tu o lei (quello che voglio)” di Alex Baroni e “Lasciarsi un giorno a Roma” di Niccolò Fabi, mentre aggiunsero decisamente qualità i due gruppi in concorso, entrambi di scuola campana, ovvero la Piccola Orchestra Avion Travel con “Dormi e sogna” e la Nuova Compagnia di Canto Popolare con “Sotto il velo del cielo”.
Per certi aspetti, potremmo considerare anche quella del 1999 come un’ulteriore edizione di transizione. Alla conduzione esordì Fabio Fazio, che propose uno spettacolo innovativo per l’epoca, affiancato dalla modella francese Laetitia Casta, dal premio Nobel per la Medicina RenatoDulbecco e da una serie infinita di ospiti prestigiosi che avevano il compito di introdurre, di volta in volta, le varie canzoni in concorso. Tra gli altri, si alternarono sul palco dell’Ariston: l’ex presidente dell’Unione Sovietica Michail Gorbačëv, i primi due astronauti a mettere piede sulla Luna, Neil Armstrong e Buzz Aldrin, la ballerina Carla Fracci, il poeta Edoardo Sanguineti, lo sciatore Gustav Thöni, i calciatori Roberto Mancini e Alex Del Piero, l’attore Leslie Nielsen e il regista Michael Moore. Un contorno succulento, ma piuttosto abbondante, a testimonianza del fatto che ormai Sanremo era diventato più che altro un grande evento televisivo.
Per marcare la differenza con l’annata precedente, venne abolita la regola che attribuiva la possibilità ad un giovane di vincere la prima categoria del Festival, ristabilendo così la divisione tra le due competizioni. Tra i ritorni più interessanti, si distinsero: Gianluca Grignani con “Il giorno perfetto”, Nada con Guardami negli occhi, Nino D’Angelo con “Senza giacca e cravatta” e gli Stadio con “Lo Zaino”, firmata da Vasco. La critica premiò Daniele Silvestri con “Aria”, pezzo incentrato sulla storia di un ergastolano convinto che, prima o poi, la morte lo avrebbe salvato liberandolo dal carcere.
Secondo titolo per la camaleontica Anna Oxa, incoronata con “Senza pietà”, a dieci anni esatti dalla precedente vittoria. Il podio si riconfermò tutto al femminile, al secondo posto si posizionò nuovamente Antonella Ruggiero con la profonda “Non ti dimentico (se non ci fossero le nuvole)”, mentre al terzo si affermò Mariella Nava con l’ottimistica “Così è la vita”. Emerse per originalità “Alberi”, portata in duetto da Enzo Gragnaniello e Ornella Vanoni, che si scambiarono le rispettive parti cantando in napoletano lei e in italiano lui.
Tra i giovani ottenne il primato Alex Britti con “Oggi sono io”, motivo successivamente ripreso anche da Mina. Nel girone degli esordienti attirarono l’attenzione anche Leda Battisti, Daniele Groff, Max Gazzè e i Quintorigo. Insomma, un Festival che ci regalò belle canzoni e piazzamenti alquanto meritati, consuetudine che da un po’ di tempo si era persa di vista. Un’edizione che tornò a tenere viva la fiamma dell’interesse da parte sia del pubblico più attento che di quello abitualmente distratto.