L’artista e i suoi ospiti non deludono le aspettative regalando nuova vita ad autentici evergreen
Se il primo “Duets” potevamo definirlo, in termini fiabeschi, un bel “c’era una volta”, questo “Duets forever” si avvicina più ad un “vissero tutti felici e contenti”. Può sembrare una favola ma ormai è assodato che davvero tutti, proprio tutti, cantano Cristina D’Avena (qui la nostra recente intervista): grandi e piccini, ma anche stimati e talentuosi colleghi provenienti da universi musicali diversi. Ebbene sì, le sigle dei cartoni animati sono un “prodotto a lunga conservazione” che non possiede date di scadenza, per cui diventa per noi curativo andare a riaprire i cassetti della nostra infanzia riscoprendo emozioni assopite da tempo. Un patrimonio di ricordi incredibili che rivivono in questo album grazie alla sua originaria interprete e a sedici graditi ospiti (rinomati big ed interessanti nuove leve della scena musicale italiana) che non potevano di certo mancare all’appello in questo atteso secondo volume. Un pregevole progetto che Crioma e Warner Music Italy hanno portato avanti fianco a fianco, con dedizione, professionalità e, perché no, un pizzico di fanciullezza che rincuora e ci riscopre tutti inguaribili sognatori.
Sedici brani cult riletti in chiave contemporanea, sigle rivisitate e ottimizzate in potenziali singoli, grazie alla presenza di arrangiamenti incentrati sull’identità musicale dei vari ospiti, frutto dell’abile lavoro di numerosi esperti del settore, validi musicisti e intuitivi produttori, tra cui spiccano: Davide Tagliapietra, Will Medini, Riccardo “Jeeba” Gibertini, Alessandro Gengy Di Guglielmo, Lele Melotti, Paolo Costa, Luca Mattioni, Nik Taccori, Andrea Torresani, Giorgio Secco, Francesco Ambrosini, Zef, Fabrizio Moroni, Simone Deusanio, Massimo Tagliata, Enrico Roberto, Fabio Gargiulo, Massimo Sciannamea, Alberto Cazzola, Francesco Draicchio, Lodovico Guenzi, Alberto Guidetti, Giuliano Teofrasto, Angelantonio De Pinto, Sabino Cannone, Angelo Paracchini, Marco Barusso, Stash, Alex Fiordispino, Dario Iaculli, Alex Trecarichi, Valeriano Chiaravalle, Luca Visigalli, Davide Aru, Phil Mer e JARO. A questi nomi vanno aggiunti e citati anche gli autori dei brani originali, dall’impareggiabile Alessandra Valeri Manera a Ninni Carucci, passando per Victor Szell, Dan Lacksman, Augusto Martelli, Alberto Baldan Bembo, Vladimiro Albera, Giordano Bruno Martelli, Franco Fasano, Max Longhi e Giorgio Vanni.
L’ascolto si apre trionfale con l’introduzione orchestrale della “Canzone dei Puffi”, uno dei capolavori assoluti della discografia della regina dei cartoni animati, un brano che ha venduto oltre 500.000 copie e che si avvale in questa nuova veste dell’elegante partecipazione di Patty Pravo, icona incontrastata della nostra musica leggera. Un pezzo gioioso e di classe, che rivive di eterno splendore grazie ad un ottimo adattamento sinfonico-beat-rock, impreziosito dal simpatico e puffoso innesto di Fabio De Luigi nei panni di Gargamella.
Preludio ricco di fiati e ritmica incalzante per “I ragazzi della Senna (Il tulipano nero)”, sigla che possiamo considerare un po’ come la vera chicca di questo album, a cui viene regalata una seconda vita. Fabrizio Moro infonde tutto il pathos tipico delle sue migliori interpretazioni sfiorando nel finale epiche liriche che richiamano il grande Rino Gaetano. Un brano che ben si sposa con la poetica del cantautore romano, fedele a se stesso e al concetto di rivoluzione che, dall’atmosfera bellico-spadaccina della presa della Bastiglia, supera i confini spazio-temporali e giunge sino ai giorni nostri rievocando suggestioni decisamente più contemporanee, degne di un qualsiasi concertone del Primo Maggio.
