venerdì 22 Novembre 2024

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Teresa De Sio: “Mi sono lasciata andare al mio vissuto” – INTERVISTA

A tu per tu con la cantautrice napoletana, in uscita con il suo nuovo disco intitolato “Puro desiderio”

Racconta se stessa Teresa De Sio, come non aveva mai fatto sino ad ora, racchiudendo il proprio vissuto nelle dieci tracce inedite che compongono “Puro desiderio”, album che ce la riconsegna in piena forma artistica e vocale. Risvolti autobiografici, sonorità contemporanee e la voglia di lasciarsi andare a nuove emozioni, con la coscienza di chi ha imparato a convivere con le proprie gioie e con i propri dolori. Una lunga e intensa carriera, impreziosita da importanti incontri umani che si sono trasformati in prestigiose collaborazioni professionali, tra cui spicca Ghemon, presente in questo disco con un interessante duetto sulle note del brano “In un soffio di vento”.

Ciao Teresa, partiamo dal tuo nuovo album “Puro desiderio”, che significato ha per te?

«Questo disco ha un significato importante sia nella mia immaginazione che nel mio desiderio, rappresenta un grande cambiamento che arriva dopo cinque anni di silenzio creativo, in cui ho realizzato il disco “Teresa canta Pino” reinterpretando alcuni dei brani più belli di Pino Daniele. In questo periodo sono accadute molte cose nella mia vita, alcune abbastanza brutte, ho perso alcune persone a cui tenevo molto, tutto questo dolore mi ha offuscato, non avevo niente di bello da dire, così ho preferito il silenzio.

Poi, come fortunatamente succede nella vita, ad un certo punto tutti questi pensieri si sono diradati, ho ricominciato a guardare, a sentire, a percepire. E’ stato un po’ come scalare una montagna e ritrovare dall’altra parte un panorama diverso, mi sono resa conto per la prima volta di poter fare della mia sofferenza una materia di narrazione. Come indole ho sempre avuto l’istinto di scrivere in momenti felici e sereni, questo desiderio di tranquillità mi ha spinto negli anni a comporre canzoni legate al sociale e al desiderio di condivisione, questa volta mi sono lasciata andare al mio vissuto».

Per questo motivo lo hai definito il disco che ti racconta maggiormente?

«Sì, esattamente, per la prima volta ho realizzato un progetto con un peso autobiografico, perché ho lasciato trapelare questo senso di abbandono, di perdita. E’ un disco che non è solamente composto da ombre, in generale riconosco di avere un carattere molto positivo, per cui è predominante la ricerca e la speranza della luce. Da qui il titolo, considero il desiderio come un propellente fortissimo che fa andare avanti il mondo, senza la sua energia si ferma tutto».

Molto interessanti e contemporanee le sonorità, oltre ad esserti esposta e aperta a livello testuale, ti sei voluta mettere in gioco anche dal punto di vista musicale?

«Sono voluta uscire dalla mia zona comfort, con i miei due produttori Romeo Grosso e Francesco Santalucia l’obiettivo è stato sin dall’inizio questo. E’ normale per me calarmi nei tempi in cui vivo, non ho mai guardato la mia musica voltandomi alle spalle, ma come qualcosa che agisce nel mio presente e rivolge un occhio verso il futuro, l’ho sempre fatto nel corso della mia carriera. Sento questo cambiamento di pelle, non lo vivo come una perdita, bensì come una crescita, una rinascita».

Questo spirito lo si avverte anche grazie alla collaborazione con Ghemon, presente nel brano “In un soffio di vento”. Com’è avvenuto il vostro incontro?

«Ci siamo conosciuti lo scorso anno, per caso, durante la comune partecipazione al concerto del l’Uno Maggio di Taranto. Lo considero un bell’incontro, di quelli che racchiudono la bellezza delle cose non manovrate discograficamente. Ci siamo subito riconosciuti, Ghemon mi ha confidato di essere stata un’artista importante nella sua formazione, mentre io ho riconosciuto in lui una fragilità, una delicatezza nell’affrontare i sentimenti, un’intelligenza e un talento enorme. Da lì è nata questa frequentazione che è mutata in un’amicizia, nel corso della quale abbiamo avvertito entrambi la voglia di fare qualcosa insieme».

Come se la stanno passando l’arte, la musica e la cultura nel nostro Paese? 

«Se la passano non benissimo, però gli artisti e le persone di cultura esistono e lottano insieme a noi (sorride, ndr). Lottano contro un sistema che ha capito perfettamente, ormai già da una trentina d’anni, che più le persone sono colte, preparate, impegnate di sentimenti, di amore, di conoscenza e più sono difficilmente manovrabili, quindi pericolose.

