A tu per tu con il noto cantautore romano, in uscita con il suo nuovo disco “La terra sotto i piedi”
Reduce dal successo di “Argentovivo”, brano con cui si è aggiudicato il prestigioso Premio della Critica “Mia Martini” e il sesto posto in classifica al Festival di Sanremo 2019, Daniele Silvestri torna negli store con il suo nono progetto discografico in studio, intitolato “La terra sotto i piedi“, composto da quattordici tracce inedite, in uscita il 3 maggio per Sony Music. Un progetto che arriva a venticinque anni di distanza dalla pubblicazione del suo primo omonimo album e che, di fatto, festeggia le sue nozze d’argento con la musica. Per celebrare questo traguardo, partirà in autunno la sua prima tournée nei palasport, con due speciali date in programma il 25 e 26 ottobre dal Palalottomatica di Roma.
Ciao Daniele, benvenuto su RecensiamoMusica. “La terra sotto i piedi” è nato sull’isola di Favignana, un posto che consideri un po’ la tua seconda casa. Perché hai deciso di costruire l’intero disco su fondamenta per te così affettive?
«Questo disco ha avuto una gestazione abbastanza lunga, gran parte di quello che potete ascoltare è nato su quell’isola. Favignana è un luogo che amo, il mio posto dell’anima, così per l’occasione abbiamo deciso di trasformare una casa in uno studio di registrazione e non è stato facilissimo, però ne è valsa la pena. Per fortuna ho intorno persone che hanno la mia stessa passione, la voglia di commettere anche delle follie che richiedono un contributo emotivo, creativo e passionale. Cerco di fare in modo che le condizioni esterne siano stimolanti, giuste. Per questo lavoro sentivo la necessità di partire da un suolo particolarmente potente come quello di Favignana che, dal mio punto di vista, ha qualcosa di magico».
In questa fase creativa, da quali idee iniziali sei partito e a quali conclusioni sei arrivato?
«Da Favignana siamo partiti con un sacco di materiale registrato che aveva la necessità di trasformarsi in canzoni vere e proprie, in alcuni casi la direzione era molto chiara, mentre in pezzi come “Argentovivo” l’esplosione musicale non aveva ancora un senso preciso. Diciamo che siamo partiti dalla forza sprigionata dalle idee nate sull’isola, per poi arrivare a ciò che potete ascoltare, un processo maturato in maniera abbastanza naturale, un po’ in contrasto con il precedente album “Acrobati”».
Infatti, nel brano “Concime” rivendichi un bisogno di radici e di gravità. Quanto ti senti cambiato rispetto ad “Acrobati” e cosa è scattato esattamente per farti arrivare a questa nuova consapevolezza?
«In “Acrobati” avevo dichiarato di voler cambiare il punto di vista, sentivo la necessità di raccontare le cose un po’ più dall’alto e con debita distanza, per questioni anagrafiche mi sembrava fosse arrivato il momento di cambiare la prospettiva, in qualche modo diventare più poetico che politico. Con questo disco, invece, confesso che mi è tornata la voglia di guardare le cose da vicino, perché il mondo cambia a grandissima velocità e non riesco a reprimere l’esigenza di avere cose da dire. La vita stessa mi ha ripreso con forza, in tanti modi, è stato un periodo complesso e particolare, per cui ho avvertito l’esigenza di ricercare qualcosa di concreto».
In “Complimenti ignoranti” ironizzi su questa società sempre più social, in che direzione ci stiamo dirigendo?
«Oggi come oggi, tutto sembra più vicino e raggiungibile ma, al tempo stesso, ha assunto un valore effimero e aleatorio, ogni cosa sembra valere come il suo esatto contrario. Penso che sia un’epoca storica in cui la solidità viene a mancare molto più facilmente rispetto al passato, probabilmente perché la società non è arrivata preparata a questo mondo nuovo, non abbiamo ricevuto le cosiddette istruzioni per l’uso, mancava un pensiero di fondo, un’idea di uomo e di società che è importante ritrovare e tornare a valorizzare. Il rischio è che le nuove generazioni non sappiano che quella stessa concretezza li potrebbe salvare, ma sono convinto che per istinto la cercheranno, perché non si può vivere di sola virtualità, la solidità fa parte della natura umana.
In un’epoca in cui le cattiverie viaggiano ad una velocità mostruosa e producono risultati immediati, numericamente anche impressionanti, ho la fortuna di reputarmi “salvo” e lontano da questi meccanismi, in “Complimenti ignoranti” non racconto un mio disagio, ho sentito e visto molti colleghi che hanno un rapporto per certi versi anche di terrore nei confronti dei social, perciò ho voluto come sempre non prendermi sul serio e auto-insultarmi, più di quanto abbiamo mai fatto gli altri (sorride, ndr). Mentre nel brano “Tempi modesti” ho analizzato lo stesso argomento in maniera un po’ più seria, sfiorando il tema delle istituzioni parlando di chi ci dovrebbe rappresentare e dare il buon esempio, questo mi sembra molto più preoccupante».