Si prosegue con la contagiosa allegrezza di “Georgie” che ci regala una Dolcenera in grande spolvero, perfettamente a suo agio anche in questi prati sonori e che, con la sua inconfondibile timbrica graffiante, suggerisce una visione rock ad un brano fatto di dolcezza, miele e zucchero filato. Le due voci si incastrano alla perfezione, alternando sfumature ritmate e melodiche in un leggiadro susseguirsi di immagini che scandiscono la trama del cartoon. A far da tappeto un arrangiamento che rispetta le versione originale, ma ben contestualizzato ai tempi nostri.
Discutibile la resa finale di “Memole dolce Memole”, ma andiamo con ordine. Il bello di questo progetto, come già evidenziato nel precedente disco, è la contaminazione, ovvero il fatto che gli ospiti si mettano a disposizione semplicemente portando loro stessi, mettendo il proprio mondo in contrasto con quello incantato dei cartoni animati. Elisa non deve averlo compreso, prendendo sottogamba questo aspetto, adattando la propria voce ed il proprio stile (che solitamente è ben riconoscibile) calandosi nel personaggio come suggerito dal metodo Stanislavskij, arrivando quasi a scimmiottare Cristina. Si fatica a distinguerle, il che é un vero peccato. Per spiegarmi meglio: lo scorso anno c’era Elio che ha interpretato in maniera giocosa e goliardica “Siamo fatti così”, ma in quel caso è stato diverso, perché si trattava della sua cifra stilistica; Elisa è altro e spiace che non abbia trasmesso a questo pezzo le proprie suggestioni perché, forse, se la sarebbe spassata anche di più. Si è capito che i folletti le piacciono molto e che si sente parte integrante del pianeta Filofilo, ma è stato come sentirla cantare al karaoke, zero pathos e personalità non pervenuta. Purtroppo, per lei un’occasione sprecata.
Ha messo totalmente se stessa, invece, Malika Ayane che ha perfettamente compreso lo spirito e si è tuffata con un triplo salto carpiato nell’esecuzione di “Pollyanna”, sfoderando tutta la sua solita raffinatezza con signorilità e buongusto; violino e fisarmonica fanno il resto. Il risultato? Una delle migliori tracce del disco a cui non si può che dedicare più di un attento ascolto.
Anche Elodie non si smentisce, alle prese con l’interpretazione di “Vola mio mini pony”, riproposta in veste aulica e garbata. Un pianoforte introduce questa bella versione corale in cui la melodia regna sovrana, peccato che si tratti di un brano già edito, altrimenti sarebbe stato perfetto per gareggiare al Festival di Sanremo anche se, campionando qua e là e cercando di non superare la soglia prevista dal nuovo regolamento, non è detto che non riesca ad arrivare lo stesso sul palco dell’Ariston il prossimo febbraio.
Sembra presa dalla colonna sonora di un qualsiasi film americano degli anni ‘70, la nuova versione di “Ti voglio bene Denver” targata Lo Stato Sociale. Al primo ascolto non mi convinceva molto, mi sono detto “Houston abbiamo un problema” poi, piano piano, il ritmo mi ha conquistato, anche se con qualche piccola riserva a livello di intonazione. Sì, perchè parliamo di un collettivo composto da ben cinque voci ma, non si sa perchè non si sa per come, alla fine della fiera fanno sempre cantare i brani più importanti ai due meno precisi vocalmente. Il tutto a discapito del povero Denver che, ricordiamolo, è l’ultimo esemplare rimasto in vita di una razza ormai estinta.
Sfarzoso quanto basta il nuovo abito cucito su misura per “D’Artagnan e i moschettieri del re”, affidato ai prodi e valorosi Piero, Ignazio e Gianluca de Il Volo, la versione 2.0 di Athos, Porthos e Aramis. Una scelta azzeccata: l’armonia delle loro voci si amalgama con passionalità in maniera convincente e si sposa con quella di Cristina, sarebbe figo vederli in gara al prossimo Eurovision Song Contest. Per la petizione dove devo firmare?
Semplicemente perfetti i The Kolors, ormai comodi e totalmente adattati alla dimensione della lingua italiana, alle prese con il rifacimento di “Alvin rock’n roll”, un brano nel cuore di molti. Scelta pertinente e versione very cool dall’impronta internazionale. Stash e compagnia bella ridonano splendore ad un pezzo cult degli anni ‘90, centrando la mastodontica impresa di superare di gran lunga la versione originale.
