venerdì 22 Novembre 2024

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Recensiamo Musica feat. Scandurra: il dolce inganno dello streaming

La nostra Redazione e il critico Maurizio Scandurra contro l’illusione di numeri facili che impoveriscono le tasche della discografia, degli artisti e uccidono i cd. Posti di lavoro a rischio nelle case discografiche?

Dalla classifica settimanale del 7 luglio la FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana), organo incaricato della redazione e della diffusione delle classifiche ufficiali di vendita in Italia insieme a Gfk, ha integrato per la prima volta i risultati dello streaming anche nei dati di vendita degli album. Nei singoli, i dati dello streaming erano stati inclusi fin dal gennaio 2015, favorendo un più facile raggiungimento delle soglie necessarie (già fin troppo ridotte negli anni) per il conseguimento delle certificazioni.

La società gestita da Enzo Mazza, cui sono iscritte, tra gli altri, anche Universal Music (presieduta da Alessandro Massara), Sony Music (guidata da Andrea Rosi), BMG Rights Management Italy (con a capo Dino Stewart), Warner Music (con al vertice Marco Alboni), ha specificato nella nota ufficiale del giorno 3 luglio 2017 (recuperabile qui) che “tutti gli stream, free o a pagamento, sono conteggiati a patto che abbiano una durata superiore ai 30 secondi. Sono quindi escluse le tracce streaming con durata inferiore ai 30 secondi, gli streaming via radio e gli ascolti su piattaforme di video streaming. Il fattore di conversione sarà rivisto su base quadrimestrale data l’evoluzione spinta del mercato discografico”.

Ma chi va a favorire questa introduzione? Come cambia il sistema discografico con questa novità? Ma, soprattutto, chi beneficia di questo epocale stravolgimento?

La risposta è semplicissima: nelle classifiche a essere favoriti saranno gli stranieri, i teen-idol e, soprattutto, i rapper. Sono queste, infatti, le categorie musicali che la fanno da padrone nelle varie piattaforme di streaming. E’ un dato risaputo che il pop (italiano per giunta) fatica non poco a prendere piede su Spotify e simili. Nessun problema a riguardo, direte voi: il pop si modernizzi e adotti i nuovi mezzi. E invece no, vi dico io. No, perché un artista non percepisce praticamente nulla dai servizi di streaming, e tantomeno le etichette discografiche: certo, è sicuramente più conveniente che il download illegale ma, di sicuro, non è ciò che permette agli artisti di vivere. Né, tanto meno, di continuare a potersi permettere di produrre nuova musica.

Che valore hanno, dunque, le certificazioni oggi? Praticamente nessuna. O meglio, hanno un valore per la parte di copie (pochissime, e sempre più in diminuzione) ottenute mediante il downloading legale a pagamento. Che cosa può significare che Fabio Rovazzi è stato il primo ad ottenere il disco d’oro digitale, per le oltre 25.000 copie, solo con gli ascolti in streaming? Niente, solo che ha collezionato su per giù 3.000.000 di ascolti che non gli hanno consentito di guadagnare più di 100 euro (se proprio vogliamo esagerare). Che valore ha il fatto che l’ultimo album di Sfera Ebbasta abbia ottenuto almeno il disco d’oro per ognuna delle tracce contenute (anche i non singoli)? Nessuno, visto e considerato che tre quarti dei suoi brani non è nemmeno entrato nella top100 di iTunes. Nemmeno per un giorno.

Chi ci guadagna dunque da questo stravolgimento? Nessuno, è questo il problema. O meglio, a guadagnarci sono i colossi internazionali che detengono le piattaforme streaming e che, non a caso, presto sbarcheranno in borsa per incrementare i propri guadagni. Guadagni che non sono della musica, sia chiaro.

Ho raggiunto telefonicamente il caro amico Maurizio Scandurra, noto ufficio stampa, manager, giornalista e critico musicale, da anni attivo nel mondo musicale italiano al fianco ad artisti di primo piano. Ecco le sue argomentazioni in proposito, che mi sento di condividere totalmente: “Qualsiasi discografico che punti ai rapper non fa altro che segnare irreversibilmente la fine del proprio posto di lavoro. Il pubblico che ascolta questo genere di musica non ha neanche il becco di un quattrino per comprare un disco fisico, che costituisce l’oggetto stesso del fare discografia. Il punto di riferimento di ogni attività discografica propriamente detta che intenda definirsi tale: non amo le ripetizioni ma, in questo caso, sono costretto a rimarcare debitamente il concetto. Non possiamo assolutamente pensare che lo streaming e tutte le piattaforme a esso connesse costituiscano il termometro musicale di quest’epoca di ignoranti, cafoni e insensibili e quant’altro penso di tutti coloro che sistematicamente dimenticano i grandi poeti della musica e le altrettante grandi voci. Lasciando campo libero, aperto e altrettanto indifeso, all’ignominia del rap: più simile a un vomito di parole senza regole, che a una vera e propria forma d’arte classificabile come tale”.

Che cosa accadrà quando uscirà il prossimo album di Laura Pausini o dei Negramaro o di Tiziano Ferro o di Vasco Rossi? Esordiranno al secondo posto, o forse al terzo, dietro a degli sconosciuti qualsiasi come Sfera Ebbasta, Ghali o Salmo, tanto per citarne alcuni, di cui nessuno conosce una mezza canzone mentre chiunque sa tutt’oggi canticchiare “La solitudine”, “Sere nere” o “Albachiara”. E tutto questo succederà con Pausini, Ferro, Ligabue e gli altri che totalizzano ancora migliaia di copie vendute (dischi veri che portano il guadagno) relegati dietro a Dark Polo Gang, Izi o Marracash e Guè Pequeno che dalla loro hanno qualche milione di ascolti in streaming (e cioè 0€).

Il fatto che siano i rapper a “guadagnare” posizioni in classifica a danno del pop è più che mai dimostrabile. Con un’attenta analisi effettuata da me stesso sui primi dati resi disponibili dalle classifiche FIMI si nota visibilmente come, a partire dalla settimana 27 del 2017 (settimana dell’inserimento dello streaming), il numero di album rap presenti nella top100 sia raddoppiato (riportando in chart dischi pubblicati più di un anno fa che non sono stati assolutamente dei campioni di vendita, anzi) e che la posizione media occupata nella top100 da questi album si sia notevolmente abbassata di circa 25/30 posizioni.

Il problema qual è, direte voi? Il problema è che oltre a non guadagnarci nessuno, eccetto i colossi informatici, quelle uniche classifiche che il nostro Paese possiede (seppur da sempre poco trasparenti) rispecchieranno ancor meno il gusto, la qualità: e, ciò che è peggio, la verità del nostro mercato discografico.

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Ilario Luisetto

Creatore e direttore di "Recensiamo Musica" dal 2012. Sanremo ed il pop (esclusivamente ed orgogliosamente italiano) sono casa mia. Mia Martini è nel mio cuore sopra ogni altra/o ma sono alla costante ricerca di nuove grandi voci. Nostalgico e sognatore amo tutto quello che nella musica è vero. Meno quello che è costruito anche se perfetto. Meglio essere che apparire.