Proprio per questo motivo si tende ad abbassare il livello culturale generale perché, sai, il potere può fare a meno di tutto tranne che della disparità. Trovo comunque che ci siano tantissime cose interessanti in giro, l’arte è una materia estremamente malleabile, duttile e versatile, da sola riesco a trovare la via d’uscita, in maniera automatica, anche perché c’è tanta gente che ha fame di cose belle».

Infatti, le radici sono molto importanti, nel corso della tua carriera hai valorizzato e divulgato la tradizione, sin dai tuoi esordi con Eugenio Bennato e i Musicanova. Quanto è importante, secondo te, approfondire la conoscenza del nostro passato per poter comprendere al meglio ciò che ci circonda?

«E’ semplicemente fondamentale, per comprendere qualsiasi forma di realtà c’è bisogno di un metro di paragone, questo vale per ogni cosa, se non capisci quello che c’è stato prima non puoi apprezzare neanche il valore di ciò che stai facendo adesso. L’avvento di internet ha cambiato un po’ tutto, da un lato ha resettato la percezione del passato nelle nuovissime generazioni, dall’altro ha accresciuto la capacità di archiviazione, perché il web è una gigantesca banca dati. La tecnologia può diventare grave quando viene interiorizzata dall’essere umano, finché rimane un oggetto esterno, un mezzo, rappresenta sempre un valore, al contrario può diventare pericolosa quando si commette l’errore nel pensare di non poterne fare a meno».

A tal proposito, con il tuo penultimo progetto discografico hai omaggiato Pino Daniele, gigante della nostra musica che è sempre bello ricordare. Quali sono le caratteristiche che mancano maggiormente di Pino, oggi, sia come uomo che come artista?

«Come artista manca sicuramente quel modo di trascinare la tradizione napoletana all’interno di una musica di origine afro-americana, quel melting che lui ha saputo creare tra questi due mondi perchè, secondo me, non c’è più una grande conoscenza di entrambe le realtà. Come uomo, invece, manca il suo innato voler sottrarsi dal bailamme collettivo, oggi vedo in giro molta gente che sarebbe disposta a qualsiasi cosa pur di avere un minuto di notorietà, invece Pino ha sempre mandato avanti solamente la sua voce e la sua musica, in questo mi sono sempre riconosciuta in lui».

Così come Pino, anche tu fai parte del “clan” dei pochissimi artisti italiani che non hanno mai partecipato al Festival di Sanremo, una scelta o una casualità? 

«Tutte e due, per molti anni è stata una scelta, soprattutto quando il Festival rappresentava uno spartiacque tra la buona e la cattiva musica. Oggi mi sembra che sia più un calderone che riempie delle serate, in cui c’è gente che da casa tira freccette a quelli che cantano. Col tempo è diventata una casualità non partecipare, anche perché puntualmente si è fatto il mio nome prima di ogni edizione, senza che ci fossero stati un contatto telefonico, una reale candidatura e nemmeno una canzone. Chissà, magari un giorno quando sarà del tutto rincoglionita andrò anch’io a Sanremo (ride, ndr)».

Vorrei parlare del rapporto con tua sorella Giuliana, avete scelto due strade artistiche differenti, entrambe vi siete affermate nelle vostre rispettive passioni. Come descriveresti il vostro rapporto?

«Guarda, ci sono stati periodi in cui ci siamo viste tantissimo, altri pochissimo per via dei nostri impegni lavorativi. Io e mia sorella ci apprezziamo e, soprattutto, ci vogliamo molto bene, anche perché abbiamo avuto un’infanzia in comune che non è stata facilissima, quando si vivono determinate e particolari situazioni si rimane legati per tutta la vita».

Chi è oggi Teresa De Sio? Se ti guardi allo specchio quale immagine vedi?

«Vedo una donna che non ha segreti, che non abbassa la guardia, piena di desiderio d’amore e che cerca di mettere a frutto anche le cose sbagliate che ha fatto».

Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver imparato dalla musica?

«La lezione più importante è che nessuno ti da niente per niente, ma è la vita ad insegnartelo. Ho avuto la fortuna di lavorare con grandissimi artisti, provenienti dagli ambiti più disparati della musica, dal magrebino Anouar Brahem agli afroamericani Omar Hakim e Scott Ambush, passando per due grandissimi compositori britannici del calibro di Brian Eno e Paul Buckmaster, mentre tra gli italiani Fabrizio De Andrè è stato in assoluto colui che mi ha trasmesso un sacco di cose. Lungo il mio percorso ho incontrato tantissimi grandi artisti, come Giovanni Lindo Ferretti, Piero Pelù, Ivano Fossati, Fiorella Mannoia e Roberto Vecchioni, tanti incontri e confronti importanti, la musica mi ha insegnato l’arte della condivisione».

© foto di Simone Cecchetti

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.