Si prosegue con la giovanissima Federica Carta, a dir poco sorprendente in “Papà Gambalunga”. C’è qualcosa di magico in questo nuovo adattamento, a metà tra trascinanti sonorità etno-folk e delicate sfumature electro-country. La mancanza di una spiccata personalità da parte della tenera interprete, dovuta in questo caso ad un fattore puramente anagrafico, non influisce negativamente sul risultato finale, anzi, nobilita e rende ancora più intimo l’ascolto. La vera sorpresa del disco.
Non poteva che fare scintille l’accoppiata formata da Cristina D’Avena e Alessandra Amoroso, al punto da poter tranquillamente considerare “Il mistero della pietra azzurra” una promessa più che mantenuta. L’arrangiamento non si discosta di molto dalla prima versione, per cui protagonista assoluta è l’alchimia vocale delle due interpreti, capaci di donare alla canzone un’atmosfera armonica e soave, sospesa a mezz’aria tra giocosità e sentimento, con estrema semplicità e senza troppi giochi di prestigio.
Ascoltare all’unisono le voci di Cristina e Max Pezzali è un’emozione senza fine che solo chi ha respirato a pieni polmoni gli anni ‘90 può realmente comprendere, coloro i quali sono cresciuti consumando in successione le musicassette di “Fivelandia” e degli 883. “Robin Hood” è solo un pretesto per rivivere quegli anni d’oro, all’interno di questo duetto è nascosto qualcosa che va oltre una semplice collaborazione musicale, l’incontro di due mondi come l’infanzia e l’adolescenza che, oggi come oggi, vengono considerati diametralmente opposti ma, per noi che abbiamo vissuto nel secolo passato, erano fondamentalmente la stessa cosa. E’ proprio il caso di dirlo ragazzi: ma che ne sanno i 2000?!
Arrangiamento power per omaggiare “Batman”, uno dei supereroi più amati di sempre, riproposto con impeto da Le Vibrazioni che, come per magia, ci catapultano dai meandri dalla periferia milanese ai tenebrosi sobborghi di Gotham City. Altro brano che rievoca in me i nostalgici ricordi dei pomeriggi passati sul divano a guardare “Bim bum bam”, sognando di sventare rapine e dare la caccia ai malvagi, invece sono finito a scrivere analisi musicali, a dimostrazione che ognuno di noi, nel proprio piccolo, può contribuire a cambiare il mondo senza commettere atti vandalici.
Dall’idolo dei maschietti alla paladina delle femminucce, l’ascolto prosegue con “Sailor Moon e il cristallo del cuore”, riproposta in una veste più intima e acustica in coppia con Carmen Consoli. Non sono mai stato un fan della prima ora della “cantantessa” siciliana ma, con gli anni, il suo restare fedele a se stessa mi ha letteralmente conquistato. In un mondo in cui voltare bandiera per finire in classifica è diventato uno sport praticato a livello agonistico, ritengo che la sua unicità sia davvero da apprezzare e preservare.
Si aggiudica il titolo di pezzo più vigoroso del disco “Rossana”, grazie ad un arrangiamento ritmato, coinvolgente ed affine all’originale. Dal punto di vista sonoro è uno dei brani più internazionali dell’intero album. Esecuzione magistrale da parte di Nek, che sembra essere venuto al mondo con il solo scopo di incidere questa canzone, la sua trentennale carriera è stata solo un pretesto. Un brano che potrebbe tranquillamente finire nella scaletta di un suo tour, mandando in visibilio il pubblico di qualsivoglia età. E tanti cari saluti a “Fatti avanti amore”.
Conclude l’ascolto “Doraemon”, il pezzo più giovane presente in tracklist, impreziosito dalle barre dell’ottimo Shade e dal curioso innesto dell’autotune. Uno strano incontro che, per questo genere di pezzo, fortunatamente non urta il mio sistema nervoso centrale, anche perché l’uso che ne viene fatto rispetta i limiti consentiti dalla legge. Molto divertente lo “skrrrrt skrrrrt” finale, che chiude il sipario con ironia e divertimento.
Questo e molto altro ancora è “Duets Forever – Tutti cantano Cristina”, un progetto semplice quantomai ambizioso, fatto con il cuore e senza inseguire alcuna intuizione o logica commerciale, un disco che si arroga il diritto di teletrasportarci nei più reconditi sentieri inesplorati della nostra infanzia, con gioia ed infinita leggerezza.
Nico Donvito
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