Quanto è importante, secondo te, l’impegno civile nelle canzoni? Da sempre nella tua musica poni l’accento su quello che accade intorno, pensi che l’arte abbia ancora il potere di risvegliare le coscienze o, almeno, di spingere verso una riflessione?
«Non saprei, ma me lo auguro. Personalmente scrivo per raccontare quello che vedo, che mi sta a cuore, che mi fa soffrire e gioire, da argomenti personali a uno sguardo generale sulla società. Mi rendo conto che in questo momento certe situazioni stanno per arrivare a un punto di rottura, anche se siamo un Paese che sonnecchia da sempre, primo o poi arriva il momento di svegliarsi e può essere anche traumatico, ma è la linfa di cui abbiamo bisogno. Parte dell’attuale politica cavalca sentimenti non proprio edificanti dell’essere umano che sono preoccupanti perché, a chi ha un minimo di memoria storica, ricordano momenti non lontanissimi e non proprio rassicuranti. Io non riesco a non entrare in questi argomenti e penso che sia un po’ un dovere metterci faccia e opinione».
A tal proposito, nella traccia d’apertura “Qualcosa cambia” parli proprio di una generazione che può correggere la rotta, della fiducia che torna e della speranza risorta. Pensi che questo sia un momento di svolta?
«Credo che se non sia questo poco ci manca. “Qualcosa cambia” non a caso apre il disco, tendenzialmente sono un ottimista e, in un album pieno di amarezze, ho voluto cominciare con una ventata di fiducia, infatti, alla fine della canzone faccio un elenco di segnali positivi che in realtà non sono tutti veri, alcuni sono solo speranze o segnali minuscoli ma, secondo me, porre l’accento su questo tipo di indicazioni è già parte della cura, concentrarci su questi punti agevolerebbe sicuramente la nostra guarigione».
E dal punto di vista musicale, invece, quanto è cambiato il settore discografico negli ultimi anni?
«Credo che negli ultimi due anni sia diventato abbastanza evidente e palese alle orecchie di tutti. Cose che fino a qualche tempo fa non sapevamo nemmeno che esistessero sono diventate mainstream, dal punto di vista generazionale c’è stato un notevole ricambio, anche di cifre stilistiche. Per la prima volta nella storia un movimento musicale nasce potendosi permettere il lusso, secondo me molto rischioso, di prescindere completamente da ciò che l’ha preceduto, anche se devo ammettere che è un mondo che mi affascina e che ho voluto approfondire. La scena trap me la sono studiata, come racconto con leggerezza in “Blitz gerontoiatrico”, mi andava di capire cosa ci fosse dietro e devo ammettere che qualcosa mi piace pure, dopodiché non è difficile riconoscere che ci sia un problema di abbassamento di contenuti. In questo pezzo mi sono divertito a fare il nonno che suggerisce ai nipoti di metterci un pochino più di sforzo, di uscire dai soliti cliché».
Prima volta in tour nei Palasport da solo, dopo la memorabile tournèe in compagnia di Niccolò Fabi e Max Gazzè. Che spettacolo stai preparando?
«Riprodurre dal vivo alcune canzoni non sarà facile, se riesco a realizzare almeno un quinto delle cose che ho in mente potrei ritenermi già molto soddisfatto (sorride, ndr). In questo momento sono nella sfera dell’impossibile, nella fase in cui mi posso permettere di spaziare con la fantasia, ben presto dovremo fare i conti con la realtà e vedremo cosa riusciremo a portare a casa. La mia ambizione è quella di occupare lo spazio dei palazzetti in una maniera un po’ anomala, ma non posso svelare molto perché rischierei di raccontare qualcosa che poi non si concretizza, posso solo dire che cercheremo una chiave che sia il più possibile sorprendente per una fruizione diversa dello spettacolo».
Venticinque anni di carriera, nozze d’argento con la musica, per concludere non posso che chiederti: qual è il tuo personale bilancio?
«Già il fatto che siano venticinque anni lo rendono un bilancio positivo e non l’ho mai ritenuto scontato, davvero. Quando ho iniziato a fare questo mestiere non mi sarei mai immaginato al centro dei riflettori su un palco, sapevo che avrei voluto vivere di musica e di scrittura ed è quello che, in fondo, rappresenta ancora per me il motore di tutto. Avere ancora voglia, piacere e riuscire a divertirmi con la musica penso che sia la riposta, di questo ne sono entusiasta, ma continuo a non darlo per scontato».
Nico Donvito
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